Diritto


Diletta Sagliocco

Negazionismo climatico ed iniziative legislative nazionali per i cambiamenti climatici

 

 

 

 Abstract: L'analisi e l'esplorazione dei diversi ambiti nazionali in materia ambientale, è alla base della lotta al cambiamento climatico. Doveroso comparare le diverse realtà "locali" al fine di giungere ad un obiettivo comune di carattere globale. La responsabilità umana legata al consumo di energia fossile, all'urbanizzazione e alla deforestazione, è identificata come principale causa del cambiamento climatico. Necessario è esplorare le implicazioni economiche, sociali ed ambientali di questo fenomeno, sottolineando la centralità di decisioni sostenibili a livello individuale, nazionale e globale, non dimenticando il fardello del negazionismo climatico, sfida persistente nonostante le evidenze scientifiche nella lotta al cambiamento climatico.

 

 

 

Sommario: 1. Introduzione - 2. La normativa internazionale e la lotta al cambiamento climatico - 2.1. Dal Clear Air Act del 1953 alla Conferenza delle Parti dell'UNFCCC del 2023 - 2.2 Il negazionismo climatico: India, Cina e Stati Uniti verso la tutela dell'ambiente - 3. La tutela dell'ambiente nel panorama europeo - 3.1. Il modello francese- 3.2. Il modello spagnolo - 3.3. L'approccio italiano - 4. Conclusioni.

 

 

1. Introduzione È un dato certo che il clima stia cambiando come in crescita è la temperatura media globale ormai da più di cento anni. La causa di questo cambiamento è certamente l'azione dell'uomo, il consumo di energia fossile, l'uso irrazionale del suolo, la devastazione, la distruzione delle foreste e l'eccessiva urbanizzazione. Il cambiamento che viviamo oggi a livello ambientale è di portata globale e potrebbe comportare danni economici gravi e complessi, impossibili da gestire ed arginare. Si è giunti ad un punto in cui non ci si può permettere una valutazione sommaria del problema clima ed ambiente, necessitando un orientamento delle scelte verso uno sviluppo sostenibile [1]. Nel corso degli ultimi due decenni, le conclusioni alle quali è giunto l'IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change [2] , sono sempre più certe ed è possibile affermare che, la causa principale dei cambiamenti climatici ai quali possiamo assistere quotidianamente è data, al 95%, dall'emissione umana dei gas serra. Le emissioni di gas serra di origine antropica sono aumentate dall'era preindustriale, guidate in gran parte dalla crescita economica e demografica. La portata dei futuri cambiamenti climatici e il loro relativo impatto dipenderanno dall'efficacia dell'attuazione degli accordi globali per ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Nonostante il quadro sopra accennato oggi trovano spazio tesi, nettamente minoritarie, che mettono radicalmente in discussione l'esistenza stessa del problema. Per definire questo tipo di posizioni è stato utilizzato il termine "negazionismo climatico" indicando il testardo ed irragionevole rifiuto delle evidenze scientifiche più solide su cui la comunità scientifica ha raggiunto un consenso. Solo in questi ultimi anni si è assistito ad un ridimensionamento della presenza delle voci negazioniste sui mass media, complici forse i primi ed evidenti segnali del cambiamento climatico in corso. A fronte del negazionismo esistono precedenti giurisprudenziali che dimostrano il contrario, come chiaramente delineato da due importanti eventi degli anni '40 ai quali hanno fatto seguito altrettante sentenze di condanna. Il riferimento va al caso Trail, una controversia sorta tra Stati Uniti e Canada per una fonderia canadese che aveva provocato l'immissione di gas tossici in aria causando danni ai raccolti statunitensi (il Canada fu condannato a rifondere i danni dal tribunale costituito appositamente); ed al caso Corfù del 1949 che vide l'intervento della Corte di Giustizia Internazionale e che sancì l'obbligo per tutti gli stati di non lasciare utilizzare il proprio territorio per atti contrari agli altri Stati. È proprio la natura transfrontaliera dell'inquinamento che consentirà la formulazione e riformulazione della normativa internazionale e comunitaria, che oggi si basa su due principi: • il dovere di cooperazione tra gli Stati, senza la quale non possono essere sviluppati programmi di gestione ambientale su aspetti transfrontalieri; • il diritto alla conoscenza e alla tutela, svincolato dal paradigma "proprietà". Davanti ai danni causati dall'inquinamento, fenomeno che non conosce confini geografici [3], la legislazione nazionale adottata nei vari Paesi e la protezione riconosciuta all'ambiente, anche a livello costituzionale, si è dimostrata ben presto insufficiente e l'equilibrio dell'ecosistema è divenuto oggetto di preoccupazione generale. La protezione giuridica dell'ambiente trova il suo primo ostacolo nell'esatta delimitazione giuridica del concetto di ambiente e nel posizionamento del valore ambientale nel contesto costituzionale. In tutto ciò il legislatore europeo ha ricoperto un fondamentale ruolo di indirizzo, tramite la definizione di principi sostanziali della tutela dell'ambiente e richiedendo l'adozione di efficaci strumenti di tutela di diritto penale. Osservando il nostro sistema di tutela, questo è stato a lungo caratterizzato da discipline settoriali prive di un funzionale coordinamento, da un apparato sanzionatorio fondato su fattispecie di tipo contravvenzionale e su sanzioni amministrative pecuniarie, non in grado di assicurare quell'efficace tutela che chiedeva il legislatore europeo. L'inefficacia era, inoltre, alimentata dal fatto che il nostro ordinamento non prevedesse alcuna forma di responsabilità diretta della persona giuridica nelle ipotesi di reati ambientali commessi a suo interesse. Tale lacuna risultava particolarmente rilevante in un ambito, come quello ambientale, dove i maggiori danni sono causati da attività di carattere industriale ascrivibili, piuttosto che all'esecutore materiale, ad una generale politica d'impresa. A tali problematiche si iniziò a far fronte con l'adozione del Codice dell'ambiente (d.lgs. n. 152/2006), che ridusse la settorializzazione del diritto ambientale, disciplinando diverse matrici ambientali, modificato poi con il secondo correttivo nel gennaio 2008 (d.lgs. n. 4/08), pur non fornendo una definizione autonoma e in via diretta di ambiente, ne circoscrive l'ambito nella definizione dell'impatto ambientale [4]. La tematica dell'ambiente comincia a ricorrere nelle argomentazioni della Corte costituzionale soltanto a partire dagli anni ‘70, in sintonia con quanto andava emergendo nell'ambito del diritto internazionale e dell'ordinamento comunitario. Il primo riferimento esplicito della Corte al termine "ambiente" fu fatto solo nella sentenza n. 79/71 [5], dove si afferma che la legge istitutiva del Parco nazionale dello Stelvio "vuole conservare alla collettività l'ambiente naturale che si è costituito spontaneamente o mediante l'opera dell'uomo". In quella sentenza la Corte sottolineava l'interesse fondamentale alla conservazione dei beni costituenti l'ambiente naturale per il loro valore scientifico, storico, etnografico e turistico. La nozione di ambiente è stata sempre data per presupposto ed il termine, pur indicato nei primi testi normativi, non ha mai trovato una precisa sistemazione dogmatica, fino all'introduzione nella nostra carta fondamentale avvenuta nel febbraio del 2022. Con le modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione si apre un nuovo scenario all'interno del panorama nazionale. Per la prima volta dal 1948 viene apportata una modifica ad uno degli articoli della Costituzione contenenti i c.d. "Principi Fondamentali" dell'ordinamento costituzionale (artt 1-12). L'art.9 introduce la tutela dell'ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni, stabilendo, altresì, che la legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali. La riforma è intervenuta, inoltre, sul secondo comma dell'art. 41 disponendo nella nuova formulazione che l'attività economica privata è libera, e non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o "in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana". 2. La normativa internazionale e la lotta al cambiamento climatico Il cambiamento climatico è un fenomeno globale che interessa il pianeta Terra. Nonostante le idee sul clima siano state soggette a ripensamenti più rapidamente dei cambiamenti effettivi del sistema climatico, nel corso degli ultimi vent'anni c'è stato un allineamento consistente degli studi che sembrano convergere nell'identificare il punto d'inizio dell'alterazione nella rivoluzione industriale. Secondo la teoria del global warming le attività umane sono associate all'emissione di gas serra - soprattutto anidride carbonica e metano - motivo per cui viene anche detto "surriscaldamento climatico antropogenico". Il cambiamento climatico è, per definizione, un problema transfrontaliero che non può essere risolto unicamente con un'azione nazionale o locale, per tale ragione si è elaborata una legge europea per il clima. Nella comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, dell' 11 dicembre 2019, si parla del Green Deal europeo come : "nuova strategia di crescita mirata a trasformare l'UE in una società giusta e prospera, dotata di un'economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall'uso delle risorse" . Il Green Deal europeo prevede un piano d'azione volto a: promuovere l'uso efficiente delle risorse passando a un'economia pulita e circolare; ripristinare la biodiversità e ridurre l'inquinamento. Accanto a questa nuova strategia proposta al fine di salvaguardare il nostro pianeta, la comunità scientifica che si occupa di registrare i dati sul clima ha reso note le inaspettate osservazioni degli ultimi decenni, producendo una serie di documenti ufficiali che hanno indirizzato agli organismi internazionali. 2.1 Dal Clear Air Act del 1953 alla Conferenza delle Parti dell'UNFCCC del 2023 Volendo ripercorrere l'intensa attività normativa di livello internazionale, è doveroso richiamare il Clean Air Act, del 1953, prima nel Regno Unito e poi negli Stati Uniti. Dopo quattro anni di studi per mettere a nudo i problemi e proporre le azioni necessarie, nel 1956, venne approvato dal Parlamento del Regno Unito, il Clean Air Act, la prima legge antinquinamento atmosferico che autorizzava le autorità locali a stabilire le zone di controllo dai fumi in cui sarebbe stato considerato reato l'emissione di fumo scuro da qualsiasi ciminiera per più di cinque minuti all'ora. L'aria pulita, conseguenza di questa legge, ha avuto notevoli effetti sulla salute pubblica e sull'ambiente edificato, rendendo duraturo il restauro delle facciate esterne degli edifici. Negli Stati Uniti l'approvazione del Clean Air Act avvenne nel 1963 e modificato in modo notevole negli anni 1970, 1977 e 1990 in modo da aggiungere indicazioni per lo scambio delle emissioni e nuove disposizioni per affrontare le piogge acide, il buco dell'ozono, l'inquinamento atmosferico e predisporre un programma nazionale di permessi. A livello internazionale, la considerazione della primarietà dell'ambiente si rinviene nella Dichiarazione di Stoccolma del 1972 [6], il cui preambolo afferma che "la protezione ed il miglioramento dell'ambiente è una questione della massima importanza che attiene al benessere delle popolazioni e allo sviluppo economico del mondo intero", mentre il principio 1 parla di "dovere inderogabile dell'uomo di proteggere e migliorare l'ambiente per le generazioni presenti e future". Presupposto della Dichiarazione era quindi la presa di coscienza dei problemi dell'ambiente e del progressivo deteriorarsi delle sue condizioni, in un momento nel quale, con gli shock petroliferi degli anni Settanta, emersero i primi segnali allarmanti degli stretti legami tra ecosistema e crescita economica e si sono resi evidenti i danni all'ambiente causati da uno squilibrato sviluppo industriale. Successivamente ed in conseguenza del vertice di Stoccolma fu instituito l'UNEP - United Nations Environment Programme, un organismo delle Nazioni Unite avente un rilevante ruolo propositivo e di guida nella battaglia per la salvaguardia dell'ecosistema terrestre [7] e, in linea con quanto delineato dalla conferenza svedese, nel 1977 fu redatto il Rapporto Leontief [8], volto a valutare i possibili scenari di fine secolo rispetto al binomio sviluppo-ambiente. Nel solco giù tracciato, nel 1987 la Commissione mondiale sull'Ambiente e lo Sviluppo diede alle stampe l'importante Rapporto Brundtland. Più che ambiente come diritto, ad esso bisogna rivolgersi come se si trattasse di un dovere dell'uomo, di una dimensione essenziale della sua salute, del suo progresso e della sua stessa esistenza. In tale ottica, si organizzò il summit sulla Terra a Rio de Janeiro (UNCED), in occasione del quale si cercò di dare effettiva attuazione a questa nuova concezione trasferendola nella prassi politica ed istituzionale del mondo intero. La Conferenza di Rio costituisce una tappa fondamentale nel cammino verso la promozione di modelli di sviluppo sostenibile a livello mondiale. L'obiettivo prioritario dei 183 Paesi che, dopo due anni di intensi lavori preparatori, vi hanno partecipato, era quello di instaurare «una nuova ed equa partnership globale, attraverso la creazione di nuovi livelli di cooperazione tra gli Stati, i settori chiave della società ed i popoli», procedendo attraverso la conclusione di intese internazionali dirette a rispettare gli interessi di tutti gli abitanti della terra ed a tutelare l'integrità del sistema globale dell'ambiente e dello sviluppo. La Conferenza di Rio ha avviato una nuova fase della politica internazionale in materia di tutela dell'ambiente, incentrandola sulla costituzione di nuove forme di collaborazione in vista di una nuova società globale. Lo slogan coniato fu "Think globally, act locally" [9]. Il Protocollo di Kyoto, approvato dalla Conferenza delle Parti nella sua terza sessione plenaria tenuta appunto a Kyoto dall'1 al 10 dicembre 1997 ed aperto alla firma il 16 marzo 1998, contiene le prime decisioni sull'attuazione operativa di alcuni degli impegni stabiliti durante il summit di Rio de Janeiro e formalizzati nella Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici , del 1992 [10]. Il Protocollo ha individuato una serie di azioni prioritarie per la soluzione delle problematiche dei cambiamenti climatici globali, imponendo in particolare ai Paesi sviluppati ed a quelli ad economia in transizione dell'Est Europa di avviare un processo di collaborazione mondiale su base consensuale, improntato sulla centralità dei problemi del clima globale nello sviluppo socioeconomico mondiale. Di certo lo stesso ha rappresentato un ottimo punto di partenza nel cammino verso il recupero di un giusto ed equilibrato ecosistema anche considerato che con la sua entrata in vigore, le disposizioni contenute sono vincolanti. Ma a bloccare il processo di limitazione sulle emissioni gassose furono, come immaginabile, gli Stati Uniti che da soli contribuiscono con il 36% delle emissioni globali [11]. Un nuovo quadro giuridico fu delineato dall'Accordo di Parigi del 2015 che rappresenta sia un punto di partenza per innovative azioni di lotta al cambiamento climatico, sia un punto di arrivo trattandosi di "un evento tutt'altro che inaspettato o improvviso, ma il prodotto di un lungo lavoro di preparazione da parte della diplomazia del clima, formata dagli esperti che lavorano a tempo pieno nell'organizzazione creata dalla Convenzione Quadro" [12]. I lavori terminarono con l'adozione di due documenti costituenti il nuovo quadro giuridico ossia la Decisione della COP e il Paris Agreement. I documenti presentano diversa efficacia, infatti, solo l'Agreement costituisce la parte giuridicamente vincolante del "Paris Outcome" mentre la Decisione è priva di forza vincolante ma ha natura legale. L'obiettivo dell'Accordo si articola su tre fronti: la mitigazione, l'adattamento e i finanziamenti per il clima. Nel definire gli interventi di mitigazione, vi è un mutamento radicale di approccio ai problemi, passando da quello "top-down" di Kyoto a quello "bottom-up" di Parigi. Viene privilegiata l'auto-responsabilità e per assicurarne l'effettiva esecuzione, "non sono infatti previsti meccanismi sanzionatori, ma azioni articolate su tre assi trasparenza e dovere di informazione (art. 13), sostegno ai Paesi più deboli (art. 10), efficienza e la creazione di un apposito organismo con compiti di facilitazione e promozione (art. 15) [13]. La seconda finalità dell'Accordo, di cui alla lettera b) dell'articolo 2, è quella di contribuire alle strategie di adattamento. Scompare del tutto l'idea che aveva ispirato per lungo tempo le politiche ambientali ossia che adattamento significasse resa e disfattismo[14], abbandonando il desiderio di contenere il cambiamento climatico agendo solo sul fronte delle cause. Alla questione dell'adattamento è connesso il terzo e ultimo obiettivo di Parigi, sicuramente il più dibattuto, ossia all'organizzazione degli strumenti e dei flussi finanziari, vale a dire ai cento miliardi di dollari da corrispondere ai Paesi meno sviluppati per aiutarli nella transizione verso un'economia più sostenibile. Il nuovo Rapporto speciale dell'IPCC consegnato ad ottobre 2018 all'UNFCCC, frutto di intense ricerche, ha sottolineato che disporremmo solo di tempo fino al 2030 per limitare il global warming alla soglia considerata ancora sicura di +1.5° C rispetto al 1990. Tale Rapporto fece emergere quanto l'Accordo di Parigi si sia rivelato insufficiente a perseguire gli obiettivi preposti. La XXIV Conferenza delle Parti (COP) si è svolta nella città polacca di Katowice dal 2 al 15 dicembre 2018 e si è conclusa con la piena attuazione all'Accordo di Parigi, elaborando il Rulebook, come era stato fatto precedentemente nel 2001 a Marrakesh per implementare il Protocollo di Kyoto. La Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP26) si è tenuta a Glasgow, Scozia, nel novembre 2021. È stata una delle conferenze più importanti degli ultimi anni per affrontare la crisi climatica e promuovere l'azione internazionale per limitare l'aumento della temperatura globale. Gli obiettivi principali individuati dalla Presidenza sono stati poi ripresi, l'anno successivo, a Sharm el-Sheikh il 7 e 8 novembre in occasione del vertice sull'attuazione per il clima che ha dato il via alla 27ª conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. L' UE era rappresentata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, i quali hanno posto l'accento sull'urgenza di un'azione immediata in materia di cambiamenti climatici, riconoscendo allo stesso tempo che la guerra della Russia contro l'Ucraina ha reso la situazione più complessa. La COP28 si è conclusa lo scorso 13 dicembre, dopo intensi negoziati sulla dichiarazione finale ed ha portato ad un compromesso sulla "transizione dai combustibili fossili". Tra le principali misure previste c'è la triplicazione della capacità di energia rinnovabile nel mondo entro il 2030, un obiettivo approvato da 116 parti alla COP28 - senza Cina, India e Russia. 2.2 Il negazionismo climatico: India, Cina e Stati Uniti verso la tutela dell'ambiente Il riscaldamento globale è ormai diventato la grande questione ambientale del XXI secolo; la comunità scientifica lo giudica inequivocabile e considera elevata la probabilità che in questo secolo la Terra dovrà fronteggiare cambiamenti climatici molto pericolosi per le persone e gli ecosistemi che la abitano. Eppure, ancora oggi trovano spazio tesi che mettono radicalmente in discussione l'esistenza stessa del problema. Le critiche sono mutate nel tempo, passando dal sostenere l'assenza di cambiamenti climatici al contestare la dimensione dei cambiamenti e le responsabilità umane, sempre meno in discussione. Ad essere fortemente criticato dai negazionisti è proprio il primo accordo internazionale di riduzione delle emissioni climalteranti, il Protocollo di Kyoto, ritenuto troppo blando ed oneroso, e stante il mancato coinvolgimento di tutti i maggiori emettitori mondiali. Altro argomento di grande attualità è la richiesta di impegni di riduzione delle emissioni anche per Paesi quali India e Cina, indicando gli impegni di questi Paesi come condizione per l'implementazione di politiche sul clima. Con l'accordo di Parigi del dicembre 2015, quasi tutti i Paesi hanno accettato di mettere sotto controllo le emissioni, seppur in modo differenziato. Il successo delle posizioni negazioniste va cercato, sicuramente, nel loro essere comode, nel rassicurare, nel favorire la negazione del senso del limite, caratteristica della nostra società. Per affrontare la problematica ambientale così come vissuta negli Stati Uniti, bisogna confrontare gli approcci assunti dall'amministrazione Obama prima e da quella Trump poi. L'elezione di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti fu salutata con aspettative di ottimistico entusiasmo anche per l'impegno a tutela dell'ecosistema che l'aspirante democratico alla Casa Bianca aveva posto tra le priorità del suo programma elettorale, candidandosi a diventare il Presidente di un'America ecologica ed ecologista. Tale indirizzo emerse chiaramente dalla lettura del testo programmatico del partito democratico per le presidenziali del 2008, il Blueprint for Change, dove si dedica un apposito capitolo ai problemi dell'energia e dell'ambiente [15] e si prevedeva un forte investimento nello sviluppo di fonti di energia alternative e rinnovabili. Per indirizzare gli Stati Uniti verso la promessa green economy, Obama si mosse con il supporto della maggioranza democratica del Congresso per adottare un quadro legislativo di riferimento [16]. L'elezione di Donald Trump quale nuovo presidente degli Stati Uniti rappresentò l'intenzione di non implementare l'Accordo di Parigi e la connessa volontà di uscirne. Annunciando il ritiro dell'America, Trump affermò: "we don't want other leaders and other countries laughing at us anymore". Fino al 2021, l'Amministrazione negazionista di Trump ha abbandonato ogni tentativo di controllo delle emissioni dannose, impoverito gli standard che garantiscono l'accesso ad acqua pulita e ad aria meno inquinata, penalizzato la tutela del suolo pubblico e degli animali minacciati di estinzione per favorire l'estrazione di combustibili fossili. Tra gli altri Paesi "negazionisti" ben si delinea l'India che, sebbene, già dall'inizio del 1970 introduce nuovi standard ambientali da rispettare, vede i livelli di inquinamento progressivamente aumentare nel tempo sia a causa della natura delle regolamentazioni (più incentrate sugli standard di inquinamento che sulla quota dell'effettivo) sia per la cronica disapplicazione delle stesse, che hanno di fatto reso il regime di regolamentazione praticamente inesistente. Tra le principali norme in materia ambientale ricordiamo il Water Act del 1974 e l'Air Act del 1981, anche se le norme ambientali di questo paese si basano soprattutto su valori di inquinamento da rispettare, piuttosto che su metodi innovativi per l'abbattimento dell'inquinamento rendendosi necessarie, quindi, norme che puntino sull'innovazione degli strumenti tecnologici atti ad abbattere l'inquinamento industriale, anche se ciò potrebbe causare un aumento dei costi. Bisogna però fare un passo indietro nel tempo e risalire all'incidente di Bopal del 1984 quando una nube tossica, diffusasi dagli stabilimenti della Unione Carbide India Ltd., causò uno dei peggiori disastri ambientali della storia. La Union Carbide India era una affiliata della Union Carbide con sede negli Stati Uniti e, una settimana dopo l'incidente, numerose cause vennero intentate negli Stati Uniti contro di essa. Nel Febbraio 1985 entrò in vigore in India il Bhopal Gas Leak Disaster Act, in base al quale venne assegnato al governo indiano il diritto esclusivo di rappresentare in giudizio le vittime del disastro in India e all'estero. Sulla base di questo Act, il governo indiano ha preso parte al processo contro l'Union Carbide davanti alla Southern District Court di New York [17] , dove erano state unificate tutte le azioni proposte fino a quel momento. Quanto alla costituzione indiana, nel testo originario non apparivano disposizioni che riguardavano direttamente la tutela dell'ambiente [18]. Nel 1976 vengono introdotte nella carta fondamentale disposizioni che direttamente prevedono un dovere di tutela dell'ambiente sia per lo Stato che per i cittadini [19]. Ma se non poté la politica o la comunità internazionale, a limitare i danni all'ambiente indiano, la natura è riuscita a fermare od almeno rallentare il processo. L'improvviso blocco a livello nazionale nel consumo di carbone e petrolio dovuto al lockdown per l'epidemia di Coronavirus, ha comportato una diminuzione delle emissioni di anidride carbonica del 15% nel mese di marzo 2020 e del 30% nel mese successivo e per contro, si è registrato un aumento del 6,4% nel mese di marzo quanto al ricorso alle fonti di energia rinnovabile ed una diminuzione del 18% nel consumo di petrolio. Pur partecipando puntualmente ai piani stabiliti nei vari congressi e convenzioni internazionali, la Cina non ha inteso e non intende discostarsi dalla sua linea di indipendenza e di autonomia, anzi di difesa dei risultati raggiunti, soprattutto economici. Consapevole, tuttavia, della gravità e dell'urgenza dei problemi, e non pochi, rimasti sul tappeto, ha dato inizio nel corso dell'anno 2015 a lavori di "restauro" politico, etico, territoriale, il cosiddetto "sogno cinese", per mettere allo scoperto i politici collusi con gli inquinatori. Nel 1954 la prima Costituzione della Repubblica Popolare Cinese nel comma 2 dell'art. 6, stabiliva per la prima volta quali fossero le risorse naturali di proprietà dello Stato: «Tutte le risorse minerarie e le risorse idriche, le foreste, le terre incolte e le altre risorse che lo Stato possiede secondo la legge, sono di proprietà di tutto il popolo». Gli anni '50 si chiusero in Cina con la sfida del Grande balzo in avanti, il progetto di Mao per l'accelerazione economica che si realizzò così smoderatamente da risultare il primo vero e proprio atto aggressivo e distruttivo nei confronti dell'ambiente. Nel 1972 vi fu un importante impulso con la sottoscrizione, da parte della Cina, della Dichiarazione di Stoccolma e nell'agosto dell'anno successivo, si convocò la Prima conferenza nazionale sulla tutela dell'ambiente. Il primo provvedimento formale fu disposto nella Costituzione del 1978, con il comma 3 dell'art. 11 [20]. Nel periodo 1989-2000, periodo di assestamento della normativa e di adeguamento ai parametri internazionali, prese vita la transizione dall'economia pianificata all'economia socialista di mercato che comportava nuove situazioni e nuovi, diversi e più gravi problemi ambientali. Alla luce degli accordi internazionali, la Cina fu indotta ad avviare revisioni e ragguagli in merito alla legislazione fino ad allora vigente. Nel XV Congresso del Partito Comunista Cinese nel 1997, in un documento ufficiale, il Segretario generale del Partito Jiang Zemin sottoscrisse, e per la prima volta, l'espressione "sviluppo sostenibile". Nonostante ciò, quando fu negoziato il Protocollo di Kyoto nel 1997, la Cina dichiarò che non avrebbe considerato di ridurre le emissioni di gas serra fino a che non avesse raggiunto un "livello medio di sviluppo" (corrispondente a un reddito pro-capite annuo di circa 5,000 dollari che si sarebbe dovuto ragionevolmente raggiungere attorno alla metà del ventunesimo secolo). Durante il XVII COP - Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenutosi nel 2011 a Durban, la Cina si mostrò aperta ad assumersi obblighi e non solo dichiarazione di intenti riguardo al suo contributo al cambiamento climatico, e a discutere i target totali di emissioni di gas serra [21]. Il 30 Giugno 2015 inviò all'UNFCCC - Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il proprio piano d'azione sul clima, in anticipo rispetto alla Conferenza di Parigi, prevista a dicembre dello stesso anno. Nel 2017, fu approvata la storica Environmental Protection Tax Law che pose un punto al problema dell'implementazione delle norme contro le emissioni industriali, conferendo ai governi locali ampi poteri per far rispettare i nuovi stringenti limiti previsti dal testo di legge disponendo sanzioni severe per i trasgressori. Nel dicembre 2020, il Presidente della Repubblica popolare cinese, Xi Jinping, indicò che la Cina avrebbe aumentato del 25% l'uso delle risorse energetiche non fossili come fonte di energia primaria, assieme all'installazione di generatori di energia eolica e solare per più di 1,2 miliardi di kilowatt entro il 2030. È evidente che il paese intende divenire un leader nella questione ecologica, infatti, secondo il rapporto "Doing Business 2020" della Banca mondiale, la Repubblica popolare cinese ha radicalmente trasformato il suo modello di business negli ultimi due anni, avendo scalato 47 posizioni (dalla 78a alla 31a) nel ranking globale, più velocemente rispetto alla gran parte delle 190 economie valutate. L'ultimo piano quinquennale 2021-2025 intende porre al centro dell'attenzione la c.d. carbon neutrality entro il 2060, ovvero il passaggio da combustibili non fossili in una percentuale superiore all'85%. 3. La tutela dell'ambiente nel panorama europeo L'Unione europea si è distinta per il suo impegno attivo nel contrastare il cambiamento climatico, con tutti i suoi membri che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto. Nonostante alcuni paesi non abbiano pienamente rispettato gli obiettivi, i leader europei hanno posto il riscaldamento globale come priorità nelle loro agende. La ripartizione dei limiti ed il raggiungimento degli obiettivi spetteranno ai singoli Stati membri secondo quote assegnate dalla Commissione europea, tenendo in considerazione i differenti punti di partenza e potenzialità nazionali, compreso il livello esistente delle energie rinnovabili e del mix energetico che ogni paese sarà libero di scegliere, incluso il possibile ricorso all'energia nucleare. I paesi dell'unione, a differenza di quelli extraeuropei, e in particolare dei paesi asiatici, hanno mostrato in tempi più recenti un notevole ridimensionamento del ricorso all'energia nucleare, in favore dell'espansione delle fonti rinnovabili. Le cause sono legate alle legislazioni nazionali e poi a quella europea, molto più ferree rispetto a quella di paesi come ad esempio la Cina, dove si supporta uno sviluppo economico crescente. Doveroso è, fare un passo indietro nel tempo e ripartire dal Trattato di Roma del 1957 ove non sono rinvenibili menzioni di competenze comunitarie nel settore ambientale. Fu grazie a questa mutata sensibilità che nel 1973 il Consiglio adottò il "Primo Programma d'Azione sull'Ambiente", al quale, ben presto, ne seguirono altri. L'attuale art. 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea ha specificato gli obiettivi della politica ambientale della Comunità definendo i principi di base sui quali l'azione in materia ambientale della Comunità dovrebbe essere fondata , elencando i fattori che la Comunità deve considerare nello sviluppare la propria politica ambientale, stabilendo i poteri rispettivi della Comunità e degli Stati membri in materia di tutela dell'ambiente; ed infine si occupa delle relazioni internazionali che coinvolgano la politica ambientale La centralità della tutela ambientale nell'ambito dei principi fondamentali dell'Unione è stata riconosciuta anche dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia la quale ha avuto modo di precisare che la tutela ambientale costituisce uno degli obiettivi fondamentali dell'Unione [22]. Provando a fornire un inquadramento di massima dell'approccio costituzionale al problema ambientale così come affrontato nel continente europeo, occorre specificare che la prima costituzione "ambientale" è quella della Grecia sebbene il testo del 1975 "non riconosce appieno un diritto all'ambiente ed è basato su un'impostazione essenzialmente statalista, considerando la tutela dell'ambiente come un mero obbligo dello Stato". Come autorevole dottrina ha osservato, i testi costituzionali europei del ventennio '70- '80 si caratterizzano sia per aver fortemente influenzato culturalmente le costituzioni del resto del mondo sia per contenere una visione parziale della tutela ambientale legata all'attività dello Stato e collocata nella sezione programmatica del testo costituzionale [23]. Stessa dottrina spiega la reticenza verso un pieno riconoscimento della tutela dell'ambiente quale diritto ed interesse primario con la necessità di un suo bilanciamento con le esigenze di sviluppo economico e della crescita "intesa quale obiettivo quasi sempre prevalente sulla tutela stessa". In realtà, il successivo sviluppo del costituzionalismo ambientale, confermerà la tesi avanzata dalla dottrina di cui sopra e l'evoluzione di detto costituzionalismo condurrà ad un rafforzamento della tutela e sarà facile incontrare il riconoscimento di un diritto all'ambiente focalizzato sulla nozione di sviluppo sostenibile quale punto di equilibrio tra istanze del diritto ambientale e crescita economica quale interesse primario. 3.1. Il modello francese Dal punto di vista storico, il principio "chi inquina paga" è recepito dal legislatore francese nel diritto interno con una legge del 1995, la legge Barnier [24]. In realtà, la particolarità dell'introduzione del principio "chi inquina paga" in Francia, sta nel fatto che si tratta oggi di un principio sancito dalla Costituzione e contenuto nel progetto di Carta dell'ambiente presentato dall'allora Presidente della Repubblica Francese, Jacques Chirac, il 25 giugno 2003. Questo progetto metteva in pratica l'impegno assunto dal Presidente della Repubblica di proporre ai francesi una Carta dell'ambiente sostenuta a livello costituzionale, con l'intento di inscrivere una ecologia umanista all'interno del patto costituzionale, consacrando un impegno solenne nella continuità della Dichiarazione dei diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789 e del Preambolo alla Costituzione del 1946. Qual è la portata dell'elevazione del principio "chi inquina paga" a livello costituzionale? Per molti commentatori, la carta era considerata come un testo che si limitava a proclamare un "principio generale", senza che tale principio, in sé, avesse una portata pratica effettiva. Tuttavia, nella sentenza n. 2008-564 del 19 giugno 2008, il Consiglio costituzionale ha messo fine ai commenti secondo i quali la Carta non avrebbe rappresentato un testo di diritto ma delle "semplici chiacchiere", il Consiglio di Stato, in una successiva delibera del 3 ottobre 2008 ha, a sua volta, pienamente riconosciuto il valore costituzionale della carta. Il complesso dei diritti e dei valori definiti nella Carta hanno ormai valore costituzionale e obbligano gli enti pubblici e le autorità amministrative nei loro rispettivi ambiti di competenza. Tale elevazione della Carta al rango costituzionale pone nondimeno alcuni problemi. Così il giudice amministrativo subordina la possibilità, per gli attori, di invocare alcuni articoli della Carta all'adozione di una legge che ne disciplini l'attuazione. È probabile che il principio «chi inquina paga» possa essere direttamente invocato da attori che pongano la questione prioritaria di costituzionalità, tanto più che, contrariamente ad altri principi generali del diritto dell'ambiente, il principio «chi inquina paga» sembra molto più preciso e può essere analizzato come una vera e propria norma giuridica. Ciò che potrebbe verificarsi è però un problema di conflitto nella gerarchia delle norme, tra da una parte il trattato dell'Unione europea e i testi di legge da esso derivanti e dall'altra la costituzione francese. Pur ammettendo sempre la superiorità del diritto europeo sulle leggi e sui regolamenti, il Consiglio costituzionale si è sempre rifiutato di ammettere la superiorità del diritto europeo sulla costituzione francese. Dal canto suo, la giurisprudenza del Consiglio di Stato francese ammette, nel cosiddetto controllo di convenzionalità, la superiorità del diritto europeo sulle leggi interne votate dal parlamento francese. Per quanto riguarda il riparto delle competenze tra il livello centrale e il livello decentrato di governo, nell'ordinamento costituzionale francese la normativa in materia di tutela dell'ambiente viene adottata in via assolutamente preminente al livello statale [25]. Coerentemente con il modello francese a regionalizzazione sostanzialmente moderata le competenze degli enti locali in materia di ambiente, pur presenti, sono fortemente limitate dalla prevalenza del livello centrale di governo [26]. Le più rilevanti attribuzioni in materia di tutela dell'ambiente spettano, al livello decentrato, al prefetto, rappresentante dello Stato nei dipartimenti amministrativi, che si occupa, tra le altre cose, del rilascio delle autorizzazioni ambientali e della garanzia del rispetto della legge statale nell'ambito del governo locale. Similmente, rilevanti funzioni di tutela dell'ambiente sono svolte dal Ministero competente per il tramite di una rete capillare di ispettorati che rispondono direttamente ad esso, e dunque anche le funzioni amministrative sono esercitate non già dagli enti locali, ma da articolazioni decentrate degli enti centrali. Agli enti decentrati sono pertanto attribuite alcune competenze regolamentari, di natura di fatto residuale, di mera esecuzione delle politiche statali, oltre ad alcune funzioni amministrative in applicazione delle leggi adottate dallo Stato centrale. 3.2. Il modello spagnolo Da quanto è stata promulgata la Costituzione spagnola, nel 1978, la questione ambientale è ormai divenuta centrale, sia nell'azione dei poteri pubblici che nella coscienza sociale. L'importanza dell'ambiente per il progresso, l'economia, la cultura e la qualità della vita è stata riconosciuta in pieno dalla giurisprudenza e confermata da numerose riforme legislative. Per una corretta comprensione del suo inquadramento giuridico è necessario leggere integralmente l'art. 45 della Costituzione: "1. Tutti hanno diritto a fruire di un ambiente adeguato per lo sviluppo della persona e hanno il dovere di preservarlo. 2. I pubblici poteri vigilano sulla razionale utilizzazione di tutte le risorse naturali al fine di proteggere e migliorare le condizioni di vita, difendere e ripristinare l'ambiente, avvalendosi dell'indispensabile solidarietà collettiva. 3. Per chiunque violi quanto disposto al comma precedente sono stabilite, nei termini fissati dalla legge, sanzioni penali o, nel caso, amministrative, con l'obbligo al risarcimento del danno causato" [27]. Il diritto riconosciuto dall'art. 45 non è corredato da una protezione diretta del suo contenuto essenziale, in quanto una simile tutela è riservata solo ai diritti di libertà (enunciati negli artt. da 14 a 29 della Costituzione). Il Preambolo della Costituzione spagnola proclama la volontà di promuovere il progresso della cultura e dell'economia, onde assicurare a tutti una degna qualità della vita; la qualità della vita come valore giuridico, come bene costituzionale, e obiettivo perseguibile attraverso l'art. 45. Pone l'accento sul carattere antropocentrico della tutela ambientale e sul ruolo fondamentale del progresso sociale, e favorisce la trasformazione dello Stato di diritto nello Stato ambientale di diritto, dello Stato del benessere nello Stato della qualità della vita. Ciò non significa che la Costituzione anteponga la qualità della vita allo sviluppo e al progresso sociale, ma che essa sottolinea il valore sociale del progresso, abbracciando quindi una nozione di progresso che integri la conservazione degli elementi naturali che sostengono la vita umana [28]. Con l'espressione utilizzata nell'art. 45 della Costituzione spagnola il costituente assegna ai pubblici poteri un obiettivo chiaro: difendere lo stato dell'ambiente per un'adeguata qualità della vita. Essi sono in grado di determinare le condizioni di compatibilità di norme o consuetudini con gli interessi ambientali. Essendo obiettivi o fini costituzionali, le funzioni collegate all'art. 45 vanno considerate come veri e propri mandati o incarichi, rivolti in primo luogo al legislatore, affinché questo ne assicuri l'applicazione con norme che rispettino la Costituzione. Il legislatore deve porre in essere una protezione ambientale conforme al progresso sociale, senza però perdere di vista la prospettiva antropocentrica dell'ambiente e dei fenomeni naturali [29]. Attualmente, la dottrina spagnola cerca di ricavare dall'art. 45 la proclamazione di un diritto soggettivo; alcuni autori continuano a sostenere che l'art. 45 comporta un mero limite al legislatore nella disciplina di un diritto in relazione alla sensibilità di un determinato momento storico. Meritano peraltro interesse le posizioni che lo classificano come un diritto di fruizione collettivo. Malgrado la formulazione dell'art.45, le modalità di salvaguardia del diritto previste dall'art. 53.3 non sono quelle tipiche del diritto soggettivo, se come tali s'intende una situazione giuridica meritevole di tutela assoluta. L'esistenza di un diritto soggettivo potrebbe affermarsi unicamente in base al fatto che la Costituzione prevede un diritto di fruizione e un dovere di conservazione. Per questo motivo appare più esatto far derivare dall'art. 45 un diritto a proteggere l'ambiente attraverso il procedimento, intendendo come tale l'accesso ai meccanismi giurisdizionali di tutela: l'azione pubblica ambientale, il diritto d'accesso all'informazione ambientale, e la partecipazione al processo d'elaborazione delle disposizioni generali. 3.3. L'approccio italiano La prima forma circa la tutela dell'ambiente si rinviene, all'interno del territorio italiano, nel 1900, si tratta di una tutela indiretta poiché riconducibile solamente alla tutela delle bellezze naturali e degli immobili di interesse storico. Oggetto di tutela, in questa prima fase, è unicamente il "bello" ossia il patrimonio italiano. Durante il periodo fascista vengono tutelate le bellezze individuate quali singolarità geologiche, parchi, giardini e le bellezze d'insieme. La tutela viene ad essere apprestata solamente all'aspetto estetico dei beni e, in relazione ad esso, si impone il vincolo di non edificare nel luogo o di non modificare l'aspetto. Sempre durante l'epoca fascista vengono adottate le prime leggi istitutive dei parchi nazionali, dette leggi descrivono le aree oggetto di tutela come territori che, per il particolare pregio faunistico e floristico, per le bellezze paesaggistiche o per il rilievo geomorfologico, risultano meritevoli di tutela giuridica. Il riconoscimento del diritto all'ambiente e della sua tutela come «diritto fondamentale» dell'uomo è stato inserito all'interno del dettato costituzionale italiano a seguito della riforma costituzionale avutasi nel febbraio 2022. Lo stesso, negli anni addietro, però, è stato elaborato con chiarezza in via interpretativa dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Suprema Corte di cassazione, le quali ne hanno delineato l'ambito, riconoscendo la priorità della protezione dell'ambiente tra gli interessi pubblici nazionali [30]. Nel momento in cui la Costituzione italiana entra in vigore essa non contiene, in modo esplicito, che si intenda l'ambiente come un valore, diritto o interesse della collettività. Questo è stato dovuto da due fattori principali, in primo luogo, nel momento storico in cui è entrata in vigore la Costituzione italiana l'attenzione era tutta rivolta sulla prevalenza della democrazia e sulla tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. In secondo luogo, alla fine della Seconda guerra mondiale il Paese presentava un'urbanizzazione limitata e l'economia dominante in quel momento era quella agricola. Nonostante ciò, si deve evidenziare come la Costituzione italiana possedeva, già, tutte le caratteristiche per adeguare le proprie disposizioni al mutamento dei problemi e delle necessità che emergono dal contesto sociale. Il fondamento del diritto all'ambiente era stato individuato, dalla disciplina civilistica, nel diritto di proprietà e nelle regole concernenti le immissiones in alienum: secondo tale orientamento, la legittimazione attiva ad agire a tutela di tale interesse si fondava esclusivamente sulla sussistenza di un diritto reale caratterizzato dalla vicinitas con una fonte inquinate. Altra parte della dottrina, invece, optava per la natura di diritto della personalità o di diritto civico sui beni ambientali, come beni collettivi. La nozione di ambiente è stata sempre data per presupposto ed il termine, pur indicato nei primi testi normativi, non ha mai trovato una precisa sistemazione dogmatica. La prima affermazione significativa di una concezione unitaria della tutela dell'ambiente si ebbe nell'ordinanza n. 184/8381, dove si parla di "beni rilevanti costituzionalmente, quali la protezione dell'ambiente". Il Giudice delle leggi, nei due decenni precedenti la riforma del Titolo V, ha riservato uno spazio costituzionale sempre più ampio alle tematiche ambientali, rinvenendone il fondamento nell'urbanistica (ex art.117 Cost.), nel paesaggio (ex art.9), nella salute (ex art.32), nell'iniziativa privata (ex art.41), oppure ancora nella proprietà pubblica e privata (exart.42). Centrale è stata l'attività della giurisprudenza costituzionale nel far evolvere la nozione di urbanistica da mera pianificazione dell'edificato a programmazione globale del territorio nella sua intrinseca valenza ambientale, evidenziando la valenza ambientale del D.P.R. 616/1977. La ricostruzione dell'ambiente come valore costituzionale si è definitivamente affermata dopo l'entrata in vigore della legge cost. 3 del 2001, con la quale la materia della "tutela dell'ambiente" è stata attribuita alla competenza esclusiva dello Stato. Tale riforma ha avuto il merito di aver inserito nel nuovo art. 117 Cost. la parola "ambiente". Tale riconosciuta competenza statale si accompagnava comunque ad una competenza concorrente delle Regioni, le quali, disciplinavano materie connesse all'ambiente. Ebbene, proprio l'intervenuta esplicitazione della pretesa "materia" ambiente e l'ulteriore suddivisione nell'ambito della medesima delle funzioni di tutela e di valorizzazione, ai fini, rispettivamente, della delimitazione della potestà legislativa esclusiva statale e concorrente statale e regionale, ha rimesso in discussione la validità di quel pregresso riconoscimento di conviventi competenze legislative statali e regionali, che il Giudice costituzionale aveva operato in un ventennio di giurisprudenza, motivando sulla valenza dell'ambiente quale valore trasversale, e non quale materia. Costituzione, che già la Corte aveva riconosciuto quale espressione dell'ordinamento e che, in quanto trasversale, contempla anche le materie di competenza regionale [31]. La non materia ambiente ha poi vissuto il processo di riforma del conferimento delle funzioni amministrative dello Stato alle Regioni ed agli enti locali operato dal legislatore ordinario ex lege 59/1997 e d.lgs. 112/1998 (ossia a Costituzione invariata), nonché il processo di riforma costituzionale di cui alla legge cost. 3/2001. Nello specifico, il legislatore ordinario ha prima escluso dal conferimento delle funzioni amministrative dello Stato alle Regioni successivamente sarà il legislatore costituzionale a rimettere alla potestà legislativa esclusiva statale la "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali" ed alla potestà concorrente la "valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali". Fondamentale la sentenza 307/2003, dove la Corte fornisce una rilettura dell'art.117 Cost., secondo la quale entrambi, Stato e Regioni, paiono possedere potestà legislativa in merito alla soddisfazione del valore costituzionalmente protetto ambiente, a prescindere dai confini delle specifiche materie di cui al terzo comma. Ne deriva che il principio di sussidiarietà trovi espressione anche quale criterio per operare la verifica di legittimità costituzionale delle normative regionali ex art.117 Cost., attuando un giudizio di adeguatezza o meno della singola normativa in contestazione a soddisfare o la protezione di uno specifico valore costituzionalmente protetto o il punto di bilanciamento tra più valori tutti costituzionalmente protetti. In tale contesto è stata anche sostenuta l'incondizionata subordinazione al valore ambientale di ogni altro valore presente nella carta costituzionale. Tal equivoco è stato alimentato da alcune pronunce della Corte costituzionale, dove si parla di "valore primario e assoluto", "insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro". Ricordiamo la sentenza n. 210/87191 dove la Corte parla dell'ambiente come di un "valore costituzionale primario". Tale valore viene messo più volte in relazione con l'art. 32 della Costituzione che sancisce il diritto alla salute e che viene spesso utilizzato, insieme all'art 9, come elemento volto a corroborare la valenza costituzionale della salvaguardia dell'ambiente. Queste pronunce diedero una prima interpretazione del principio di primarietà dell'ambiente che si andava affermando nelle fonti sovranazionali. Il d.lgs. n. 152/06, il c.d. "Codice dell'ambiente", pur non fornendo una definizione autonoma e in via diretta di ambiente, ne circoscrive l'ambito nella definizione dell'impatto ambientale. Una recente sentenza della Corte costituzionale in materia di ambiente, la n. 151 del 2011, ci suggerisce, poi, un'ulteriore riflessione sul riparto di potestà legislativa tra Stato e Regioni a quasi un ventennio dalla riforma del Titolo V della Costituzione. Con la sentenza in parola, la Corte consolida sia il proprio indirizzo in merito alla materializzazione della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, quale bene unitario, ma anche le conseguenze che da tale materializzazione derivano, il tutto in un quadro sistemico. E così, in merito al "limite invalicabile" da parte del legislatore regionale (e fissato dal legislatore statale) degli standard uniformi di tutela stabiliti in via esclusiva dal legislatore statale, la Corte supplisce agli inadempimenti del legislatore costituzionale, dando voce a valori costituzionalmente non ancora esplicitati, ma certo impliciti nel disegno costituzionale relativo alla distribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni. L'8 febbraio 2022 si è concluso l'iter parlamentare104, necessario per approvare, dopo anni di proposte e discussioni parlamentari, la tutela dell'ambiente e anche delle generazioni future tra i principi fondamentali della Carta italiana. Nella Gazzetta Ufficiale n. 44 del 22 febbraio 2022, è stata pubblicata la legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1, recante modifiche agli articoli 9 e 41 della Costituzione in materia di tutela dell'ambiente. Lo stesso si può definire come un vero e proprio evento storico per il diritto italiano, in quanto la nostra Costituzione completa, con ampio ritardo, il suo tortuoso e complesso processo di adeguamento all'evoluzione del costituzionalismo ambientale mondiale, durato oltre quarant'anni. La riforma qui annotata colma questo vuoto, portando il termine "ambiente" tra i punti cardine dell'intelaiatura costituzionale. La legge costituzionale consta di tre articoli: il primo prevede l'introduzione di un nuovo comma nell'art. 9 Cost., il secondo modifica l'art. 41 Cost. ed il terzo introduce una clausola di salvaguardia per l'applicazione del principio di tutela degli animali. La riforma introduce all'interno dell'art.9: "Tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali''. La ratio della riforma consiste nel considerare l'ambiente non come una res ma come un valore primario costituzionalmente protetto. Inoltre, tale tutela è rivolta ai posteri, ossia alle generazioni future e si tratta di una formulazione assolutamente innovativa nel testo costituzionale. Sempre all'interno dell'art. 9, la legge n. 1/2022 prevede una riserva di legge, stabilendo che il legislatore definisca le forme e i modi di tutela, un'altra novità degna di nota che segue l'orientamento della normativa europea[32]. La Riforma è poi completata dalla revisione di due commi dell'art. 41 [33] che funzionalizzano l'attività economica sia pubblica che privata, rispetto all'ambiente. I primi due limiti (salute e ambiente) vengono anteposti agli altri, dando in tal modo attuazione al novellato art. 9 Cost. che menziona la tutela dell'ambiente come valore primario da tutelare. Inoltre, la destinazione e il coordinamento dell'attività economica pubblica e privata avvengono non solo per fini sociali ma anche per fini ambientali. L'ultimo articolo della legge costituzionale introduce una clausola di salvaguardia, per la prima volta, viene introdotto nella Costituzione il riferimento agli animali. 4. Conclusioni Alla luce dell'esame delle misure contenute nelle diverse realtà nazionali pare chiaro come la problematica dell'ambiente e della sua regolamentazione presenta caratteristiche tali da richiedere, ad un attento osservatore, un'analisi giuridica di tipo comparato e sovranazionale. La presenza di analogie tra i singoli problemi, a prescindere dal luogo in cui essi siano sorti o dal contesto in cui si manifestino gli effetti correlati, fa si che la tematica sia fortemente sentita in ambito globale. Il fenomeno del negazionismo climatico da parte dei paesi sopracitati rappresenta una sfida globale che richiede un approccio concertato e una cooperazione internazionale. È fondamentale sottolineare che la consapevolezza e l'urgenza della crisi climatica stanno gradualmente guadagnando terreno in tutto il mondo e che il cambiamento climatico è una minaccia concreta e crescente, e nessuna nazione può sfuggire alle sue conseguenze. Il passaggio a un approccio più responsabile verso l'ambiente non solo comporterebbe benefici per la salute del pianeta, ma potrebbe anche aprire nuove opportunità economiche e contribuire a mitigare le tensioni geopolitiche legate alle risorse naturali. La transizione verso un'economia basata sull'energia pulita potrebbe rivelarsi vantaggiosa non solo in termini ambientali ma anche economici, offrendo la possibilità di leadership globale in settori chiave come le tecnologie verdi. In definitiva, c'è da sottolineare che il futuro dipenderà dalla capacità delle nazioni di superare le divisioni ideologiche e di lavorare in modo collaborativo e solidale al fine di affrontare la crisi climatica. *Laureata in scienze della politica, Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli". [1] C.Carraro, A.Mazzai, Il clima che cambia - Non solo un problema ambientale, Il Mulino, 2015. [2] L'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) è il principale organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici. L'IPCC è stato istituito nel 1988 dalla World Meteorological Organization (WMO) e dallo United Nations Environment Programme (UNEP) allo scopo di fornire al mondo una visione chiara e scientificamente fondata dello stato attuale delle conoscenze sui cambiamenti climatici e sui loro potenziali impatti ambientali e socioeconomici. Nello stesso anno, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha avallato l'azione di WMO e UNEP, istituendo l'IPCC. [3] G.Nebbia, Rio + 10, Terza Conferenza ONU sull'ambiente. Un Bilancio a trent'anni da Stoccolma, in CNS - Rivista di Ecologia Politica, n. 1, fasc. 41, gennaio 2002. [4] All'art. 5 comma 1 lettera c, si definisce infatti l'impatto ambientale come "l'alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell'ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell'attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonche' di eventuali malfunzionamenti". [5] Corte costituzionale, 26 aprile 1971, n. 79. [6] Declaration of the United Nations Conference on the Human Environment and Action Plan for the Human Environment, Stockholm, 5 giugno 1972. Nel principio 1 si trova affermato che "l'uomo ha un diritto fondamentale alla libertà, all'eguaglianza ed a condizioni di vita soddisfacenti, all'interno di un ambiente la cui qualità gli permetta di vivere con dignità e benessere". La tutela dell'ambiente appare, in questo contesto, immediatamente e quasi esclusivamente funzionalizzata a garantire la migliore qualità della vita dell'uomo, con un evidente squilibrio del rapporto a favore di quest'ultimo. [7] D.Amirante, L'ambiente preso sul serio. Il percorso accidentato del costituzionalismo ambientale, in Diritto pubblico comparato ed europeo, Maggio 2019, p. 11. [8] W.Leontief, Il futuro dell'economia mondiale. Rapporto per le Nazioni Unite sui problemi economici di lungo termine: popolazione, risorse alimentari, risorse minerarie, inquinamento, commercio, movimento di capitali, strutture istituzionali, EST Mondadori, Milano, 1977. [9] B.Ward, R.Dubos, Una sola terra, trad. it. di G. Barbè Borsisio, E. Capriolo, Mondadori, Milano, 1972. [10] A.Molocchi, La scommessa di Kyoto: politiche di protezione del clima e sviluppo sostenibile, F. Angeli, Milano, 1998; P.Galizzi, La terza Conferenza delle Parti della Conferenza sul cambiamento climatico (Kyoto, 1/10 dicembre 1997), in Riv. giur. amb., 1998; C.Pontecorvo, Interdependence between global environmental regimes: the Kyoto Protocol on climate change and forest protection, in Zeitschrift für Ausländisches Öffentliches Recht und Völkerrecht (ZaöRV), 1999, vol. 59, n.3. [11] S.Cantoni, D.Gaudioso, Kyoto: i no di Bush e il ruolo dell'Europa, in Arpa rivista, gennaio 2001; P.Manzione, Riflessioni sul no di Bush agli accordi di Kyoto, in Hyperion.e-zine, n. 15. [12] S.Nespor, La lunga marcia per un accordo globale sul clima: dal Protocollo di Kyoto all'accordo di Parigi, in www.nespor.it , 2016. [13] F.Scalia, L'Accordo di Parigi e i paradossi delle politiche dell'Europa su clima ed energia, in Rivista di diritto e giurisprudenza agraria, alimentare e dell'ambiente, n. 6/2016 in www.rivistadga.it. [14] S.Nespor, L'adattamento al cambiamento climatico: breve storia di un successo e di una sconfitta, in Rivista Giuridica Ambiente, 1, 2018. [15] B. Obama, J. Biden, New Energy for America, 1, 2008, in www.barackobama.com/pdf/factsheet_energy_speech_080308.pdf [16] Nel tempo l'adozione di una disciplina normativa a livello federale ha dimostrato essere un'efficace soluzione per coordinare gli sforzi federali, statali e internazionali a tutela dell'ambiente, laddove è proprio della materia ambientale il problematico confronto fra interessi e competenze di varia natura. S. ILLARI, La tutela ambientale ripartita. Federalismo ed ecosistema negli Stati Uniti, Padova, Cedam, 2002. [17] Uno degli argomenti utilizzati dal governo indiano a favore della competenza di una corte statunitense fu che l'ordinamento giuridico indiano, sia sul piano sostanziale che su quello giudiziario, non era adeguato a una causa così complessa. Il giudice Keenan respinse il caso sulla base del principio del forum non conveniens, ritenendo che una corte indiana fosse in una posizione migliore per giudicare e richiedendo, comunque, che la Union Carbide accettasse la giurisdizione delle corti indiane. U. Baxi, Inconvenient Forum and Convenient Catastrophe: the Bhopal Case, Bombay, M.M. Tripathi, 1986. [18] La dottrina costituzionalista indiana ritiene che la conservazione delle risorse naturali e la protezione dell'ambiente rientrassero negli articoli 39b e 47-49. In particolare, l'articolo 39b dispone che: "the State shall direct its policy towards securing that the ownership and control of the material resources of the community are so distributed as best to subserve the common good"; in base all'art. 49 "it shall be the obligation of the State to protect every monument or place or object of artistic or historic interest, declared to be of national importance, from spoliation, disfigurement, destruction, removal, disposal or export as the case may be". [19] Sul punto gli artt 48, 51 [20] «Lo Stato protegge l'ambiente e le risorse naturali e previene ed elimina l'inquinamento e altri pericoli per la collettività». Mentre reca data del 13 settembre 1979, il varo della bozza della Legge sulla tutela dell'ambiente - Environmental Protection Law , promulgata successivamente nel 1989. Nel 1982, la quarta ed ultima Costituzione con l'art. 26, comma 1, precisava: «Lo Stato protegge l'ambiente in cui vivono le persone e l'ambiente ecologico e si prodiga per il loro miglioramento, per la prevenzione della contaminazione e di altre forme di inquinamento ambientale». [21] Zhang D., Tackling Air Pollution in China - What do we learn from the great smog of 1950s in London, Columbia University, 2014. [22] Corte Europea di Giustizia, sentenza 7 febbraio 1985, in causa C - 240/83; sentenza 20 settembre 1988, causa C - 302/86. [23] D.Amirante, L'ambiente preso sul serio. Il percorso accidentato del costituzionalismo ambientale, in Diritto pubblico comparato ed europeo, Maggio 2019. [24]"Le spese risultanti dalle misure di prevenzione, riduzione e lotta contro l'inquinamento, devono essere sostenute da chi inquina". [25] Ordonnance n° 2000-914 du 18 septembre 2000 relative à la partie Législative du code de l'environnement [26] D. Amirante, L. Lorello, M. C. Scalia, Funzioni e competenze degli enti locali nell'ordinamento della V Repubblica francese, in S. Gambino (a cura di), Stati nazionali e poteri locali, Rimini, Maggioli, 1999, pagg. 939 e ss. [27] Questa norma è stata collocata nel Capitolo III - "Principi direttivi della politica sociale ed economica" - del Titolo I della Costituzione dedicato ai "Diritti e doveri fondamentali". I principi contenuti nel capitolo III non sono tutelati in via diretta nelle varie sedi giurisdizionali. Tuttavia, ai sensi dell'art. 53.3 della Costituzione, la tutela dei principi enunciati nel Capitolo III, deve informare l'attività delle giurisdizioni e la prassi dei pubblici poteri, ed essi potranno essere invocati di fronte al giudice ordinario secondo quanto stabilito dalle leggi di settore. [28] R. Martin Matco, Tratato de Derecho ambiental. Madrid, 1993; Id., La calidad de vida como valor juridico, in RAP 117; [29] R. Martin Matco, Tratato de Derecho ambiental. Madrid, 1993; Id., La calidad de vida como valor juridico, in RAP 117; J. Rodriguez Arana, El medio ambiente y la calidad de vida como objetivos constitucionales, in RDA n.10; M. J. Montoro Chiner, El urbanismo del desarrollo sostenibile. Estudios sobre urbanismo, Barcellona. 1998 [30] Corte cost. 30 dicembre 1987 n. 641; Corte cost. 20 dicembre 2002, n. 536; Corte cost. 22 luglio 2009, n. 225. [31] D. Amirante, Profili di diritto costituzionale dell'ambiente, in Trattato di diritto dell'ambiente, Dell'Anno, Picozza (a cura di), vol.I, Cedam, 2012. [32] Art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell'UE [33] ‘' L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali''.