Religione e Democrazia
Roberto Galisi
Il termine "capitalismo" è recente, appare agli inizi del Novecento nell'opera di Werner Sombart e Max Weber. Col termine capitalismo ci si riferisce ad una realtà con mille sfaccettature perché esso si è sviluppato in forme diverse, in relazione al diverso contesto storico, politico, culturale in cui si è evoluto. In generale ci si riferisce ad un sistema sociale caratterizzato dall'economia di mercato in cui l'attività economica avviene sulla base di un costante impiego di beni capitali, posseduti dagli imprenditori ed utilizzati dai lavoratori che sono privi di ogni mezzo di produzione, nonché da un sistema politico che tutela la proprietà privata e che, pur intervenendo nell'attività economica, non vincola direttamente gli orientamenti del singolo imprenditore[1]. Secondo Ludwig von Mises, "l'economia di mercato è il sistema sociale della divisione del lavoro e della proprietà privata dei mezzi di produzione. Ognuno agisce per proprio conto; ma le azioni di ognuno tendono tanto alla soddisfazione dei bisogni degli altri che dei propri. Agendo, ognuno serve i suoi concittadini. D'altra parte, ognuno è servito dai suoi concittadini. Ognuno è mezzo e fine; fine ultimo per sé stesso e mezzo per gli altri nei loro tentativi di raggiungere i propri fini"[2].
Riguardo al significato del sostantivo capitalismo possiamo dire che deriva dal latino capitalis e in origine veniva utilizzato per il patrimonio zootecnico conteggiato procapite, solo successivamente ad esso si aggiunsero i significati di ricchezza e denaro. Questo termine, per la prima volta, venne utilizzato da Thomas More nella sua opera del 1516, Utopia, in cui egli descriveva un'immaginaria isola-regno caratterizzata da una società ideale, dove la proprietà privata era vietata per legge e la terra doveva essere coltivata, a turni di due anni, da ciascun cittadino. In Utopia vi è una delle prime analisi del capitalismo nascente. Denunciando l'espropriazione e l'immiserimento dei contadini a causa delle recinzioni, More affermava che le pecore si stavano mangiando gli uomini: i crescenti profitti ottenuti dalla vendita della lana per l'industria manifatturiera inducevano i grandi proprietari a recintare le terre comuni e a destinarle al pascolo[3].
È solo agli inizi del Novecento che il termine capitalismo entrò nell'uso comune per indicare il sorgere di una società dominata sempre più dal capitale e caratterizzata da: una crescente espansione delle attività industriali; una rapida estensione delle proprietà private; un forte divario tra capitalisti e lavoratori salariati. Più volte si è cercato di ridurre il fenomeno storico del capitalismo ad alcuni suoi caratteri ed ognuno che ne ha parlato ne ha preso uno specifico concetto, cosicché sono state raggiunte le più disparate conclusioni: gli economisti hanno preferito utilizzare una definizione strettamente legata al mezzo economico, mentre gli storici e i sociologi propendono per un concetto lato del capitalismo che abbracci elementi diversi.
Il ventaglio delle opinioni sulle origini del capitalismo va da chi lo ritiene un aspetto del comportamento umano e quindi, come tale, è sempre esistito, a chi individua già nell'antichità classica alcuni elementi di questo fenomeno. Altri studiosi ne delimitano l'arco cronologico a partire dal medioevo oppure dall'età moderna o dalla rivoluzione industriale, ma alcuni considerano addirittura il capitalismo solo come un concetto ideologico. Buona parte degli storici è tuttavia concorde nell'affermare che il capitalismo come sistema economico abbia origine nell'Europa del XIII secolo, mentre il feudalesimo volgeva alla fine. Il passaggio dal feudalesimo al capitalismo è stato oggetto di diversi studi e riflessioni. Molti hanno sostenuto che il feudalesimo è entrato in crisi nel momento in cui non era più in grado di rispondere alle esigenze di una società che stava cambiando e che si dedicava sempre di più al commercio. La scoperta dell'America accelerò questo processo, perché gli Europei poterono disporre di grossi quantitativi di metalli preziosi ed estendere i commerci. Maurice Dobb, invece, affermava che questo passaggio si è avuto nel momento in cui i mercanti hanno preso possesso della produzione: essi non accumulavano solo il capitale, ma si procuravano le materie prime che distribuivano alle famiglie contadine le quali le lavoravano presso la propria abitazione. Secondo altri il passaggio dal feudalesimo al capitalismo fu dovuto ad un aumento della popolazione, che a sua volta determinava una maggiore domanda di beni, e quindi una maggiore produzione, che sicuramente il sistema feudale non era in grado di sostenere.
Essendo quello di capitalismo un termine carico di significati diversi, esso ha rappresentato uno spartiacque politico che, già nella prima metà del XIX, ha diviso le posizioni ideali in fautori del capitalismo, che ne esaltavano la rapida crescita economica, la diffusione di benessere, l'affermazione di nuove classi sociali, ma soprattutto di maggiori spazi di libertà individuali, e critici che ne sottolineavano gli elevati costi umani prodotti dal settore industriale, le condizioni di vita disumane a cui erano costretti i lavoratori, gli alti profitti che ottenevano i capitalisti come frutto di questo sfruttamento, la tendenza degli stati capitalisti ad espandersi nel resto del mondo.
Anche nei dibattiti novecenteschi relativi a quelli che vengono definiti paesi del Terzo Mondo, il capitalismo assume un ruolo fondamentale: da un lato c'è chi sostiene che il capitalismo sia l'unica via per superare l'arretratezza economica e la povertà; dall'altro, invece, c'è chi ritiene che l'esistenza e l'aggravarsi di questi fenomeni debba essere imputata proprio agli interessi dei paesi capitalisti e all'incapacità di questo sistema di risolverli.
Il capitalismo si è modificato in maniera profonda nel corso di due secoli, ed è stato realizzato in forme assai diverse tra Europa, Asia e America. I cambiamenti più importanti sono stati introdotti dopo le forti crisi economiche e sociali degli anni 1920-1930 e dopo la Seconda guerra mondiale.
Michael Novak, teologo politologo e teorico dell'economia, è autore di importanti studi sul rapporto tra teologia ed economia. Infatti, nella sua opera più celebre, Lo spirito del capitalismo democratico e il cristianesimo (1982), egli ha sostenuto la sostanziale compatibilità del sistema capitalistico con la dottrina cristiana. L'ideale del capitalismo democratico, quindi, è quello di far collaborare in armonia tre sistemi indipendenti e interdipendenti: il sistema politico, quello economico e quello etico-culturale.
Secondo Novak il legame che oggi unisce il sistema politico democratico e l'economia di mercato non dipende dalla casualità della storia, ma va considerato come un rapporto dialettico, perché egli ritiene che la democrazia è compatibile solo all'interno di un sistema molto ampio che include il libero mercato e il pluralismo etico-culturale. Caratteristica fondamentale del capitalismo democratico è che ha in sé uno spirito pluralistico, che consente di distinguerlo da altri tipi di società (tradizionali o socialiste). Il capitalismo democratico non è, infatti, solo un sistema di "libera iniziativa", ma esso non può svilupparsi se disgiunto dalla cultura etica e da una forma di governo democratica. Il sistema politico e il sistema etico-culturale hanno influenzato profondamente il funzionamento del sistema economico sia attraverso decisioni politiche (proteggere la solidità della valuta, regolare la concorrenza interna o il commercio internazionale) sia attraverso determinati valori etici (impegno nel lavoro, generosità, disciplina). Tuttavia il capitalismo democratico viene per lo più accusato di essere amorale in quanto in esso sono assenti valori. Infatti, ci sono molte accuse che vengono rivolte al capitalismo e lo stesso Novak ne elenca alcune: la corruzione prodotta dalla ricchezza, la debolezza morale, l'irresponsabilità strutturale.
Altro tema affrontato da Novak è l'individualismo. Secondo Novak l'individualismo da solo non è sufficiente e non è conforme al carattere americano[4]. La libera impresa da sola non è sufficiente, ancora meno uno Stato onnipresente. L'individualista americano, invece, è fortemente comunitario. Poche culture al mondo promuovano nei loro giovani tanta abitudine alla cooperazione, alla solidarietà, al lavoro di squadra, all'organizzazione e ad altre virtù sociali come quella americana. Esiste una terza via fra individualismo e collettivismo. Fra l'individualista e il collettivista c'è l'individuo comunitario. Gli americani superano l'individualismo non attaccandosi in tutto allo Stato o a un altro istituto collettivo, ma costruendo diverse associazioni e comunità. Essere chiusi in se stessi, indifferenti agli altri, ostili o freddi non è un ideale americano.
Grazie al rispetto reciproco fra il sistema economico e quello politico, ciascuno con le sue forze e le sue debolezze, gli americani sono in grado di mantenere un governo attivo senza tuttavia designarlo come agenzia principale per la gestione e l'amministrazione di vasti programmi sociali. Il principio americano è di dar modo agli individui di raggiungere la loro indipendenza attraverso gli enti locali. In molti casi il governo ha il compito di offrire all'individuo questa possibilità, senza tuttavia diventare con i suoi continui interventi una minaccia, così come è successo nelle società socialiste. Infatti nel pensiero socialista democratico, vi è la tendenza a dare allo Stato, o quanto meno al sistema politico, il potere definitivo sul sistema economico. Nel pensiero liberista , d'altra parte, vi è la tendenza a subordinare lo Stato al sistema economico e il tessuto sociale alla vita reale dell'individuo solitario. L'ideale del capitalismo democratico, invece, prevede due sistemi coordinati, per alcuni aspetti indipendenti e per altri dipendenti l'uno dall'altro, ma in nessun caso uno subordinato all'altro.
Molti autori socialisti hanno considerato il capitalismo democratico come il responsabile della povertà del Terzo Mondo, in quanto impone condizioni di commercio sfavorevoli. Tuttavia appare del tutto strano incolpare il capitalismo democratico di questa povertà, quando in effetti è sempre esistita ancor prima della nascita del capitalismo stesso. Novak, nell'analizzare tale problema, prende in considerazione due elementi importanti, e cioè la popolazione e la prassi commerciale, analizzandone i vari aspetti e l'influenza che hanno avuto su queste popolazioni. Egli propone come soluzione al sottosviluppo di alcune aree del mondo (facendo esplicito riferimento all'America Latina) di abbandonare ciò che resta del "mercantilismo" per sostituirlo con il laissez-faire dell'economia, senza regole di sorta, che, secondo lui, avrebbe la virtù di "promuovere la gente dal basso".
Il protestantesimo ha influito positivamente sul consolidamento del capitalismo. Il modo di fare tipico del capitalismo sembra essersi sviluppato tra i quaccheri e wesleyani, data la supremazia attribuita alle virtù economiche, il cui esercizio rendeva gloria a Dio. Tra la fine dell'800 e gli inizi del 900, il panorama culturale tedesco era completamente incentrato sul dibattito relativo alla natura ed all'origine del capitalismo. Come Sombart, Weber rilevava la caratteristica del capitalismo moderno nel razionalismo economico, concepito come l'aspetto economico di un più generale processo di razionalizzazione, che comportava l'organizzazione razionale dell'impresa, la tendenza razionale al profitto[5]. Weber definisce infatti il capitalismo come "il perseguimento di un profitto sempre rinnovato, per mezzo di una iniziativa continua [...] un'azione economica capitalistica [...] si basa sull'aspettativa di un profitto". A questa definizione, Weber accompagna sei elementi: lavoro libero, ragione, iniziativa continua, impersonalità, stabile sistema di leggi, luogo. Nel momento in cui si considera Weber, non possiamo eludere l'analisi dello spirito del capitalismo inteso, rifacendosi alle analisi di Benjamin Franklin, come la propensione ad pianificare la propria vita e il proprio tempo in funzione del lavoro e del guadagno. Lo spirito capitalistico non è però brama di denaro, ma impegno ad orientare ogni atto verso una progressiva accumulazione della ricchezza. In "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo", Weber sviluppa la sua tesi fondata sull'analisi del rapporto tra la mentalità capitalistica e l'etica economica del protestantesimo ascetico. I seguaci di Calvino credevano nella dottrina della predestinazione secondo la quale solo alcuni predestinati potevano andare in paradiso e il successo negli affari era segno dell'appartenenza al gruppo degli eletti. Secondo Weber, la parola chiave è il termine tedesco Beruf, che significa sia "vocazione" sia "lavoro". Per i protestanti, la salvezza è decisa da Dio ab aeterno (giustificazione per fede) e non la si ottiene in virtù delle proprie opere. Il rispetto delle rigide regole fanno sì che il protestante non dissipi i guadagni, ma li investa continuamente, determinando così l'accumulazione tipica dell'economia capitalista. La comprensione del mondo protestante viene esemplificata da Weber attraverso l'immagine della "gabbia d'acciaio". La ricchezza accumulata diventa nel lungo periodo fine a se stessa e non più alla religione. Weber rovescia le tesi di Marx, per il quale le strutture materiali originano sovrastrutture di tipo artistico, culturale o religioso. Per Weber, invece, la sovrastruttura, cioè la religione, aveva contribuito a determinare la struttura.
Nell'introduzione al Prometeo Liberato, Landes osserva che la storia e lo sviluppo dell'Occidente sono connessi alla razionalità e all'uso della ragione da parte dell'uomo, e che a loro volta esse abbiano nel cristianesimo il loro fondamento. Il Dio del Nuovo e del Vecchio Testamento è, infatti, un Dio che riconosce all'uomo la facoltà di decidere e ragionare liberamente. Dunque, considerando anche il capitalismo come frutto dell'esercizio della ragione da parte dell'uomo, si apre un dibattito, ancora aperto, circa l'esistenza di un possibile fondamento cristiano nello sviluppo del capitalismo[6].
Alcuni autori, tra cui Fanfani, sostenitori della posizione anticapitalista, affermano che i principi della dottrina capitalista sono del tutto contrari con la visione cristiana dell'esistenza umana e del rapporto uomo-Dio. Inoltre, secondo Fanfani, il protestantesimo ha avuto la capacità di svincolare maggiormente gli uomini dai limiti sovrannaturali: non ha quindi generato effetti nuovi, ma ha facilitato la piena espressione di un movimento vivo già prima della Riforma e che, all'indomani della stessa, dilagherà.
Per molti autori cattolici anticapitalisti è impensabile che l'uomo fondi le sue scelte solo sulla ricerca dell'utile economico individuale (principio, questo, che è il vero caposaldo del capitalismo), che si abbandoni alla pressione degli avvenimenti e consideri ottima quella organizzazione sociale che riconosce l'interesse individuale, ma che al tempo stesso tralascia le relazioni positive e negative che questo può creare con la società, con lo Stato e con la vita stessa dell'uomo.
A tale posizione si contrappone quel filone, tra i cui esponenti ricordiamo Papa Giovanni Paolo II e San Tommaso, per cui il problema non consiste nel capitalismo, ma nel ruolo e nelle finalità che ad esso si attribuiscono. Infatti, come Giovanni Paolo II affermava nell'enciclica Centesimus Annus(1991), se il capitalismo viene considerato come un sistema economico inquadrato in un solido sistema giuridico che non pregiudica la libertà umana e che non si elegge a padrone dell'uomo, ma che offre gli strumenti di cui l'uomo stesso può servirsi per soddisfare i bisogni propri e quelli altrui, è del tutto possibile rintracciare nel capitalismo un fondamento cristiano. L'errore principale, come sosteneva San Tommaso, consiste non nel profitto in sé, ma nel considerare il profitto come un fine ultimo cui sacrificare la moralità dell'azione.
Su questa posizione si fonda la concezione che Novack ha del rapporto fra cristianesimo e capitalismo democratico. Riprendendo Tommaso d'Aquino, che sottolineava il rispetto che Dio ha per il mondo delle contingenze concrete, delle libertà e del peccato, egli sostiene che l'immagine di Dio rintracciabile nel libero mercato e nel sistema ternario del capitalismo democratico sia quella del Fronimos, dell'intelligenza pratica. Novack sostiene infatti che, nonostante nella storia molti pontefici abbiano considerato il capitalismo come un male per l'umanità - basti pensare all'introduzione del liberismo nel Sillabo degli Errori di Papa Pio IX (1864) - altri abbiano riconosciuto l'importanza di uno Stato dai poteri limitati e della proprietà privata. Inoltre, sostiene l'importanza di sei dottrine cristiane, la Trinità, l'Incarnazione, la competizione, il peccato originale, la separazione dei regni e la Caritas, che hanno contribuito all'elaborazione di quel modello istituzionale che è stato propulsore di sviluppo economico.
IL CASO BARACK OBAMA.
In quest'ultima parte della nostra ricerca, focalizziamo la nostra attenzione su un caso studio di particolare interesse, ovvero l'analisi delle strategie attuate da uno dei due candidati democratici alla presidenza statunitense, al fine di comprendere in che modo la sfera religiosa possa strettamente coniugarsi con quella politica. Obama si lega alla religione verso i 20 anni, grazie soprattutto alla collaborazione, all'indomani della laurea in scienze politiche, con alcune chiese locali. Obama appartiene alla United Church of Christ (UCC), in particolar modo alla Trinity Church di Chicago, una delle 5700 comunità locali che aderiscono alla UCC, che ufficialmente si è formata nel 1957 mediante l'unione di alcune chiese protestanti europee e calviniste. Perché abbiamo scelto questo caso? Perché la sua campagna elettorale sembra sempre di più una sorta di rivoluzione spirituale "per guarire le ferite del paese" e i suoi discorsi pubblici sono sempre più basati su un culto della personalità , che prevede una gestualità che colloca in primo piano il leader che libera, redime, salva le masse. L'obamania, come è stato scritto sui maggiori quotidiani americani, ha trasformato il candidato politico in messia, che esalta le masse commosse con il suo slogan "Yes we can". La religione è stata comunque una caratteristica della campagna 2008.
[1] Al capitalismo, che negli Stati Uniti consegue nel Novecento le sue dimensioni più ampie, e al rapporto instaurato con i problemi della democrazia contemporanea si rivolge l'attenzione degli economisti John M. Keynes (continuatore delle tradizioni culturali liberali) e Joseph A. Schumpeter (austriaco e attento alle prospettive del socialismo), così come del cattolico-democratico Luigi Sturzo, esule in America come Schumpeter. Cfr. anche Joseph A. Schumpeter, Capitalismo, Socialismo, Democrazia; John Maynard Keynes Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta; Luigi Sturzo, Nazionalismo ed Internazionalismo.
[3] T.Moro, Utopia, cura e traduzione di F.Cuomo, New Compton Editori, Milano 2011, pp.28-29, 85-86.
[6] Cfr. David S. Landes, Prometeo liberato. Trasformazioni tecnologiche e sviluppo industriale nell'Europa occidentale dal 1750 ai giorni nostri, Einaudi, Torino 1978, p. 181