Diritto


Alessia De Stefano

Le clausole statutarie che limitano la circolazione delle azioni mortis causa: ratio e disciplina normativa

 

1. Trasferimenti mortis causa

La riforma della società di capitali, operata con D.Lgs. 3/2003 ha sancito all'art. 2355 bis co.3 la liceità delle clausole statutarie che limitano la circolazione delle azioni a causa di morte, richiamando la disciplina prevista nel co. 2 per le clausole di mero gradimento.

2. La previgente disciplina e le questioni insorte

Il previgente art. 2355 c.c. (ormai abrogato) indicava una generica possibilità di "sottoporre a particolari condizioni l'alienazione delle azioni":

- proprio riflettendo sul termine ‘alienazione' ci si chiedeva se esso fosse atto a ricomprendere anche i trasferimenti mortis causa[1] - la giurisprudenza lo ha a lungo negato[2] in quanto ravvisava nel termine ‘alienazione' un impedimento letterale;

- secondariamente, l'esistenza di limiti statutari al trasferimento delle partecipazioni in caso di morte del socio sembrava cozzare con i principi del diritto delle successioni (impedimento sostanziale). Proprio a questo proposito la Corte di Appello di Roma[3] nel 1992 si è trovata ad analizzare una clausola statutaria di tal fatta: "sarà facoltà degli altri soci acquistare dagli eredi le azioni entro un anno dalla successione per il valore risultante dal bilancio approvato e maggiorato del 10%": i giudici hanno ritenuto nulla tale clausola mortis causa «perché in contrasto con il divieto di patti successori (ex art. 458 c.c.)[4] e con il principio imperativo della revocabilità delle disposizioni testamentarie (art. 679 c.c.)[5]». La vicenda giunge all'esame della Suprema Corte[6] che nel 1994 che rivoluziona la precedente decisione e ammette la validità delle clausole statutarie che limitano la circolazione, stabilendo che esse - e in particolare quella in esame - non integrano un patto successorio perché «la morte del socio costituisce una condizione per poter esercitare il conseguente diritto di opzione, concesso a tutti gli altri soci con l'inserimento della clausola in questione nel contratto sociale»; «il vincolo alla circolazione è un atto inter vivos, cioè il diritto di opzione spettante a ciascun socio sorge nel momento in cui la clausola viene stipulata ma il suo esercizio è subordinato alla morte del socio ... di tal che la morte del socio non assume una rilevanza causale ma meramente temporale ed accidentale». Ricapitolando, la clausola statutaria che limita la circolazione azionaria produce effetti, soltanto dopo la morte del socio, nei confronti dell'erede che ha sì ereditato le partecipazioni del de cuius, ma non sulla base della disciplina pattizia, bensì per legge o per testamento. La clausola semplicemente obbliga gli eredi (diventati azionisti) a subire l'eventuale esercizio del diritto di opzione da parte degli altri soci - con conseguente pagamento del prezzo del riscatto - e sempre alle condizioni previste dalla clausola stessa.

Questa soluzione prospettata dalla Cassazione ha evidenziato le profonde differenze sussistenti tra i limiti statutari alla circolazione stipulati inter vivos e quelli invece stipulati mortis causa: ciò che cambia è il fine. Mentre nell'ipotesi basilare, cioè la prima ipotesi, si tratta da un lato di garantire il disinvestimento e dall'altro di preservare l'omogeneità della compagine azionaria; per quanto riguarda invece i limiti al trasferimento mortis causa si tratta qui di conciliare il diritto degli eredi del de cuius a diventare soci con l'interesse dei soci a evitare l'ingresso automatico degli eredi nella compagine sociale[7]. Nonostante le esigenze che si pongono siano di diversa natura, il legislatore ha ritenuto di poterle tutelare attraverso una stessa soluzione, che è quella indicata post riforma dall'art. 2355 bis co. 3.

3. La soluzione normativa

L'art. 2355 bis co. 3 stabilisce: "la disposizione del precedente comma si applica in ogni ipotesi di clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte delle azioni, salvo che sia previsto il gradimento e questo sia concesso".                                                  Due sono le considerazioni da fare. Innanzitutto il legislatore ha espressamente riconosciuto la legittimità delle clausole che limitano la circolazione delle azioni dopo la morte del socio e ne ha fornito una regolamentazione ricalcata sul co. 2 del medesimo articolo, avente ad oggetto la clausola di mero gradimento; il co. 2 individua due correttivi - obbligo di acquisto in capo ai soci o alla società e diritto di recesso del socio alienante - i quali operano non solo laddove l'organo preposto non acconsenta al trasferimento, e ciò sulla base di un mero gradimento, ma anche per tutte quelle pattuizioni che riguardano i limiti alla circolazione delle azioni a causa di morte e non prevedano una equa liquidazione degli eredi. In altri termini i correttivi qui previsti non si applicano quando è previsto un gradimento[8] ed esso viene concesso, né tantomeno si applica ogni qual volta la previsione statutaria non impedisce ai successori di entrare a far parte della società (per esempio nel caso di mancato esercizio del diritto di prelazione).

Questo sta a significare che i due correttivi indicati dal legislatore sono volti a tutelare il diritto degli eredi al rimborso, laddove operi un vincolo statutario alla circolazione per causa di morte, tale da impedir loro di acquisire la qualità di socio ed essere iscritto nell'apposito registro. Il legislatore individua nel co. 3 anche l'equa liquidazione degli eredi: "il corrispettivo dell'acquisto o rispettivamente la quota di liquidazione sono determinati secondo le modalità e nella misura previste dall'art. 2437 ter". È questa una previsione inderogabile che comporta l'inefficacia della clausola mortis causa ogni qual volta non sia garantito al titolare delle azioni un valore congruo individuato applicando i criteri dell'art. 2437 ter c.c. dettato in tema di recesso; e dunque la clausola per essere valida deve contenere l'indicazione specifica del soggetto o dei soggetti che acquisteranno le azioni, a quale prezzo ed entro quando esso deve essere corrisposto[9].

La ratio della previsione normativa è quella di assicurare tutela ai diritti patrimoniali degli eredi del de cuius se ad essi non è concesso di entrare in società e assumere lo status di soci[10].

4. Il divieto di trasferimento delle azioni mortis causa

Un punctum dolens della disciplina dei limiti ai trasferimenti mortis causa è costituito dalla applicabilità dell'art. 2355 bis co. 3 alla clausola che vieta in modo assoluto il trasferimento delle partecipazioni a causa di morte (è il cd. divieto di trasferimento puro e semplice).

Parte della dottrina (Abriani[11], Stanghellini[12], la dottrina notarile[13]) ritiene ammissibile un simile divieto assoluto, a cui conseguirebbe necessariamente l'applicazione dei due correttivi e dunque la liquidazione del socio/erede a cui non è consentito di essere iscritto nel libro dei soci: la finalità della norma, come detto, non è quella di "assicurare all'acquirente mortis causa l'acquisto della qualità di socio, ma semplicemente il diritto alla liquidazione al valore desumibile dall'applicazione dei criteri ex art. 2437 ter c.c.".

Altra parte della dottrina (Furgiuele, Sbisà) invece non condivide l'ammissibilità di un divieto di trasferimento puro e semplice, e ciò sia sulla base di un dato letterale, in quanto il co. 3 si riferisce espressamente soltanto alle "clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento a causa di morte" e non anche a quelle che vietano il trasferimento. Inoltre, osserva Sbisà[14], il co. 1 dello stesso art. 2355 bis sembra contrapporre le clausole che limitano il trasferimento delle azioni a particolari condizioni e quelle che vietano il trasferimento.

Per di più una clausola statutaria (e dunque convenzionale) non può vietare ad un azionista di disporre delle sue azioni in sede successoria! Ad una stessa conclusione arriva anche Denteamaro[15], argomentando che data l'inefficacia assoluta di trasferimenti azionari operati in violazione di una clausola statutaria, a cui l'autrice aderisce, allora «pare evidente la ragione per cui non sia possibile vietare il trasferimento delle azioni per causa di morte, passando le stesse necessariamente per effetto dell'accettazione dell'eredità all'erede».

5. Conclusioni

La riforma del 2003 ha dunque apportato una importante novità - ci si riferisce ai correttivi normativi dell'obbligo di acquisto e del diritto di recesso - che rendono lecita sia la clausola di mero gradimento, sia appunto le clausole mortis causa in esame. Il legislatore ha voluto così trovare un punto di equilibrio tra le diverse esigenze in gioco: proprio in quest'ottica, dottrina e giurisprudenza maggioritarie ritengono possibile una applicazione analogica di tali correttivi ogni qualvolta vi sia una clausola che impedisca al socio di esercitare in tutto o in parte il suo diritto di exit dalla società.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] Nella attuale disciplina dell'art. 2355 bis co. 3 non troviamo più il termine "alienazione", che è più restrittivo, ma esso è stato sostituito con un generico "trasferimento" delle azioni.

[2] Tribunale di Cagliari, decreto del 24 febbraio 1976, in Giurisprudenza commerciale, pagg. 784 ss.: in questo decreto veniva stabilito che "l'art. 2355 c.c. (previgente disciplina) "importa la validità delle sole clausole limitative che a) afferiscono ad azioni nominative b) non vietino o rendano impossibile di fatto la circolazione delle azioni c) si riferiscano ai soli trasferimenti inter vivos".

Tribunale di Milano, decreto del 1 ottobre 1976, in Giurisprudenza commerciale 1977, pagg. 131 ss. con cui veniva dichiarata illegittima l'estensione della clausola statutaria di gradimento ai trasferimenti mortis causa.

[3] Corte di Appello di Roma, sent. nr. 1040/1992, in Le società nr. 11/1992, pag. 1526.

[4] Divieto di patti successori (art. 458 c.c.): "Fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768-bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. E' del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi."

[5] Revocabilità del testamento (art. 679 c.c.): "Non si può in alcun modo rinunziare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie: ogni clausola o condizione contraria non ha effetto."

[6] Cassazione, sent. nr. 3609/1994, in Le società nr. 9/ 1994, pag. 1186.

[7] SBISA' G. (2019). I limiti alla circolazione delle azioni: art. 2355 bis, Giuffrè Francis Lefebvre. Per riferimenti: pagg. 204-205.

[8] Le clausole di mero gradimento sono quelle clausole che rimettono tout court il trasferimento all'autorizzazione di un organo sociale e in modo del tutto discrezionale. Le clausole di gradimento non mero invece sono quelle clausole che subordinano il placet al possesso di determinati requisiti prestabiliti.

[9] SBISA' G. (2019). I limiti alla circolazione delle azioni: art. 2355 bis, Giuffrè Francis Lefebvre. Per riferimenti: pag. 206.

[10] GHIONNI CRIVELLI VISCONTI P. (2016). Commento all'art. 2355 bis, in Le società per azioni diretto da ABBADESSA P. e PORTALE G.B., Vol. I, Giuffrè, Milano. Per riferimenti: pag. 678.

[11] ABRIANI N. (2010). Le azioni e gli altri strumenti finanziari, in Le società per azioni nel Trattato di diritto commerciale a cura di COTTINO G., Vol. IV.1, Cedam, Padova.

[12] STANGHELLINI L. (1997). I limiti statutari alla circolazione delle azioni, Giuffrè, Milano, pagg. 609-610.

[13] Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, Orientamenti dell'osservatorio sul diritto societario, II edizione, Ipsoa 2016, sub Massima nr. 13, Clausole limitative della circolazione delle azioni, pag. 101.

[14] SBISA' G. (2019). I limiti alla circolazione delle azioni: art. 2355 bis, Giuffrè Francis Lefebvre. Per riferimenti: pag. 208.

[15] DENTEAMARO A. (2016). Commento all'art. 2355 bis c.c., in Codice delle società di ABRIANI N., Utet giuridica, Milano. Per riferimenti: pag. 753. delle società di ABRIANI N., Utet giuridica, Milano. Per riferimenti: pag. 753.