Economia


Francesco Teodori

Capitalismo improduttivo?

 

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Che cos'è oggi il capitalismo? Quale posto occupa la produzione reale nella moderna accezione di questo fenomeno? Nella nostra epoca, dove il reale, inteso come realtà materiale e tangibile, ha perso nettamente la sua centralità nelle vite degli uomini, anche il capitalismo sembra aver subito una mutazione nella sua essenza.

Un processo ancora in divenire ma che non esita a manifestarsi nel mondo economico attuale.

L'essenza del capitalismo, nell'accezione che ne diede Karl Marx, consiste nella produzione ed accumulazione di merci, beni. Dunque, nei fatti, cose. Nell'incipit del Capitale egli identifica la ricchezza delle nazioni ove predomina il sistema capitalistico come "un'immensa raccolta di merci"[1].

I beni materiali, utili alla soddisfazione dei bisogni più vari, dunque le merci, rappresentavano il cuore pulsante del sistema capitalistico al tempo di Marx.

Gli operai producevano valore prestando la loro forza lavoro a chi deteneva i mezzi di produzione, e tale valore si identificava con gli oggetti creati dalla loro attività lavorativa.

L'intero sistema capitalistico novecentesco si è fondato su questo assioma incontrovertibile. La produzione industriale è stata per lunghissimo tempo produzione di "cose" atte all'inserimento nel commercio al fine di soddisfare i bisogni di quelli che, nel secondo novecento, sarebbero stati identificati come consumatori.

L'avvento delle macchine e la serializzazione dell'industria non hanno modificato questa realtà, ne hanno semmai accelerato i tempi e contribuito, in larga misura, a produrre ancora più alienazione negli operai, deprivati non solo del frutto del loro lavoro, ma anche del lavoro stesso.

Lo stesso Marx aveva messo in controluce l'anima oscura della produzione capitalistica; rileggendo i Manoscritti economico-filosofici del 1844 ci si accorge di quanto profetica sia stata la visione del filosofo di Treviri[2].

Eliminati i bisogni essenziali per la sopravvivenza, a partire dalla seconda metà del Novecento la produzione industriale ha concentrato la sua azione nella soddisfazione delle necessità "indotte", i bisogni creati dalla società dei consumi. L'homo consumens[3] come il grande sociologo Bauman definì il moderno consumatore, fondava la sua stessa natura sull'accumulazione di beni non più fondamentali alla sua sopravvivenza.

Superate le categorie marxiane di valore d'uso e valore di scambio, i beni prodotti acquisiscono più che altro valore simbolico e la loro produzione si serializza.

La necessità di soddisfare sempre più consumatori, dovuta ad un notevole aumento della ricchezza[4], fece sì che la produzione reale, e dunque il consumo, divenissero il cuore pulsante del sistema capitalistico.

Uno spettro tuttavia aleggiava sul mondo, per dirla con la celebre frase di Marx ed Engels[5], sul finire del secolo breve, ossia l'avvento del digitale.

Agli inizi degli anni 90 centinaia di migliaia di computer, ossia le nuove macchine che di lì a poco avrebbero realizzato la quarta rivoluzione industriale (dopo macchine a vapore ed elettricità), erano interconnessi tra loro grazie ad una grande rete virtuale. Per l'appunto, Internet. Ad oggi negli stati economicamente avanzati la quasi totalità della popolazione utilizza costantemente il web.

Nel giro di vent'anni la rete è divenuta sconfinata e le possibilità del virtuale appaiono oggi verosimilmente illimitate.

Con l'avvento di Internet si è realizzata la possibilità di spostare ricchezze, capitali, informazioni e coscienze umane in maniera costante e senza alcun ostacolo.

La stessa globalizzazione ha avuto nella creazione del web la scintilla della sua nascita ed esso ne costituisce, ancora oggi, la sua più intima e concreta essenza. L'interconnessione ha reso le nazioni interdipendenti tra loro generando un sistema di connessione planetaria che ha permesso lo svilupparsi di un mercato veramente globale.[6]

Marshall McLuhan definì questo nuovo modello di realtà interattivo e interdipendente "il villaggio globale"[7], sottolineando il ruolo che il progresso tecnologico ha avuto nel far crescere ed evolvere il sistema capitalistico.

La quarta rivoluzione industriale si sta compiendo, alle reti sconfinate si sono aggiunte le intelligenze artificiali. Sta nascendo un nuovo mondo fatto di codici binari e scambio di dati senza alcun limite se non quello rappresentato dalla potenza di calcolo dei server.

Allo scambio di materia si sostituisce lo scambio di dati, alle esperienze di vita reale le identità virtuali. Un mondo di simboli e simulacri sta sostituendo velocemente la vecchia idea di realtà. Di ciò che è reale è sempre meno necessario parlare.

Tutta la nostra esistenza gravita attorno a pochi dispositivi elettronici grazie ai quali possiamo collegarci con il resto del mondo in tempo reale e dunque vivere a stretto contatto con un "altro" che non sappiamo più chi sia concretamente.

La rivoluzione virtuale ha letteralmente smaterializzato la vita in quasi tutti i suoi aspetti.

E il capitalismo? Come ha risentito di questa nuova dimensione immateriale della realtà? La quinta rivoluzione industriale come sosteneva David Landes, ha cambiato non solo l'ordine sociale, ma anche il modo stesso in cui l'uomo pensa e agisce[8]. In questo caso la quarta rivoluzione industriale, attraverso i computer e l'intelligenza artificiale, viene presentata come un momento di svolta per il cervello umano e la sua capacità di ragionare e capire il mondo circostante.[9]

Forse. Certamente anche il modo di produrre ricchezza è stato influenzato dall'avvento della nuova rivoluzione industriale.

Le vecchie regole del capitalismo paiono più che mai scardinate. La figura dell'operaio, mito e vittima dell'ideale capitalistico classico, è quasi del tutto scomparsa nel panorama contemporaneo delle economie più avanzate.

Il fantasma del lavoratore nella catena di montaggio, incastrato nel meccanismo taylorista di produzione industriale massificata, sopravvive forse solo in vecchi film.

Se l'uso delle macchine nelle fabbriche comportò un sempre più progressivo svuotamento d'importanza del lavoratore "umano", l'avvento del digitale ha messo definitivamente in ombra il ruolo dell'individuo nel processo di creazione di profitto.

Oggi infatti la ricchezza si genera, in maniera maggioritaria, non attraverso la creazione e successiva vendita di beni materiali, ma negli infiniti scambi virtuali all'interno delle reti che rendono il mondo interconnesso.

Per comprendere ciò analizziamo il ruolo e il mutamento della finanza in questo nuovo contesto.

Complesse operazioni matematiche generano formule che possono prevedere il futuro a medio termine, permettendo di ipotizzare e realizzare enormi guadagni semplicemente costruendo un algoritmo funzionante.

Il tutto, ovviamente, attraverso computer connessi alle reti terrestri in uno scambio continuo di informazioni che non si placa mai.

Questo è il cyber-capitale, la finanza immateriale che sposta centinaia di migliaia di miliardi in operazioni finanziarie senza più l'ombra di un collegamento con la realtà. Il tempo è l'unica variabile a cui il cyber-capitale deve sottostare, anche se l'avvento dei computer quantistici con capacità di calcolo pressoché illimitate probabilmente permetterà di infrangere anche la dimensione temporale[10].

Ma non è sempre stato così. La finanza ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo della civiltà contemporanea, almeno fino alla seconda metà del novecento.

Karl Polanyi identificò nell'haute finance, l'alta finanza, la forza che aveva consentito la "pace dei cento anni" in Europa, dal 1815 dopo la caduta di Napoleone al 1914 con lo scoppio del primo conflitto mondiale[11].

Certamente i finanzieri dell'epoca non potevano dirsi dei samaritani, ma l'attività finanziaria possedeva, scontata la sua funzione di arricchimento, anche una natura redistributiva utile a bilanciare l'equilibrio di potere delle nazioni, oltre a fornire i mezzi per la costruzione delle società stesse.

Basti pensare all'importanza che ebbero personaggi come John Pierpont Morgan o J.D. Rockfeller nella formazione della potenza economica statunitense.

Anche in Italia, sia pur più modestamente, personaggi come Enrico Cuccia hanno dato, con le loro attività finanziarie, lustro e ossigeno al capitalismo italiano.

La funzione sociale della finanza si opacizza, per così dire, attorno agli anni 80 del novecento. In questo periodo l'attività finanziari si sviluppa in maniera abnorme rispetto alle altre attività economiche, le transazioni si moltiplicano e si estendono a livello mondiale, complice la nascente globalizzazione che di lì a poco avrebbe fatto la sua comparsa.

Proprio in questa fase il capitalismo compie la sua metamorfosi. Si passa dalla produzione di valore, tipica del modello capitalistico industriale dove il valore coincide con la creazione di beni, all'estrazione di valore.

Lo spostamento del volume di investimenti dall'industria manifatturiera al mercato finanziario genera il cosiddetto capitalismo "estrattivo", dove la creazione di valore esula dalla produzione reale ma si realizza solo tramite la forma dominante di ricchezza sociale, ovvero il denaro.

Il denaro genera altro denaro. Il volume degli affari supera di gran lunga il valore reale degli affari stessi. Luciano Gallino parla di "finanzcapitalismo" per distinguere questa nuova realtà dalle forme capitalistiche classiche[12].

La finanza muta la sua essenza. Da forza propulsiva del capitalismo diviene un'essenza parassitaria rispetto al processo di produzione dei beni.

Gli introiti si ottengono, per l'appunto, estraendo valore da beni già esistenti e mettendo in commercio elementi il cui valore reale viene spesso manipolato.

Un esempio è stato l'aumento artificioso del prezzo dei mutui sulle case, all'origine della grande crisi del 2008.

Futures, options, swap, questi complessi prodotti finanziari sono in realtà "nulla", niente di tangibile, in quanto appoggiano il loro valore su altri asset economici.

La finanza si muove su questi binari intangibili. Introiti miliardari derivano in larga misura da complessi algoritmi matematici in grado di individuare un corretto investimento sulla base del nulla.

Nulla si crea, nulla si distrugge, se non il capitale reale, sempre meno conveniente.

Tra il 2020 e il 2021 i ricavi delle principali banche d'affari americane hanno superato i 600 miliardi di dollari[13].

Le formule finanziarie sono innumerevoli e vengono gestite ormai nella quasi totalità da complessi sistemi informatici.

Il fondo di investimenti BlackRock, tra i maggiori del mondo, affida l'analisi dei dati finanziari ad un'intelligenza artificiale chiamata Aladdin che pare sia in grado di eseguire 200 milioni di calcoli a settimana.

Non a caso si parla di cyber-capitalismo. Lo strapotere della finanza ha avuto origine grazie alla sua commistione con il progredire della tecnologia informatica, ormai onnipervasiva nella vita di ognuno di noi.

Dunque, l'estrazione di valore sostituisce la produzione. La creazione di beni materiali diventa costosa, poco conveniente. Oltre che inquinante.

L'industria per sua stessa natura intacca l'ambiente circostante, ciò rende la produzione reale sconveniente anche secondo l'odierno paradigma ecologista.

I profitti avvengono senza base concreta, senza produrre nulla, attraverso flussi numerici il più delle volte completamente slegati dalla realtà.

Mai come in questo tempo il denaro ha perso il suo collegamento con il reale. Si può dunque parlare di finanza improduttiva, di un modello di capitalismo finanziario che non produce niente se non debiti, anch'essi virtuali[14].

"Via la produzione di merci inutili e troppo facilmente deperibili, via la crescita incontrollata di nuove imprese, via la devalorizzazione accelerata, via l'industrializzazione concentrata in poche nazioni, via la produzione inquinante, via lo sfruttamento squilibrato delle terre; ma soprattutto via dalla vita

dell'uomo-capitale il lavoro produttivo di sole merci"[15].

Con queste parole profetiche e colme di sdegno gli autori Giorgio Cesarano e Gianni Collu mettevano in controluce l'essenza del capitalismo che di lì a poco si sarebbe manifestata.

La produzione reale non può tuttavia dirsi scomparsa nel capitalismo contemporaneo. Sembra però sempre più relegata in aree periferiche del mondo, dove tutto quell'insieme di regole che ne zavorrano il progredire sono più blande.

Diritti dei lavoratori, sicurezza su posto di lavoro, salario minimo ecc. costituiscono ormai dei retaggi poco applicabili al mondo contemporaneo dove tutto deve seguire la rapidità del cyber-capitale sempre in movimento.

La finanza ha dismesso le vesti di forza positiva come la definiva Karl Polanyi per divenire puro meccanismo di guadagno senza nessun, o quasi, collegamento con la realtà.

Negli ultimi anni questo fenomeno si è intensificato con la nascita delle criptovalute.

Valute completamente digitali create da sistemi informatici che vengono vendute, scambiate e convertite in denaro reale come se fossero moneta corrente.

Ma da cosa è dato il valore di una criptovaluta? C'è un corrispettivo tangibile che ne possa assicurare un valore di qualche tipo? A stabilire quanto valga una singola criptovaluta sono in genere gli stessi che la utilizzano sulla base di accordi reciproci prima che esse vengano effettivamente scambiate[16].

Essendo divenute oggetto di speculazione finanziaria a determinarne il valore di mercato è anche la legge di domanda e offerta, ma sempre sulla base di valori arbitrari e non corrisposti da nulla di concreto.

Ormai siamo ben oltre il sistema aureo, ben oltre la moneta fyat. Quale valore produce una criptovaluta? Eppure, esse sono fonte di timore per gli equilibri finanziari mondiali. La smaterializzazione del capitalismo si manifesta in forme sempre più complesse ed inquietanti. Il denaro ormai non possiede più altro senso se non se stesso. Non si produce più nulla, o forse sarebbe meglio dire si produce il nulla, dal quale derivano però ingenti ricchezze, in genere molto concentrate in quelle aziende che controllano le moderne macchine utili a gestire e condizionare questi enormi flussi di scambio[17].

Un esempio di questa realtà sono le cosiddette Big Tech, gigantesche aziende leader nelle tecnologie che devono gran parte dei loro profitti non alla produzione di beni, bensì alla fornitura di servizi e a quell'estrazione di valore a cui abbiamo accennato. 

Queste sei aziende (Amazon, Apple, Microsoft, Google Alphabet e Meta) hanno prodotto nel 2021 un volume d'affari di circa millequattrocento miliardi di dollari, pari al PIL del Brasile e superiore al prodotto interno lordo di interi stati come Spagna e Messico[18]. Si presume inoltre che nei prossimi anni il giro d'affari delle big tech potrebbe superare i trecentomila miliardi di dollari[19].

Un pugno di aziende che domina l'apparato tecnologico mondiale più ricche di interi stati. Ma da cosa derivano questi guadagni?

Nel caso di Google Alphabet la maggior parte degli introiti deriva dalla pubblicità e dai servizi di advertising messi a disposizione su Google e Youtube, si parla di circa 278 miliardi di dollari di ricavi[20]. Microsoft deve la sua ricchezza ai service cloud  e ai prodotti del pacchetto office quali Microsoft Word, PowerPoint ecc., per un totale di 168 miliardi di dollari.

Meta, nuovo nome di Facebook, ha invece il 97% dei suoi guadagni alla pubblicità presente sui social network Facebook e, in misura maggiore, Instagram, per un volume d'affari di circa 118 miliardi di dollari.

Amazon invece, la più ricca delle big tech con ricavi pari a circa 470 miliardi di dollari totali, ha il suo core business nel commercio online, vendendo ai suoi clienti tutto quello che essi possono desiderare. La vendita online assicura al colosso di Seattle circa il 47% delle sue entrate. Tuttavia anche i servizi web forniti da Amazon (Amazon pay ad esempio) stanno incrementando la loro porzione di mercato, così come i servizi di streaming forniti da Amazon Prime Video.

Tra le big tech quella che forse rimane ancora più legata alla produzione materiale è Apple, con la metà dei suoi guadagni (che ammontano in totale a circa 366 miliardi di dollari) generata dalla vendita di Iphone, Ipad, computer e accessori vari[21].

Anche in questo caso però i servizi digitali occupano una fetta di mercato notevole, circa il 20% degli introiti, come ad esempio Apple pay, Apple music o la tv in streaming.

Da questi dati possiamo facilmente comprendere come alcune delle aziende più ricche del mondo non ricavino i loro guadagni dalla produzione di beni reali ma attraverso la vendita di servizi o, come nel caso di Google e Meta, di pubblicità.

Non si tratta tuttavia di pubblicità casualmente introdotta negli spazi web, ma di annunci spesso mirati e costruiti su misura per ogni singolo utente.

Ciò è possibile attraverso l'estrazione e la vendita dei dati dei consumatori virtuali.

Si badi però dal pensare ai dati come le semplici scelte degli utenti.

Ad essere oggetto di commercio sono oggi i sentimenti, le esperienze, le scelte e persino la personalità del consumatore virtuale.

Tutto ciò viene elaborato ed appare, secondo le regole del nuovo capitalismo estrattivo, sotto forma di dati.

Essi vengono venduti, scambiati, commercializzati in ogni secondo della nostra vita. Ogni singola azione che effettuiamo sul web o attraverso apparecchi elettronici collegati alla rete viene tracciata, analizzata e l'utente "profilato" per essere venduto allo sconfinato mercato pubblicitario immateriale[22].

L'esperienza umana viene presa come materia prima grezza e trasformata in dati che poi vengono commercializzati a da cui è possibile tracciare un profilo del soggetto, utile poi a proporgli scelte di consumo sempre più mirate ed efficaci[23].

Siamo ai limiti della fantascienza se si pensa che le intelligenze artificiali di Facebook, secondo la stessa azienda, siano in grado di predire i comportamenti futuri dei singoli utenti, cosa penseranno, cosa acquisteranno, previsioni che poi verranno ovviamente vendute agli inserzionisti per sviluppare contenuti pubblicitari conformi ad ogni singolo profilo[24].

Dunque, la vera merce da cui il moderno capitalismo estrae valore siamo proprio noi.

Sono le nostre azioni, le nostre scelte, la nostra personalità inverata attraverso ogni clic o input di qualunque tipo dato ad una macchina connessa alla rete grande e sconfinata.

Molto più conveniente che produrre beni reali. In effetti si può sostenere che siamo noi a lavorare per Facebook o Google senza che ce ne accorgiamo.

Le nostre azioni virtuali costituiscono il plusvalore che le aziende ottengono e da cui guadagnano.

In Marx il "plusvalore assoluto", ossia il valore generato dal lavoro non necessario, si ottiene mediante il prolungamento dell'attività del lavoratore oltre il limite ordinario del lavoro salariato[25]. Se si riflette a fondo su questo assunto si capirà come le nostre azioni quotidiane costituiscano nei fatti un lavoro che noi svolgiamo per le aziende tecnologiche, fornendo loro, sia pur involontariamente, dati preziosi su di noi che poi diverranno oggetto di commercio e guadagno. Per loro.

Gli inserzionisti pagherebbero certamente meno degli spazi pubblicitari "generici" su Facebook rispetto ad una profilazione accurata dell'utente con conseguente possibilità di comprenderne i gusti e le scelte di consumo.

Tutto ciò è possibile grazie al lavoro che noi svolgiamo, gratuitamente, per aziende come Facebook e Google.

Esse estraggono plusvalore dalle attività che compiamo del tutto indipendentemente dal lavoro che svolgiamo nella vita.

Di nuovo, nulla viene prodotto dunque, semmai estratto, raffinato e poi venduto. I servizi di advertising pubblicitario che fanno la ricchezza di Google e Facebook si basano su questo. Amazon crea dei percorsi di scelta per l'acquisto di qualcosa sulla base dei dati raccolti e analizzati dagli algoritmi.

Come si può ben vedere la merce più preziosa da cui il moderno capitalismo trae valore sono i nostri dati, dunque noi stessi.

Si tratta di un nuovo capitalismo, improduttivo per l'appunto, in cui le categorie del valore d'uso e di scambio sono quasi del tutto soppresse e la ricchezza si crea solamente da una grande, sconfinata massa di plusvalore assoluto generato dai nostri comportamenti quotidiani.

"Produzione, forma mercantile, forza lavoro, equivalenza e plusvalore designavano una configurazione quantitativa, materiale e misurabile, che è finita per noi. (...) Siamo ancora in un mondo capitalistico? Magari siamo in un mondo ipercapitalistico, o in un ordine molto diverso"[26].

Si chiede Jean Baudrillard se sia effettivamente terminata l'era del capitalismo classico incentrato sulla produzione reale. Secondo il grande filosofo la fine del capitale reale coincide con la fine del lavoro produttivo in senso stretto.

Sempre Baudrillard infatti afferma: "Il lavoro non è più produttivo, è diventato riproduttivo dell'assegnazione del lavoro, come abito generale di una società che non sa più nemmeno se voglia produrre o no. Non più miti di produzione, non più contenuti di produzione: i bilanci nazionali non rappresentano più che uno sviluppo cifrato, statistico, privo di senso. Il pathos dello sviluppo è morto esso stesso come il pathos della produzione"[27].

Egli non aveva assistito all'avvento del cyber-capitale e della sua pervasività nella vita di ognuno di noi.

Difficile sostanziare con una definizione questo fenomeno della contemporaneità. Se nell'idea di Marx  il capitalista era colui che controllava i mezzi di produzione, oggi il capitalista è colui che gestisce i flussi virtuali che ogni secondo attraversano il mondo. La finanza speculativa, la raccolta dei dati personali e la loro alienazione sono alcune delle facce dell'amorfo capitale cibernetico odierno.

Se è possibile oggi guadagnare miliardi prevedendo le oscillazioni di una valuta è altrettanto possibile perderli, con la conseguenza di gettare nel panico un sistema economico globale interdipendente.

Questo è uno dei rischi più concreti della finanza de-regolamentata di oggi.

Il cyber-capitale parla solo a sé stesso e a null'altro, esiste solo nelle luci bluastre dei monitor davanti ai quali passano innumerevoli flussi di informazioni.

Già si parla di industria digitale atta a cambiare il vecchio modello produttivo a capitale reale[28]. Di algoritmi di raccomandazione, ovvero la possibilità per gli utenti di internet di trovare contenuti sempre più conformi alle loro caratteristiche personali.

Anche le singole identità sono divenute merce di scambio, elementi da cui estrarre valore. Tutto questo senza produrre alcunché, solo sfruttando ciò che già esiste.

Certamente non si vuole intendere che la produzione reale sia completamente scomparsa dal sistema economico globale.

Avremo ancora bisogno di vestiti, cibo, automobili, beni tangibili che qualcuno dovrà pur produrre, probabilmente in qualche paese lontano dove, come già detto, i diritti dei lavoratori siano più malleabili ed il costo del lavoro contenuto[29].

È evidente però che il capitalismo, almeno in Occidente, si muove sempre di più verso una progressiva smaterializzazione delle sue attività, incentrandosi sull'estrazione di valore a scapito della produzione reale.

Le implicazioni che questo nuovo capitalismo "improduttivo" possono avere sulla vita degli esseri umani sono più rilevanti di quanto si pensi.

Il commercio illimitato delle identità individuali digitalizzate apre la strada a meccanismi di sorveglianza onnipervasivi. Se è possibile identificare una persona da ciò che guarda o compra sul web è anche possibile sorvegliare le sue scelte, osservare e prevedere i suoi comportamenti, senza che vi sia più un confine tra commercio e riservatezza.

Se i nostri dati vengono raccolti in ogni momento e dopo ogni clic non c'è modo di sottrarsi a questo gigantesco sistema di osservazione, non finalizzato solamente ad attività commerciali come dimostra il caso Cambridge Analytica[30].

Consegnare i mercati alla finanza puramente speculativa e senza alcun appiglio con la realtà potrebbe porre le basi per accelerare quella disgregazione sociale, non solo economica, le cui avvisaglie si stanno tragicamente manifestando in tutto il mondo occidentale.

"Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora oggi vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che non lavorano più soltanto le materie prime del luogo, ma dalle zone più remote, i cui prodotti non vengono consumati solo nel paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. (...) All'antica autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, un'interdipendenza universale tra le nazioni"[31].

 

 



* Mi è gradito ringraziare per i preziosi consigli ed il costante supporto a questo lavoro il professor Giuseppe Di Taranto, professore emerito presso la LUISS Guido Carli di Roma. A Lui il mio più vivo ringraziamento.

[1] Karl Marx, Il Capitale, Roma, Editori riuniti, 1997, p. 1.

[2] Quando all'uomo viene sottratto il frutto del suo lavoro, nella dottrina marxiana, anche la sua stessa natura di lavoratore gli viene tolta. Il lavoro di fabbrica con la sua ripetitività trasforma l'operaio in un mero ingranaggio del sistema produttivo, estraniandolo dalla sua stessa umanità. Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici, Torino, Einaudi, 2003, p.25-26.

[3] Zygmunt Bauman, Homo Consumens, lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Trento, Il Margine editore, 2021, p.3.

[4] Nel 1962 il PIL italiano aumentò di circa il 6% in un solo anno. 

[5] Karl Marx, Friedrich Engles, Manifesto del partito Comunista, 2014, Torino, Einaudi, p.5.

[6] Giuseppe Di Taranto, La globalizzazione diacronica, Torino, Giappichelli editore, 2013, p. 98.

[7] Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Milano, Il Saggiatore, 1963, p. 55.

[8] David Landes, Prometeo liberato, Torino, Einaudi, 2000, p. 5-6.

[9] The Economist, The world's most valuable resource is no longer oil, but data, 6 maggio 2017.

[10] Gli scienziati dell'Istituto di tecnologia di Mosca sono riusciti a riportare indietro nel tempo di una frazione di secondo lo stato di un computer quantistico grazie alla capacità di calcolo di quest'ultimo, infrangendo di fatto la seconda legge della termodinamica sull'irreversibilità dei processi fisici. Pubblicato su Wired.it del 14 marzo 2019.

[11] Karl Polanyi, La grande trasformazione, Torino, Piccola biblioteca Einaudi, 2010, p.13

[12] Luciano Gallino, Finanz-capitalismo- la civiltà del denaro in crisi, Torino, Einaudi, 2011, p. 5-8.

[13] Fonte: Oliver Wyman- Morgan Stanley wholesale banking report, 2022.

[14] Nel 2021 secondo il Fondo Monetario Internazionale il debito pubblico mondiale ha raggiunto i 226 trilioni di dollari, praticamente al 256% del pil globale. Update of the IMF global debt database, 15 dicembre 2021.

[15] Giorgio Cesarano, Gianni Collu, Apocalisse e rivoluzione, Bari, Dedalo libri, 1973, p. 68.

[16] Consob, Cosa sono le criptovalute e quali rischi si corrono. Consultabile all'indirizzo web https://www.consob.it/web/investor-education/criptovalute

[17] Nel 2018 sette delle dieci maggiori aziende del mondo erano Big Tech (Amazon, Microsoft, Google, Apple, Facebook, Alibaba) e il loro valore complessivo superava i 4 trilioni di dollari, più del doppio del pil italiano.

[18] Fonte: Infodata de Il sole 24 Ore, 24 maggio 2022.

[19] Ibd.

[20] Ibd, dai prodotti da Visual Capitalist.

[21] Dati Visual Capitalist per Infodata de Il Sole 24 Ore, 24 maggio 2022.

[22] Nel 2016 Google e Facebook hanno assorbito un quinto della spesa pubblicitaria globale, alle due big tech era riconducibile quasi il 90% della crescita della spesa pubblicitaria. Si veda Julia Kollewe, Google and Facebook bring in one-fifth of global and ravenue, The Guardian, 2017.

[23] Shoshana Zuboff, Capitalismo della Sorveglianza, Roma, Luiss University press, 2019, p. 247-248.

[24] Sam Biddle, Facebook uses artificial intelligence to predict your futures actions, 2018, dal sito web The Intercept.

[25] Karl Marx, Il Capitale vol I cap XIV, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 556.

[26] Jean Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Milano, Feltrinelli, 1971, p. 21.

[27] Ibd.

[28] Kalus Schwab, La quarta rivoluzione industriale, Milano, Franco Angeli editore, 2016, p.75

[29] Per fabbricare un paio di scarpe Timberland vendute in Europa a 150 euro, in Cina un ragazzo di 14 anni che le ha confezionate manualmente guadagna 45 centesimi, lavorando 16 ore al giorno, senza diritti o assicurazione.

Federico Rampini, I lager cinesi che fabbricano il sogno occidentale, 19 maggio 2005, Repubblica.

In Indonesia il lavoro minorile è legalizzato a partire dai 13 anni, rapporto dello US Department of Labor, 2020.

[30] Si vedano per questo le rivelazioni di Brittany Kaiser, ex direttrice business di Cambridge Analytica. "Manipolavamo tutto, voti, comportamenti, coscienze" da Il Corriere della Sera, 15 novembre 2019.

[31] Karl Marx, Friedrich Engels, Manifesto del Partito Comunista, Torino, Einaudi, 2014, p. 11. Cit anche in Giuseppe Di Taranto, La globalizzazione diacronica, cit. p. 59.