Diritto
Eugenio Benevento e Elena Conte
1. Con la sentenza n. 73/2014, depositata in data 2.4.2014, la Corte costituzionale è intervenuta in tema di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, vagliando la legittimità costituzionale dell'art. 7, co. 8, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'art. 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo), per violazione del combinato disposto degli artt. 76 e 77, co. 1, Cost.
La pronuncia in commento si inscrive in un più ampio quadro in cui l'istituto del ricorso straordinario, come rimodellato dalle recenti riforme, è al centro di un intenso dibattito giurisprudenziale, incentrato sull'esatta ricostruzione ed inquadramento sistematico del rimedio, con particolare riferimento alla sua natura, riconducibile, per tradizione, al genus amministrativo e, per aspirazione, a quello giurisdizionale.
Ed è proprio sulla natura del rimedio che la Corte costituzionale interviene, alimentando l'ambiguità di fondo che la caratterizza: sebbene l'istituto venga definito giustiziale, infatti, nell'iter logico - argomentativo seguito dal Giudice delle leggi ne viene esaltata la giurisdizionalità, così alimentando il disorientamento dell'interprete.
In particolare, nella pronuncia in commento, la Corte costituzionale affronta due distinti profili: il primo, afferente la proponibilità da parte del Consiglio di Stato della questione incidentale di legittimità costituzionale in sede di parere sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica ed il secondo relativo alla legittimità costituzionale dell'art. 7, co. 8, del d. lgs. 2 luglio 2010 n. 104, impugnato in riferimento agli artt. 76 e 77, co. 1, Cost. laddove ammette il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa.
Se appaiono chiare le conclusioni con le quali seccamente la Corte rigetta la questione proposta, meno lineare, quasi tortuoso ed a volte contraddittorio, appare l'iter argomentativo utilizzato, che lascia aperto il dibattito in ordine alla natura giuridica del rimedio ed alle sue sorti.
2. La questione.
2. Un dipendente regionale propone ricorso straordinario al Presidente della Repubblica avverso le determinazioni dirigenziali relative ad una procedura di reclutamento per mobilità interna e, deducendo plurimi vizi di legittimità, contesta l'attribuzione del posto alla vincitrice controinteressata,.
In sede di esame del ricorso, la sezione consultiva del Consiglio di Stato acquisisce la relazione ministeriale, che conclude per l'inammissibilità del gravame in ragione di quanto stabilito dall'articolo 7, comma 8, del codice del processo amministrativo, perentorio nello stabilire che il ricorso straordinario è ammesso unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa.
I Giudici di Palazzo Spada, rilevando che il ricorso straordinario trattato riguarda una controversia in tema di rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, rientrante nella giurisdizione del Giudice ordinario, e considerato che, fino all'entrata in vigore della disposizione censurata, ciò non avrebbe escluso l'ammissibilità del ricorso straordinario, inteso quale rimedio concorrente, anziché alternativo, con la tutela giurisdizionale ordinaria, decide di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma sopra richiamata, la quale, modificando il sistema previgente e facendo divenire la giurisdizione amministrativa presupposto di ammissibilità del ricorso straordinario, avrebbe violato i parametri costituzionali di cui agli articoli 76 e 77 della Costituzione, per eccesso di delega, nella misura in cui la delega sarebbe stata diretta al solo riordino del processo amministrativo, non contenendo alcuna "proposizione espressa o implicita riferibile al ricorso straordinario".
Il Giudice a quo, a sostegno dell'ordinanza di rimessione, evidenzia quanto segue: "che il rimedio giustiziale in discorso esuli dall'ambito della delega, è provato dal fatto che il legislatore ordinario della legge n. 69 del 2009, se avesse voluto procedere nel senso denunziato, avrebbe direttamente inserito la materia censurata, che è del tutto specifica, nella sede propria dell'art 69, rubricato per l'appunto «Rimedi giustiziali contro la pubblica amministrazione".
In un ultimo passaggio, poi, il Consiglio di Stato sottolinea come la disposizione di che trattasi, inserita in accoglimento di un parere formulato dalle competenti commissioni parlamentari con l'obiettivo di rendere più rapida la definizione del processo, risulti assolutamente contraddittoria con la funzione deflattiva riconosciuta da sempre al ricorso straordinario.
Di contro, l'Avvocatura dello Stato, nel chiedere la dichiarazione di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, ricorda come in passato il ricorso straordinario al Capo dello Stato fosse esperibile anche per la risoluzione di controversie soggette di per sé alla giurisdizione ordinaria e come il giudice civile potesse ricorrere alla disapplicazione del decreto presidenziale, in quanto atto amministrativo. Questa situazione, però, creava non pochi problemi di tipo organizzativo ed incideva negativamente "sulla rapidità della definizione delle questioni rientranti nelle competenze del Consiglio di Stato", oltre ad escludere il possibile esercizio del giudizio di ottemperanza rispetto al decreto presidenziale, disapplicabile dal giudice ordinario.
A parere dell'Avvocatura erariale, questo impianto sarebbe stato radicalmente messo in discussione dalla l. n. 69 del 2009 che, eliminando la possibilità per il Consiglio dei Ministri di superare il parere del Consiglio di Stato, ha, di fatto, riconosciuto natura giurisdizionale a tale strumento. In tale ottica, l'art. 7, comma 8, del c.p.a. costituirebbe una conseguenza naturale di tale riforma, volta ad evitare interferenze tra le due giurisdizioni, come tale assolutamente legittima, "a prescindere dalla sussistenza di qualunque specifico criterio o principio di delega".
3. La decisione.
3. La legittimazione del Consiglio di Stato a sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede di decisione del Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
La Corte costituzionale, chiamata a decidere sul caso, si trova, anzitutto, a risolvere la questione preliminare di legittimazione del Consiglio di Stato, in sede di parere al ricorso straordinario, a sollevare questione di legittimità costituzionale.
Il vaglio si conclude positivamente sulla scorta di considerazioni che afferiscono la natura sì giustiziale ma sostanzialmente giurisdizionale del rimedio: viene, così, superato il precedente orientamento (Corte cost., sent. n. 254/2004) ed affermata la legittimazione del Consiglio di Stato a sollevare questione di legittimità costituzionale in sede di emissione del parere su ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
A tale conclusione il Giudice costituzionale perviene prendendo le mosse dal dato testuale offerto dall'art. 69, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), che, modificando il testo dell'art. 13, primo comma, del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), ha stabilito che l'organo competente ad esprimere il parere sul ricorso straordinario al Capo dello Stato, laddove ritenga che il ricorso non possa essere deciso indipendentemente dalla risoluzione di una questione di legittimità costituzionale che non risulti manifestamente infondata, sospende l'espressione del parere e, riferendo i termini e i motivi della questione, ordina alla segreteria l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 23 e seguenti della legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché la notifica del provvedimento ai soggetti ivi indicati.
Tale disposizione, contenuta in una legge ordinaria, viene ritenuta dal Giudice costituzionale coerente con i criteri posti dall'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, ai sensi del quale la questione di legittimità costituzionale deve essere rilevata o sollevata nel corso di un giudizio e deve essere ritenuta non manifestamente infondata da parte di un giudice.
Osserva la Corte che l'istituto del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, cui in passato era stata riconosciuta natura amministrativa, soprattutto in ragione della facoltà del Consiglio dei ministri di adottare una decisione difforme dal parere del Consiglio di Stato (sentenza n. 254 del 2004), è stato, infatti, di recente oggetto di importanti interventi legislativi. Tra questi rileva, in particolare, l'art. 69, secondo comma, della legge n. 69 del 2009, che, modificando l'art. 14 del d.P.R. n. 1199 del 1971, ha stabilito che "La decisione del ricorso straordinario è adottata con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero competente, conforme al parere del Consiglio di Stato". Conclude, quindi, il Giudice delle leggi che l'acquisita natura vincolante del parere del Consiglio di Stato, che assume così carattere di decisione, ha conseguentemente modificato l'antico ricorso amministrativo, trasformandolo in un rimedio giustiziale, che è sostanzialmente assimilabile ad un giudizio, quantomeno ai fini dell'applicazione dell'art. 1 della legge cost. n. 1 del 1948 e dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953.
È noto che l'art. 1 della l.c. 1/1948 preveda che "La questione di legittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione». A sua volta, l'art. 23 della l. 87/1953 stabilisce che "Nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale una delle parti o il pubblico ministero possono sollevare questione di legittimità costituzionale".
Entrambe le disposizioni sopra richiamate fanno leva sulla ricorrenza di due elementi: uno soggettivo (un giudice, ovvero un'autorità giurisdizionale) ed uno oggettivo (un giudizio).
Esse, dunque, indicano inequivocabilmente nella giurisdizione la sola sede dalla quale può trarre origine una questione di legittimità costituzionale in via incidentale.
La Corte, soprattutto nell'intento di ampliare le occasioni di vaglio di costituzionalità, ha avuto occasione di affermare che i due requisiti, soggettivo ed oggettivo, non debbano necessariamente concorrere affinché si realizzi il presupposto processuale richiesto dalle norme richiamate, e che queste ultime consentano una determinazione dei requisiti necessari alla valida proposizione delle questioni stesse, tale da condurre, per una parte, a far considerare autorità giurisdizionale anche organi che, pur estranei all'organizzazione della giurisdizione ed istituzionalmente adibiti a compiti di diversa natura, siano tuttavia investiti, anche in via eccezionale, di funzioni giudicanti per l'obiettiva applicazione della legge, ed all'uopo posti in posizione super partes, e per un'altra a conferire carattere di giudizio a procedimenti che, quale che sia la loro natura e le modalità di svolgimento, si compiano però alla presenza e sotto la direzione del titolare di un ufficio giurisdizionale. L'anzidetto indirizzo interpretativo non sempre ha trovato effettivo riscontro nella giurisprudenza costituzionale e numerose sono le pronunce in cui la Corte si è espressa nel senso della necessaria ricorrenza di entrambi i requisiti.
Nel caso di specie il criterio utilizzato dal Giudice costituzionale ai fini dell'affermazione della legittimazione del Consiglio di Stato a sollevare questione di legittimità costituzionale è stato quello oggettivo che si concreta, a dire della Corte, nella sostanziale assimilabilità del rimedio, definito giustiziale, ad un giudizio.
A tale conclusione la Corte è pervenuta "rivalutando" la ricorrenza del requisito oggettivo a normativa variata.
In realtà l'iter argomentativo lascia qualche perplessità: da un lato, infatti, il Giudice delle leggi riconosce il carattere giustiziale del rimedio, riconducendolo sistematicamente, in ultima istanza, all'alveo dei rimedi amministrativi. Dall'altro, tuttavia, ne esalta la giurisdizionalizzazione che diventa, nella normativa vigente, il grimaldello attraverso cui trova ingresso e legittimazione la proponibilità della questione di legittimità costituzionale.
Invero, il Giudice delle leggi sarebbe potuto pervenire ad una favorevole delibazione anche per altra via, valorizzando la sussistenza, sempre nella scia dell'alternatività, del requisito soggettivo e, cioè, lo status magistratuale del Consiglio di Stato, Giudice dotato di indipendenza e a carattere permanente.
D'altro canto, la Corte di giustizia delle Comunità Europee aveva ritenuto che il Consiglio di Stato, allorché emette un parere nell'ambito di un ricorso straordinario, costituisce una "giurisdizione" ai sensi dell'art. 177 (ora art. 234) del Trattato CE ed è, in quanto tale, legittimato a sollevare questioni pregiudiziali comunitarie. In tale occasione, la Corte di giustizia aveva individuato il requisito della "giurisdizionalità" alla stregua di alcuni indici rivelatori, quali l'origine legale dell'organo, il suo carattere permanente, l'obbligatorietà della sua giurisdizione, il fatto che tale organo è chiamato ad applicare norme giuridiche in posizione d'indipendenza.
Valorizzare il requisito soggettivo avrebbe consentito alla Corte di esimersi dalla forzata collocazione del rimedio, espressamente definito "giustiziale", nell'alveo giurisdizionale (pur solo in un'ottica meramente sostanziale). In altri termini, il recupero della dimensione amministrativa dell'istituto ne avrebbe potuto consentire la sopravvivenza, che il percorso di giurisdizionalizzazione, laddove pienamente compiuto, renderebbe insensata.
4. 4. La legittimazione del Consiglio di Stato a sollevare questioni di legittimità costituzionale in sede di decisione del Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica
Risolta positivamente la questione pregiudiziale di legittimazione, il Giudice costituzionale passa all'esame del merito del ricorso, vagliando la legittimità costituzionale, sotto il profilo dell'eccesso di delega, dell'art. 7, co. 8, del d. lgs. 2 luglio 2010 n. 104 (attuazione dell'art. 44 della legge 18 giugno 2009 n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), impugnato in riferimento agli artt. 76 e 77, co. 1, Cost. laddove ammette il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica unicamente per le controversie devolute alla giurisdizione amministrativa.
La questione viene dichiarata non fondata.
L'esame prende le mosse dalle modifiche che la legge n. 69 del 2009 ha apportato alla disciplina del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, modificandolo profondamente mediante l'introduzione della vincolatività del parere reso dal Consiglio di Stato e consentendo che in tale sede vengano sollevate questioni di legittimità costituzionale.
Per effetto di queste modifiche, prosegue la Corte nel proprio ragionamento, l'istituto ha perduto la propria connotazione puramente amministrativa ed ha assunto la qualità di rimedio giustiziale, con caratteristiche strutturali e funzionali in parte assimilabili a quelle tipiche del processo amministrativo.
La disposizione censurata, perciò, è diretta a coordinare i rapporti fra la giurisdizione amministrativa e l'ambito di applicazione di un rimedio giustiziale attratto per alcuni profili nell'orbita della giurisdizione amministrativa medesima, in quanto metodo alternativo di risoluzione di conflitti, pur senza possederne tutte le caratteristiche. Conclusione necessitata secondo la Corte è che essa, dunque, non possa considerarsi al di fuori dell'oggetto della delega sul riassetto del processo amministrativo, la quale include, fra l'altro, il riordino delle norme vigenti "sulla giurisdizione del giudice amministrativo, anche rispetto alle altre giurisdizioni".
All'obiezione già anticipata del Giudice a quo riguardante l'effetto innovativo della norma sottoposta al vaglio costituzionale con la natura della delega di cui all'art. 44 della legge n. 69 del 2009, la Corte costituzionale ribatte che, in realtà, la medesima delega autorizzi l'esercizio di poteri innovativi della normazione vigente a condizione che siano "strettamente necessari in rapporto alla finalità di ricomposizione sistematica perseguita con l'operazione di riordino o riassetto".
L'esperibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica anche per controversie devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, in regime di concorrenza e non di alternatività con tale giurisdizione, si basa su una risalente tradizione interpretativa, consolidatasi, praeter legem, nel presupposto della natura amministrativa del rimedio; in virtù di tale natura, al giudice ordinario era sempre consentito disapplicare la decisione sul ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
La legge n. 69 del 2009, modificando la disciplina del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nel senso che si è in precedenza illustrato, ha fatto venir meno quel presupposto, su cui si fondava il regime di concorrenza fra tale rimedio amministrativo e il ricorso dinanzi all'autorità giurisdizionale ordinaria. Nel nuovo contesto, simile concorrenza si trasformerebbe in una inammissibile sovrapposizione fra un rimedio giurisdizionale ordinario e un rimedio giustiziale amministrativo, che è a sua volta alternativo al rimedio giurisdizionale amministrativo e ne ricalca solo alcuni tratti strutturali e funzionali.
Per risolvere questa anomalia, la disposizione de qua, superando l'assetto consolidatosi in via interpretativa, ha limitato l'ammissibilità del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica alle sole controversie devolute alla giurisdizione amministrativa.
Tale soluzione, che avrebbe potuto ricavarsi dal sistema, è comunque la conseguenza logica di una scelta - la traslazione del suddetto ricorso straordinario dall'area dei ricorsi amministrativi a quella dei rimedi giustiziali - che è stata compiuta dalla legge n. 69 del 2009. Sotto tale profilo, la norma censurata rispondebbe, quindi, ad una evidente finalità di ricomposizione sistematica, compatibile con la qualificazione di delega di riordino o riassetto normativo propria dell'art. 44 della legge n. 69 del 2009.
La lettura assai estensiva della delega contenuta nella l. n. 69/2009 ha consentito, quindi, al Giudice delle leggi di pervenire alla delibazione della non fondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale. Non si può far a meno di rilevare, tuttavia, come, in una precedente occasione, della medesima legge sia stata data una diversa interpretazione, per vero assai restrittiva, che ha determinato tutt'altro esito. Il riferimento è al vaglio costituzionale che ha condotto a dichiarare costituzionalmente illegittimi, per violazione dell'art. 76 Cost., in riferimento all'art. 44 della legge di delega n. 69 del 2009, gli artt. 133, comma 1, lettera l), 134, comma 1, lettera c), e 135, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 104 del 2010, nonché dell'art. 4, comma 1, numero 19), dell'Allegato 4 al medesimo decreto legislativo, "nella parte in cui attribuiscono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo con cognizione estesa al merito e alla competenza funzionale del TAR Lazio - sede di Roma, le controversie in materia di sanzioni irrogate dalla Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB)" nonché per le sanzioni Bankitalia (sentenze Corte cost. nn. 162 del 2012 e 94 del 2014).
In quella occasione, a dire della Corte, la delega di cui alla l. n. 69/2009 doveva essere qualificata come una delega per il riordino e il riassetto normativo. La qualificazione in questi termini sarebbe stata decisiva per gli esiti della sentenza, poiché la giurisprudenza costituzionale in materia di eccesso di delega in ipotesi di riordino o riassetto di settori normativi è assai stringente, permettendo, come sottolinea la sentenza n. 163/2012, "introduzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente soltanto nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato."
Infatti, se il fine della delega è il mero riassetto della normativa vigente, eventuali norme innovative debbono trovare principi rigorosi che li giustificano, essendo la ratio della delegazione non finalizzata ad introdurre un assetto normativo nuovo ma semplicemente a ricomporre ad unità il sistema normativo vigente. A contrario, nelle deleghe non di mero riassetto, la giurisprudenza della stessa Corte costituzionale in materia di principi e criteri direttivi è storicamente assai meno restrittiva, poiché in tale caso è alla ratio della delegazione che si guarda (che è appunto quella di introdurre una nuova normativa) cosicché i principi e i criteri direttivi devono essere interpretati alla luce delle finalità della delegazione.
Alla domanda fondamentale, quindi, se la legge di delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo (art. 44 della legge n. 69/2009) avesse la semplice finalità di riordinare il sistema normativo esistente, o viceversa si ponesse come obbiettivo quello di riformare il processo amministrativo (introducendo dunque norme e principi nuovi), la Corte risponde optando, nel caso delle sanzioni applicate dalla CONSOB e in quelle irrogate dalla Banca d'Italia, per la prima preferenza, ritenendo che n quanto delega per il riordino, essa concede al legislatore delegato un limitato margine di discrezionalità per l'introduzione di soluzioni innovative, le quali devono comunque attenersi strettamente ai principi e ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante.
La medesima legge delega, quindi, è stata interpretata nei due casi proposti in maniera ora restrittiva, ora concessiva, determinando opposte sorti per le norme sottoposte al vaglio di costituzionalità.
[1] Sebbene il presente contributo sia il frutto di un lavoro congiunto degli autori ed il risultato, dunque, di un'elaborazione, la stesura dei paragrafi 2-4 è da attribuirsi ad Eugenio Benevento e la stesura dei paragrafi 1-3 è da attribuirsi ad Elena Conte.