Storia


Alfonso Tortora

L’«oriuolo» e il tempo che muore•

 

 

Il moderno senso comune del tempo è orientato, nella sua attività pratica, dalle astrazioni di tempo e di spazio. Il tempo, nello specifico, è ancora concepito dagli storici come categoria obiettiva, cioè legata alle molteplici forme dell'esistenza umana[1].

Se si presta attenzione alla specificità della materia umana legata ai lunghi cicli della storia, si può comprendere come il concetto stesso di tempo non può assolutamente riferirsi in maniera identica alla natura. Nell'Occidente europeo il tempo della storia è un tempo che procede, necessariamente, oltre i  termini ciclici  (visione greca del tempo) o, con evidenti legami con il giudaismo, escatologici (visione cristiana del tempo)[2], in modo soggettivo, ciò almeno vale per le società preindustriali e con preciso riferimento alle categorie sociali di quelle età. Da quest'ultimo assunto ne è derivato il motivo braudeliano, per il quale il tempo, sul piano storico, assume un senso diversificabile da epoca ad epoca, da civiltà a civiltà, da gruppo sociale a gruppo sociale, da individuo ad individuo, ma tutto ciò in relazione a tutta una serie di concause, quali la società, lo spazio, la natura ecc. [3]. Se ci riferiamo, nello specifico, alla storia della cultura, allora possiamo osservare come l'uomo non nasce con un concetto di tempo, ma lo eredita in funzione delle più elementari forme di trasmissione educativa, che ogni generazione, in maniera diretta o indiretta, trasferisce alla successiva[4]. Al centro di questa trasmissione di conoscenze, di questa ereditarietà culturale, ha spiegato Henri Lévy-Bruhl, si pone la storia, che per sua stessa definizione contiene fatti del tempo passato[5], dunque di ciò che è irrimediabilmente finito, morto.  Ma il tempo passato ha una sua dimensione cronologica e l'oggetto che ne esprime meglio di qualunque altra cosa la sua esistenza, il suo "trascorrere", pur senza rappresentarlo in nessun modo, è l'orologio.

Oggetto museale e variamente curioso, l'orologio, inventato per misurare il tempo e traslato da piani assiali  simmetricamente disposti su superfici orizzontali o verticali, detti quadranti - si pensi alle meridiane - a corpo racchiuso in contenitori sempre più e sempre meglio definiti in forme prevalentemente circolari e, perciò, talvolta miniaturizzati, riproduce l'ordine, lento, progressivo, inesorabile del dissolversi dell'esistenza umana. 

Si tratta di quel tempo a moto meccanico che già Montaigne considerava e definiva aristotelicamente come un «passaggio» da un «prima a un poi», ovvero un «tic-tac», dove la capsula cronometrica in cui è racchiuso funge da «dimora da abitare», ma anche da privilegiato punto da cui osservare con feroce e regolare periodicità lo scorrere del libro della vita[6].

In pieno Seicento, ad esempio, nel tempo delle rivoluzioni scientifiche, letterarie e filosofiche, ma anche delle guerre, delle pesti e delle calamità naturali, gli uomini potevano osservare l'ipnotico scintillio delle acuminate lancette orarie, sentire il delicato fruscio della polvere scivolare dall'uno all'altro contenitore della clessidra, restando assorti, rapiti in un rinnovato devoto pathos[7].

Il Seicento, quel secolo in cui per effetto della Controriforma il tempo scandisce ancor più l'aritmetica delle preghiere e aiuta a definire e a misurare con maggiore precisione il tempo delle calamità naturali  (ad esempio, si legge nelle fonti,  un terremoto: duravit per spatium Ave Maria) lega inesorabilmente la pietas cristiana allo scorrere del tempo in attesa della fine[8].

Proprio nel XVII secolo, oggi è storicamente chiaro, il tempo della penitenza diviene sempre più lo strumento della salvezza: ciò vuol dire che in piena età moderna il tempo passa da motivo strettamente teoretico a rinnovato congegno dell'agire morale da impiegare per la salvezza oltre la vita[9]. È questo, del resto, il momento storico, in cui la padronanza del tempo avvia le società borghesi dell'Occidente europeo  a nuovi processi economici - si pensi agli uomini d'affari calvinisti olandesi o ai puritani inglesi -, dove la già consolidata divisione del giorno in 24 ore imponeva nuove forme di redistribuzione della vita, all'interno delle quali il tempo si definiva sempre più in scansioni e ritmi affidati, ora, all'ordigno laico per eccellenza, l'orologio, il contenitore delle ore, ma anche il tesaurizzatore degli affari, dei compensi e degli interessi monetari, secondo il procedere del mercantilismo[10], il cui fluire rinverdiva, sotto altri aspetti, nella cultura libertina dei cabinets parigini studiati da René Pintard, l'intreccio semantico tra il termine greco a„èn ed il significato di «spazio temporale limitato» in riferimento alla durata della vita umana; cosa questa che in autori come Garasse, Théophile de Viau, Charron, per limitarci a qualche rimando, pone in gioco l'attenzione che il Seicento libertino abbia riposto ai moralisti dell'antichità, come Epicuro, ad esempio, per il quale il tempo ha «il compito di offrire all'uomo il ‘quadrifarmaco', cioè la medicina capace di guarire dai quattro timori che rendono infelice la vita dell'uomo e tra cui troviamo il timore degli dei, della morte, del dolore (che è intenso e allora passeggero, o cronico e allora sopportabile serenamente).

Corpo senza sintomi, teatro del tempo, l'orologio, oggetto contestualmente fisico e metafisico, batte, ora, in luogo del rintocco delle campane, il tragico e ripetitivo ritmo di un'aria che, inesorabile, estingue la vita. È nello spazio del microcosmo della macchina orologio, che l'immaginario del barocco dipinge o descrive, a volte poeticamente,  il bilanciere dell'orologio come Unruhe (per usare un'espressione tedesca ancora in uso), che vuol dire inquietudine.

Vale la pena, a questo punto del nostro discorso, rintracciare nella tematica della poetica seicentesca qualche riferimento al tema della veritas filia temporis scrutato nell'orologio, che si contrappone, proprio nel secolo degli arcana Dei, alle menzogne del tempo, «che numera quanti son passi a la tomba», come scriveva il poeta Girolamo Preti, vissuto tra il 1582 ed il 1626, nel suo L'oriuolo (L'orologio)[11] e che l'altro poeta, l' urbinate Giovanni Leone Sempronio (1603- 1646) nel suo cantico dedicato alla Mostra d'orologio, parlando proprio del tempo così lo descrive:

«Un serpe è il tempo in se medesimo avvolto

che i nomi attosca e le bellezze ancide,

e tu, sol perché l'ore a te divide,

te ‘l covi in grembo, in vasel d'oro accolto.

Ahi miser uom, quanto se' cieco e stolto!

Son quelle note a chi le mira infide,

e con quelle ch'ei segna ore omicide

inargenta il tuo crine, ara il tuo volto [...]»[12].

Ma la stasi del tempo vissuto e inteso come «gran fabro di menzogne,» per richiamare ancora un verso del Sempronio, divine tema ancora più centrale nel secolo seguente: il Settecento.

Pubblicato a Napoli nel 1760, oggi si direbbe in prima edizione, La Vera Sposa di Gesù Cristo cioè la Monaca Santa di Alfonso Maria de' Liguori[13], pone in essere un complesso apparato teorico sull'individuo, sul corpo, sulle passioni, sui desideri, ma anche su ciò che  riguarda una certa concezione del tempo.

La semplificazione e l'umanizzazione delle pratiche mortificatorie e la loro applicazione progressiva e universalizzabile sull'individuo proiettato verso un possibile processo di santificazione, costituiscono gli aspetti pratici più rilevanti dell'idea di perfezione del santo Vescovo, che al di là dello specifico contenuto religioso o ideologico, rivela un certo collegamento con un certa concezione del tempo avvertita da Alfonso Maria[14]. Si tratta di una concezione che, ovviamente, si riconduce ad una tradizione risalente, ma che appare però, sistemare e collocare in una nuova prospettiva il rapporto tempo/individuo.

Alle grossolane successioni delle fasi della vita dell'individuo, in quest'opera Alfonso Maria pone una scansione infinitesima del tempo del perfezionamento; egli articola i diversi livelli di ascesi dell'individuo su un "tempo che muore" continuamente attraverso l'intervento temporalmente coordinato delle pratiche e degli esercizi corporei.  Solo attraverso la indefinita intensificazione degli interventi disciplinanti sul corpo dell'individuo è possibile per Alfonso Maria il processo della santificazione umana, che, sotto un profilo più rigorosamente sociale e produttivo (in termini di utilità individuale o colletiva), è anche processo di accumulazione  del bene spirituale[15].

Si tratta di quella concezione del tempo che attribuisce allo stesso infinitesimali funzioni rispetto alle variabili con cui si connette (in questo caso la realtà, in cui l'uomo vive ed innesta le proprie azioni e nozioni) e di cui ha parlato, da un punto di vista semantico, Ernst Bloch in una lunga intervista rilasciata nel 1974 a proposito dell'aforisma «Fall ins Jetzt»[16]. L'aforisma, com è noto, ruota intorno al rapporto  tra il «vissuto esistenziale attuale» di un uomo (un misero «schnorrer» raccolto dalla strada e ricoverato in una sinagoga) e l'eccedenza del tempo che riposa tra il vissuto e il desiderio del vivere in un'attesa (data dal rapporto presente-futuro) espresso dal saggio/mendicante collocato, non a caso, in un tempio ebraico[17].

Ma si tratta anche di quel tempo che - è stato rilevato con riferimento ad Alfonso Maria de Liuguori e alla vera sposa di Gesu-Cristo -  «se da una parte rende possibile un intervento capillare sull'individuo, sposta dall'altra l'attenzione sui processi cumulativi (in questo caso di santità) e sui risultati in termini produttivi ottenibili»[18], dunque un tempo dal valore e dall'utilizzo più propriamente economico.

L' idea sul tempo espressa dal santo Vescovo non è precisamente nuova se pensiamo agli esercizi spirituali del Loyola e alla pratica degli stessi osservata dall'ordine dei gesuiti[19], ma si rinnova nei suoi contenuti se solo pensiamo, a titolo esemplificativo, al secolo, in cui vede la luce quest'opera di Alfonso Maria. Si tratta di quel XVIII secolo caratterizzato del mutato senso dell'appartenenza del singolo individuo alla comunità, al suo nuovo rapporto con il potere politico, con le leggi, con l'economia[20]. Un insieme tematico, questo, da cui si generarono gli aspetti essenziali di una nuova visione del tempo, che tendeva a legarsi ad una moderna società europea, dove la divisione del lavoro all'interno di smisurati opifici creava il tempo della fabbrica e in cui le interminabili ore di lavoro lasciavano morire, attimo dopo attimo, uomini mal nutriti, donne gravide, bambini, che in diverse circostanze non riuscivano neanche ad avere il tempo di svilupparsi[21].

 

 

 



· Relazione presentata al Convegno: Le metamorfosi di  Chronos Dal tempo della clessidra al tempo interiore: un percorso tra Scienze umane e Neuroscienze, Salerno, 19-20 maggio 2016, Palazzo Sant'Agostino;

[1] Il tema investe il recente dibattito storico e storiografico svoltosi tra Sebouh David Aslanian, Joyce E. Chaplin, Ann Mcgrath, Kristin Mann dal titolo: How Size Matters: The Question of Scale in History, in «American Historical Review» December 2013, pp. 1431-1471. Ma si tenga anche presente Bernhard Struck, Kate Ferris and Jacques Revel, Introduction: Space and Scale in Transnational History, in «The International History Review», Vol. 33, No. 4, December 2011, 573-584.

[2] Sul punto sempre utile Oscar Cullmann, Cristo e il tempo. La concezione del tempo e della storia nel Cristianesimo primitivo, trad. it. Boris Ulianich, Bologna, Il Mulino, 19752, in particolare pp. 59 ss.; Paola Ricci Sindoni, Tempo ebraico e tempo cristiano nell'orizzone biblico, in Tempo sacro e tempo profano. Visione laica e visione cristiana del tempo e della storia, a cura di Lietta De Salvo e Angelo Sindoni, Rubbettino, Soveria Mannelli 2002, pp. 269-280.

[3] Fernando Braudel, Storia, misura del mondo, trad. it. Graziella Zattoni Nesi, Il Mulino, Bologna 20052, in particolare il capitolo dedicato a: Geostoria: la società, lo spazio, il tempo, pp. 67-113; A. Musi, Historia como vida. Elementos esenciales de historia y metodología de la investigación histórca, Università degli Studi di Salerno, Universidad Católica de Colombia, Editorial Planeta Colombia S.A. 2010, pp. 177 ss. Ma si tenga anche conto dell'interpretazione che del tempo offre Norbert Elias, Saggio sul tempo, trad. it., Antonio Roversi, il Mulino, Bologna 1986, il quale pone un preciso rapporto tra la necessità di determinare più precisamente il tempo e l'avvento dell'età moderna: cfr. pp. 20 ss.

[4] Cfr. Peter Burke, Storia e teoria sociale, trad. it. Giovanni Dognini, Il Mulino, Bologna 2012, pp. 147-154. Più di recente il tema è stato affrontato, sotto angolazioni anche di carattere psicoanalitico, da A. Musi, Memoria, cervello e storia, Guida, Napoli 2008; Id. Freud e la storia, Rubbettino, Soveria Mannelli (Cs) 2015.

[5] Henri Lévy-Bruhl, Fait historique, in Les mots de l'histoire. Le vocabulaire historique du centre international de Synthese, édition établie, présentée par Margherita Platania, Bibliopolis, Napoli 2000, pp. 299-306.

[6] Le parole e le ore. Gli orologi barocchi: antologia poetica del Seicento, a cura di Vitaniello Bonito, Sellerio editore, Palermo 1996, p. 9. Più in generale su ciò cfr. David S. Landes, Storia del tempo. L'orologio e la nascita del mondo moderno, trad. it. di Saverio Vertone e Giuliano Ferrara (Revisione delle appendici tecniche di Daniela Tardini Papeschi), Arnoldo Mondadori Editore, 1984, pp. 5 ss.; ma senza dimenticare Carlo Maria Cipolla, Le macchine del tempo. L'orologio e la società (1300-1700), il Mulino, Bologna 1967.

[7] Ibid.

[8] Cfr. Jacques Le Goff, Storia, in Enciclopedia Einaudi, 13, Einaudi, Torino 1981, pp. 24 ss.; Paolo Preto, Il tempo "laico" tra metà moderna e contemporanea, in Tempo sacro e tempo profano, cit., pp. 147-159, con bibliografia alle pp. 157-159.

[9] CFr. Francesco Maiello, Storia del calendario. La misurazione del tempo, 1450-1800, Einaudi, Torino 1994 pp. 131 ss.

[10] Su cui cfr. Eric Roll, Storia del pensiero economico, trad. it. Nanni Negri e, per le aggiunte, Roberto Valabrega, Boringhieri, Torino, 19802, pp. 52 ss.

[11] Le parole e le ore, cit., pp. 14, 86-88: per la citazione p. 88.

[12]  Ivi, p. 95.

[13] Alfonso Maria Liguori, La vera sposa di Gesu-Cristo cioe' la monaca santa per mezzo delle virtu' proprie d'una religiosa, nella stamperia di Giuseppe Di Domenico, Napoli, 1760 (la seconda edizione di quest'opera, emendata da Alfonso Maria, venne stampata in Venezia da Remondini nel 1761).

[14] Su cui cfr. Pino Lucà Trombetta, Umanizzazione della santità: per una rilettura di S. Alfonso de Liguori, «Aut-Aut», 182-183 (Marzo-giugno 1981), pp. 137-161, con una comparazione in appendice, per gli aspetti economici legati al tema, conl'economista sovieticoSolovëv: cfr. pp. 156-161.

[15] Ivi, p. 138.

[16] Die Welt bis zur Kenntlichkeit verändern, in Arnonster (hrsg), Tagträume vom aufrechten Gang. Sechs Interviews mit Ernst Bloch, edition Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1977, pp. 20-98, qui pp. 58-60.

[17] Cfr. l'interpretazione che di questo aforisma fornisce Laura Boella, Il tempo elastico di Ernst Bloch, «Aut-Aut», 179-180 (Settembre-dicembre) 1980, pp. 138-147.

[18] Pino Lucà Trombetta, Umanizzazione della santità, cit., p. 138.

[19] Cfr. Giuseppe Germier S.J., San Bernardino Realino, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1943.

[20] Su cui cfr. Alfonso Tortora,  Il pensiero sociale cristiano tra modernità e contemporaneità. Qualche considerazione storica, «L'Acropoli»,  XVI (2015). pp., 478-492.

[21] Cfr. Georges Lefranc, Storia del lavoro e dei lavoratori, trad. it.,Minima Ravera-Poggio, Jaca Book, Milano 1978, pp. 228 ss.