Attualità
Vincenzo Pepe
La questione ecologica e il declino dell'ambientalismo ideologico e fondamentalista
di Vincenzo Pepe[1]
Sommario: 1 - Ambiente e ambientalismo; 2 - La questione ecologica; 3 - Il Tramonto dell'ideologia ambientalista; 4 - L'ambientalismo responsabile; 5 - L'Ambientalismo culturale.
1 - Ambiente e ambientalismo[2]
I tempi sono maturi affinché
chi vorrà definirsi ambientalista, dovrà accogliere una rinnovata consapevolezza del valore di questa definizione e assumersi nuove responsabilità. Dovunque nei Paesi più avanzati, e per fortuna
anche in Italia, il vento sembra
cambiare. In tal senso le dichiarazioni di molti autorevoli esponenti politici, che sembrano
aver definitivamente rottamato anche vecchie e inconcludenti ideologie, lo confermano. Non ci si sbaglia se si afferma
che si sta diffondendo una sensibilità nuova
in tema di ambiente; per chi come me si batte da sempre per un'idea
diversa di ambientalismo
è senza dubbio un riconoscimento per
il lavoro svolto
in anni in cui queste
idee sono state
minoritarie e osteggiate dai media e dalla politica. Scorgo nel nuovo vento che spira
uno stimolo a proseguire sul percorso
intrapreso nella consapevolezza di poter raggiungere grandi obiettivi,
come quello di riuscire finalmente ad armonizzare
sviluppo, crescita
economica e valorizzazione ambientale.
Ho sempre ritenuto indispensabile che cittadini, associazioni, politici, uomini e donne fossero consapevoli che l'Ambiente non è una questione che viene dopo le altre. Si sta finalmente comprendendo che tutto è ambiente, che le politiche economiche sono ambiente, che le politiche culturali e formative sono ambiente, che le riforme costituzionali sono ambiente. Abbiamo bisogno di capirlo sia per una doverosa necessità intellettuale, sia per l'urgenza di una svolta che ci conduca al modello - ormai prevalente dagli Stati Uniti alla Germania, dalla Gran Bretagna all'India, dal Brasile alla Svezia fino al Canada - di un "ambientalismo ragionevole" che mandi definitivamente in pensione quello a carattere ideologico nato negli anni Sessanta. Il vecchio modello di pensiero, frutto di un mondo e di una società che non esistono più, rappresentava una sorta di braccio armato pronto a scagliarsi contro l'idea stessa di progresso. In questa battaglia contro quell'idea sbagliata non mi sento più solo. Negli ultimi tempi numerose pubblicazioni sono apparse a sostegno di questa nuova e auspicabile tendenza che fa dell'ambientalista non un ribelle antimoderno, un profeta di sventura, ma un intellettuale e un attivista aperto alle novità, sostenitore delle nuove tecnologie, delle innovazioni della tecnica, propugnatore dei ritrovati della scienza e costantemente alla ricerca di soluzioni equilibrate e per questo sostenibili.[3]
Nella società
contemporanea, alle prese
con la globalizzazione e l'affermarsi di paradigmi sociali
ed economici ancora da decifrare, è del tutto inutile trincerarsi dietro il
muro dei no, nascondersi nella
predizione delle sventure, rifiutare il progresso, relegare
la giusta necessità
di migliorare la qualità della vita
a un egoistico bisogno "anti-natura". Occorre invece uno
spirito critico flessibile in grado di scegliere, caso per caso, quale possa essere la soluzione più adeguata e sostenibile da applicare, adattandola prudentemente alle molteplici realtà di cui
l'Ambiente si compone. La nuova prospettiva ci suggerisce che è la nostra storia,
quella degli uomini, delle
donne, delle comunità
locali a creare l'Ambiente inteso
come correlazione fra i molteplici ambiti che
costituiscono la vita. L'esito dell'interazione
degli ambiti umani dà vita a sistemi
complessi che non è possibile ridurre né confinare in significati "ambientalisti" che non
tengano conto della complessità di quei sistemi
all'origine delle società umane. Ciò che va bene per le comunità dell'entroterra del Mediterraneo, per esempio, non può automaticamente essere adeguato per tutte le popolazioni che vivono in qualsiasi altro entroterra del pianeta. Vanno considerati gli ambiti
locali, le identità, le storie, i microclimi, le culture. Uno degli
errori più gravi
commessi utilizzando gli schemi oggi desueti dell'ambientalismo ideologico è stato quello di voler costringere l'innumerevole diversità della vita, degli ambiti
umani, in concetti astratti e generici
validi per tutti.
Una commissione di burocrati saldamente ancorati alle comode sedie dei propri uffici in una qualsiasi
delle metropoli mondiali non può stabilire gli standard di vita di una
comunità africana o degli Inuit dell'Artico con un comunicato stampa[4].
Ciò che devono fare, ciò che devono mangiare, come devono
vivere, nessuno può saperlo meglio di chi quotidianamente da millenni vive quegli specifici ambiti. L'approccio ideologico in tema di ambiente, che pur
troppo non è facile da smantellare, limita
la comprensione stessa del nostro stare al mondo.
Meglio rinnovarsi, allargare gli sguardi, discutere,
sperimentare.
L'Ambiente non è qualcosa di astratto e indefinito[5]. Le questioni ambientali sono il risultato dell'interazione di tutto ciò che ci circonda. Di dinamiche che mutano e si evolvono incessantemente, di scontri, di separazioni o di legami. La natura, gli animali, gli eventi naturali, le catastrofi o i grandi rivolgimenti climatici che da sempre trasformano l'aspetto esteriore della nostra magnifica Terra, non costituiscono, da soli, l'ambiente. Ne sono una parte, come la famosa metà della mela del mito platonico. L'altra metà siamo noi. Siamo noi, uomini e donne, con la nostra inesauribile capacità di procedere, di andare alla ricerca del benessere. Questa metà è il frutto delle nostre molteplici attività delle quali non possiamo fare a meno. Così come non possiamo smettere di meravigliarci, di indagare, di valutare, di pensare che il futuro potrà essere differente dal presente. Semplicemente, non possiamo smettere di crescere per progredire sulla strada della qualità della vita. È il nostro imperativo categorico che deve trovare nell'equilibrio e nell'armonia il suo valore più importante al fine di governare con buon senso i processi del cambiamento. In ognuna delle scienze umane si afferma chiaramente che la vita è un meccanismo incredibilmente vario, delicato e proprio per questo non possiamo abdicare a essa. Le due metà della mela, natura e cultura, non vanno separate o messe l'una contro l'altra, ma stimolate da un armonico e dinamico equilibrio, messe in reciproca comunicazione[6].
Il vecchio
ambientalismo, ossia il modo sbagliato di essere
sostenitori della qualità
della vita, ha voluto e vorrebbe
ancora che la nostra specie,
"nemica della natura",
si fermi. Che si autocensuri al progresso. Che avvii la "decrescita".
Ma ciò è impossibile, oltre
che illogico, perché
è solo grazie al progresso che
potremo salvaguardare anche
l'ambiente naturale. Il cammino
del genere umano
ci ha condotti a non essere più in balia
degli eventi ma a controllarli, a gestirli, a trarne beneficio. E noi oggi siamo in un punto privilegiato rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto, perché
siamo
consapevoli di questo
percorso, ma siamo anche informati sul fatto che è giunto
il momento di riequilibrare la relazione
"umanità-naturalità". Per farlo abbiamo
a disposizione, e ne avremo sempre
di più in futuro, le tecnologie, la ricerca, la conoscenza. Non possiamo smettere di produrre, di mangiare, di spostarci, di lavorare, in una parola,
di vivere. Il nostro
dovere non è quello di negarci agli ambiti dell'esistenza, ma di agire con modalità
via via più ragionevoli,
adottando modelli di equilibrata sostenibilità. Chi non lo capisce, commette
un errore grossolano poiché non considera come
la questione ambientale sia tale solo
in riferimento al
nostro Umanesimo. Siamo noi che riflettiamo, discutiamo, ci accapigliamo sulle
formule economiche o quelle politiche da perseguire. Siamo noi che quotidianamente proponiamo ricette e slogan
per cercare di scoprire se ci sono
modi per vivere meglio.
Siamo noi che, talvolta, perdiamo
le coordinate, e siamo sempre
noi che ritroviamo la strada e riprendiamo il cammino. È la nostra originalissima e splendida prerogativa di esseri umani che ci pone dinanzi
alla questione ambientale. In fin dei conti,
se ci pensiamo, è questa
la nostra libertà[7].
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Cerchiamo di capire cosa sia esattamente la questione ecologica. Secondo
molti essa consiste
esattamente nella messa in discussione del modello
consumistico occidentale e dei valori su cui è stato costruito. Le problematiche ambientali che oggi si registrano non sarebbero altro
che effetti dei
modelli produttivi e degli
stili di vita conseguenti a quei paradigmi. L'idea ovviamente non è del tutto errata,
tuttavia se ci si ferma qui,
così come ha fatto il vecchio ambientalismo che molti seguaci ha ancora oggi
in Italia, non
si può che rimanere
intrappolati in una
sorta di circolo
vizioso secondo cui
la nostra specie,
nel tentativo di perseguire un progressivo benessere,
inevitabilmente corroda e distrugga gli elementi e le condizioni "naturali" della vita
sulla Terra.
Di fatto, in questo orizzonte interpretativo, ci troviamo intrappolati in una contraddizione insanabile. Da una parte, operando
attraverso quei meccanismi
economici, tutti contribuiamo al miglioramento delle condizioni di vita, credendo di realizzare ciò che è bene per l'umanità; dall'altra, così facendo, ci rendiamo responsabili di un futuribile suicidio di massa a causa della manomissione degli equilibri e delle risorse
naturali. È evidente che se scegliamo questa
visione come l'unica
possibile,
i margini di azione si fanno per noi risicati,
insignificanti.
È per questo che è necessario cogliere
l'esigenza di una nuova
prospettiva ambientalista. La soluzione della
crisi ecologica non
può essere per
se stessa "ecologica". Deve riguardare una più ampia rimodulazione
sociale, politica, culturale, in modo da coinvolgere centro e periferie delle nostre società. Per decenni si è ritenuto
- lo hanno fatto gli
ambientalisti dello scorso secolo - che la natura e i suoi ecosistemi non possano essere
toccati, pena devastanti conseguenze: possiamo definire
questo modello come
il "paradigma della
conservazione". La natura soffrirebbe ogni nostra minima e singola intrusione, ecco perché bisognerebbe limitarci se non addirittura astenerci dagli interventi. Una visione miope
che ha cominciato a scricchiolare quando la ricerca
scientifica,
la climatologia, la fisica, la biologia, l'etologia, le scienze economiche hanno dimostrato in modo inoppugnabile che gli equilibri naturali non si modificano solo
per l'intervento dell'uomo, ma forse, e più spesso,
mutano per elementi, connessioni e interrelazioni inserite nel gioco naturale, senza che noi ne siamo non solo responsabili, ma neppure consapevoli.
Si è così compreso come le teorie
che insistono sul divieto di alterare l'equilibrio naturale non
solo non corrispondano alla verità dell'evoluzione dei cicli naturali
stessi, ma siano del tutto irrealizzabili, poiché anche se noi ci astenessimo da qualsiasi intervento, lo farebbe
comunque la natura riassestando, in termini
forse più lunghi
rispetto ai nostri,
l'equilibrio dei molteplici ecosistemi.
È questa caratteristica naturale che oggi conosciamo con
il termine di resilienza, ossia la capacità
di autoadattamento interno degli equilibri naturali. Che sono alla
fine l'esito di processi di trasformazioni naturali
fra loro correlati. Da ciò si
capisce come il modello naturale
della conservazione, tanto sbandierato dal vecchio ambientalismo, in pratica non esiste, è solo una costruzione teorica, o meglio ideologica[8]. La conservazione, se
con questo intendiamo lo sforzo volto a mantenere lo "stato attuale
della natura", si rivela di fatto
un'operazione
impraticabile, contraddittoria, inutile e in
fin dei
conti innaturale. Poiché
la natura, infatti, si adatta e si autoevolve senza posa. Questa
realtà ci guida
verso quella rivoluzione copernicana da realizzare nella nostra idea di convivenza fra attività umane
e cicli naturali.
3 - Il Tramonto dell'ideologia ambientalista
C'è bisogno di uno sguardo nuovo per fare di un viaggio un nuovo viaggio. È esattamente quello che serve se si vuole rinnovare il pensiero ambientalista. C'è bisogno di uno sguardo libero da condizionamenti e dalle ideologie del passato che ci lasci liberi di conoscere e sperimentare il futuro.
Mi vengono
in mente Giordano
Bruno e Galileo
Galilei. I due
grandi esponenti dell'Umanesimo e del pensiero
moderno si incontrano nel Palazzo degli Eretici a Venezia,
una specie di rifugio per spiriti liberi.
Dinanzi alla magnificenza del Canal Grande
e a quella vista di limpida bellezza
i due parlano del mondo, dell'idea di universo, della
Verità. Bruno
è un visionario che lancia la mente oltre
i confini umani.
Galilei preferisce utilizzare il suo metodo,
quello scientifico, della
dimostrazione certa e indubitabile e degli esperimenti necessari per giungere alle verità della natura. Bruno non ha dubbi
sull'infinità
dell'universo e soprattutto sull'esistenza di molteplici
centri, poiché nell'infinito non può esistere un solo centro.
Anzi ogni punto
di per sé diventa centro
del tutto. Ossia ogni essere umano è centro
di questo universo
incommensurabile. In questo modo egli sa bene di rivoluzionare l'idea stessa di Dio, di spalancare gli occhi verso
orizzonti di là da
venire. Forse non si rendeva
conto che la sua idea
di infinito non
era altro che
un'anticipazione della moderna
democrazia e dell'idea giuridica dei diritti
umani, in cui ognuno di noi è un centro con
una dignità unica
e intaccabile e con una sua radicale specificità. L'origine
della democrazia sta esattamente
nell'idea di Giordano Bruno secondo la quale ciascuno di noi è un mondo, è un ambito
costituito da molteplici elementi: è natura, è cultura, è identità. Sui canali di Venezia
Bruno parla così dell'identità, di chi siamo. Egli sapeva
bene che ognuno di noi
è simile, ma allo stesso
tempo diverso da quello di un mese prima o di un anno prima,
che le persone sono uguali e differenti allo stesso tempo,
perché la nostra
diversità si chiama
ambiente e si specifica nei
luoghi in cui
viviamo e che contribuiamo a modificare[9].
Oggi, a più di quattro secoli da quell'incontro, sappiamo che l'ambiente che ci identifica è contaminazione di molti principi, ma anche adattamento. Che chiamiamo resilienza. Tutto è resilienza. Ognuno di noi si adatta all'ambiente in cui è immerso. E allo stesso modo la natura si adatta ai cambiamenti, anche a quelli generati dalle nostre azioni. Noi esseri umani siamo creature perfettamente resilienti e questo Giordano Bruno lo aveva già intuito. Siamo l'ambiente in cui nasciamo, il cibo che ingeriamo, l'aria che respiriamo, i panorami che quotidianamente guardiamo. L'origine la portiamo sempre dentro di noi. Un'identità che col tempo si mescola alle esperienze e ai condizionamenti. E così io sono l'esito del latte che ho bevuto da neonato, del mare Tirreno in cui mi sono bagnato da ragazzo, delle relazioni che ho instaurato e delle persone che ho incontrato nel corso della mia vita. Consapevolmente e inconsapevolmente la mia identità è l'ambiente da cui vengo, quello in cui vivo e quello che modifico con la mia presenza[10].
Nei secoli scorsi parlare di natura
voleva dire, spesso, fare
riferimento alla cosiddetta "Età dell'oro". La letteratura e l'arte figurativa sono piene di riferimenti alla mitica Età
dell'oro.
Ossia a quel tempo in cui l'uomo viveva in prosperità e abbondanza in perfetta armonia con la natura. Un tempo lontano, così distante da noi, che se ne sono persi i contorni. Tutti i filosofi e i pensatori si sono confrontati con questa idea che descriveva la nostra specie libera, non bisognosa di leggi, governi e re. Ogni primizia ci era offerta dalla madre Terra gratuitamente. Nessun uomo si dedicava al lavoro, la fatica era sconosciuta, così come la guerra e le malattie. Questo tempo magnifico e perfetto sarebbe terminato il giorno in cui l'uomo, preso da superbia e ambizione, ha smesso di accettare ciò che la natura gli dava gratuitamente decidendo di modificare la madre Terra con le sue invenzioni[11].
Di questo
mito dell'Età dell'oro
si è impossessato, senza alcun diritto, il movimento ecologista. Quel pensiero
nato dai
movimenti di protesta
sociale aveva individuato nell'Età dell'oro l'origine e il senso della propria
battaglia contro il progresso e lo sviluppo, contro la tracotanza tecnologica della nostra specie. L'ecologismo
aveva identificato nell'essere umano e nel suo legittimo bisogno di progredire, i più temibili nemici
della natura. Un'idea
che non ci ha impiegato molto a trasformarsi in un'ideologia, la più tenace
e pervasiva della
storia contemporanea. Basata
su miti, false
leggende, pregiudizi, terrorismo mediatico, ha finito per riprodurre un pensiero duro da scalfire che si è diffuso potentemente per decenni. L'ecologismo segnato da questa
matrice ha finito
per egemonizzare tout court il pensiero ambientalista, dovunque. È diventato così un'ideologia
che si è radicalizzata, irrigidita, e come tutte
le ideologie ha avuto i suoi profeti, i suoi leader
che col tempo
l'hanno utilizzata per carriere politiche a suon di propaganda. Non era possibile, né pensabile, alcuna deviazione dall'ortodossia. Dall'ideologia al fanatismo il passaggio è stato
rapido: quella visione
del mondo diventa
totalizzante, l'unica accettabile e condivisibile. La sola in
grado di spiegare tutto.
La genesi dell'ecologismo ci dice che essa è l'ultima e più potente ideologia che il Novecento, il secolo delle ideologie, ci ha consegnato. La questione ambientale fattasi ideologia ha preferito costruire verità di comodo, che calzassero perfettamente con la visione dogmatica di cui si faceva carico. Negli ultimi anni si è discusso sulla fine delle ideologie, sulla caduta dei muri, ma si è perso di vista che mentre le ideologie politiche crollavano, uscendo dal palcoscenico della storia, un altro pensiero totalizzante nasceva, diffondendosi con estrema rapidità, andando a colmare i vuoti lasciati dalle altre ideologie morenti. L'ideologia ecologista ha rifiutato l'Umanesimo, ha rigettato l'assoluta specificità che l'essere umano occupa nel mondo e ha posto la natura al centro di tutto, affermando che noi, uomini e donne, siamo solo ospiti dei sistemi naturali, figure secondarie, e che il progresso è intrinsecamente illegittimo. Questo modo di pensare ha dichiarato guerra all'antropocentrismo e alla civiltà umana, seppellendo secoli di storia, scienza e identità culturale.
Oggi sappiamo
che non è così. Perché
se discutiamo di come salvaguardare la natura lo facciamo esattamente in virtù della nostra consapevolezza, della libertà
di assumerci la responsabilità dell'azione, lo facciamo dalla prospettiva culturale di cui siamo portatori; solo grazie a essa potremo
preservare la natura in quanto la nostra responsabilità è l'eredità più autentica e forte dell'Umanesimo.
Rendersene conto senza peccare di
quella che gli antichi greci chiamavano hybris, la superbia, è il primo passo
da fare per liberarsi degli
inutili e logori schemi
dell'ideologia verde.
Tra l'uomo e tutti gli altri viventi vi è una differenza qualitativa e non di grado: e cioè non siamo superiori, ma siamo certamente diversi. Lo siamo perché il nostro mondo, come sosteneva Giambattista Vico, è ambiente storico, culturale, civile, tecnologico e non solo ambiente naturale. Questo è il motivo per cui nei secoli abbiamo preso le distanze da molti fattori biologici o "semplicemente" naturali. Si tratta di un progresso tipico e inevitabile della nostra specie che non può essere demonizzato, né a causa di esso dobbiamo sentirci in colpa, nella convinzione che ognuno di noi rappresenta sempre un nuovo inizio. È arrivato perciò il momento di abbattere anche l'ultima ideologia giunta fino a noi, quella ecologista. Essa ci vorrebbe carnefici del creato e del mondo perché succubi e schiavi dello sviluppo, ossia dell'egoismo. Noi, donne e uomini, non siamo il virus nocivo che distrugge la vita e la natura, le nostre azioni non sono intrinsecamente sbagliate e dannose. Il nostro essere umani è il valore aggiunto per elaborare un pensiero efficace, adattabile ai bisogni concreti e in grado quotidianamente di dare soluzione ai problemi per vivere meglio. In armonia con la natura, in tutte le sue meravigliose forme e con le nostre identità, è possibile perciò realizzare una vita più degna per tutti, più libera e giusta nel rispetto di tutte le forme viventi del pianeta Terra.
4 - L'ambientalismo responsabile
Anni fa ebbi la fortuna di incontrare e dialogare con il grande
filosofo Hans-Georg Gadamer a cui chiesi, con molta ingenuità vista la mia inesperienza, cosa mai potesse
essere l'ambiente. Avevo cominciato
a occuparmi di questioni
ambientali, ne
avevo già sentiti
molti di discorsi,
ma desideravo avere un
parere importante per provare
a capire meglio.
Alla mia domanda ho ancora oggi ben chiaro il silenzio che sembrò avvolgere il mio illustre interlocutore per qualche istante. D'improvviso con tono risolutorio ma affabile, Gadamer rispose:
«L'ambiente è la libertà. E la libertà è la responsabilità». Fu quella per me la risposta. Le sue parole mi rallegrarono, fu come riuscire ad afferrare un meccanismo che mi svelava un mondo nuovo. Ripetendo fra me quelle parole pensai immediatamente a quanto mediocri risultassero la maggioranza delle "spiegazioni sull'ambiente". La sua risposta parlava dell'ambiente come dello spazio consapevole della nostra libertà: libertà di progredire, di assumersi la responsabilità del futuro. Quelle parole che ho custodito con cura nel mio cuore suggeriscono oggi più che mai come sia proprio l'ambiente a valorizzare la nostra libertà e come l'ambiente sia la responsabilità dell'umanità. Essere responsabili, a mio avviso, vuol dire avere la ragionevole consapevolezza di agire alla ricerca della libertà. Di scegliere al meglio per quelle decisioni che ci riguardano come persone inserite in specifici ambiti, di determinare con equilibrio il corso delle cose[12].
Ecco perché ambiente vuol dire oggi più che mai libertà, in netta antitesi al senso di paura e impotenza che sono invece la risposta del vecchio ambientalismo. Si tratta di quella libertà e di quel dovere che ci competono in quanto appartenenti al genere umano, che ci spingono tutti, nessuno escluso, verso una piena presa di responsabilità ad agire. L'ambientalismo non può più arroccarsi su posizioni oltranziste, ma deve calarsi nel fluire dell'esistente.
Agire,
fare, programmare, ideare, realizzare, verificare: verbi che sottolineano come
il prendersi cura dell'ambiente passi attraverso la progettazione e la realizzazione di una convivenza sostenibile fra uno sviluppo armonico razionale, con le molteplici e mutevoli esigenze
delle comunità umane.
L'identità
e l'autonomia delle popolazioni passano attraverso il principio dello sviluppo sostenibile che, emancipatosi da un idealismo ideologico e fondamentalista, rappresenta la capacità di coniugare la tutela
delle risorse naturali con lo sviluppo
economico e sociale di una comunità. Va pertanto difesa e diffusa una nuova concezione di ambientalismo, un pensiero
che scelga di
diventare antropocentrico, o come spesso
sostengo, un "ambientalismo culturale", in grado di porre
gli esseri umani al centro
dell'ecosistema globale responsabilizzandoli sia nel dovere di crescere e svilupparsi, sia nella difesa dei patrimoni naturali, al fine di garantire per sé e per le generazioni future una
buona qualità delle condizioni di vita.
Occorre in tal
senso contrastare con le armi della ragionevole sostenibilità
l'atteggiamento, predominante in passato ma ancora largamente diffuso, che ci induce a pensare
che lo sviluppo e il moltiplicarsi delle attività umane siano, di per sé, il male, il nemico da combattere[13]. Credere infatti che il naturale evolversi
delle comunità umane, il cercare condizioni di vita migliori possano provocare la fine del nostro pianeta è illogico
e inutile, dato che non è così che si risolveranno i problemi
concreti del nostro
pianeta. Abbandonare gli sterili
conflitti ideologici è il primo passo. Lo dimostrano egregiamente i passi in avanti
compiuti negli ultimi decenni in tema di qualità della vita. Se una parte
consistente degli abitanti della Terra
ha raggiunto elevati standard di
vita, ciò è stato possibile grazie alle tecnologie, alla ricerca scientifica, all'innovazione e
di conseguenza all'idea stessa di progresso che
taluni vorrebbero cancellare o limitare.
Capire questo vuol dire diventare finalmente consapevoli dei
diritti e dei doveri che ci riguardano in materia
di ambiente, ben sapendo
che parliamo della nostra quotidianità.
Per sostenere una simile prospettiva occorrono iniziative ad ampio raggio, quali l'introduzione dell'educazione ambientale come disciplina obbligatoria nelle scuole, primo passo per
rafforzare nei cittadini di domani
un'etica ambientale condivisa.
Attuare progetti che possono
far diventare l'ambiente il valore principale nello
sviluppo economico delle comunità locali. Valorizzare le
identità territoriali attraverso l'enogastronomia, le
tradizioni locali, i dialetti,
dare forza al paesaggio culturale e identitario che caratterizza qualsiasi ambito umano.
Nella visione dell'ambientalismo
ragionevole occorre proporre una sensibilità spiccata
verso la tutela
della salute dei cittadini, senza
per questo demonizzare prodotti, strumenti, tecnologie che
di giorno in giorno ci aiutano
a vivere meglio. Decisivo sarà il nuovo
ruolo che si vorrà conferire al comparto dell'agricoltura e della cura dei territori produttivi, incentivando il sorgere
di cooperative e associazioni locali. Ciò determinerà non solo occasioni
di nuova occupazione, ma anche un
più consapevole governo
del territorio utile per la prevenzione del rischio
idrogeologico, degli incendi e del generale
impoverimento delle terre. E ancora, bisognerà
contrastare la desertificazione sociale che
incombe su molte
zone rurali del
pianeta, in cui si assiste impotenti allo spopolamento e allo smarrimento delle identità, a vantaggio
delle città e delle metropoli[14]. Occorre riequilibrare questo rapporto. Altro tassello sono la
mobilità sostenibile e i trasporti che giocheranno un
ruolo essenziale nel
futuro, ecco perché l'ambientalismo ragionevole non pone diktat
e divieti nei confronti delle infrastrutture, delle grandi come delle piccole. Ponti, strade, metropolitane, ferrovie, dighe, così come la diffusione delle autostrade telematiche sono tutte opere indispensabili. La vera sfida sarà realizzarle con
criteri di sostenibilità e utilità.
Un altro ambito decisivo sarà quello dell'energia, della sostenibilità
delle risorse e delle fonti energetiche. Avviandoci verso la fine dell'era dei
combustibili fossili il pianeta
avrà bisogno di dotarsi di
una produzione energetica all'avanguardia. Pensiamo
alle fonti rinnovabili, all'energia idroelettrica, alla geotermia, le
cui potenzialità ancora
ci sfuggono. Serviranno per questo politiche coordinate e sovranazionali
di investimenti nella ricerca e nei progetti di sviluppo
di tali fonti primarie,
senza tralasciare che
per realizzare tutto questo
sarà opportuno progettare
una sorta di decentramento della gestione energetica che
si adegui alle differenze territoriali e paesaggistiche. La meta è
la programmazione globale
dell'energia realizzata però
su scala locale, in modo che ogni singola comunità sia in grado
di diventare autonoma e indipendente nella gestione dei flussi energetici di
cui ha bisogno.
Idee, piani, programmi, prospettive che annunciano quale sarà il livello di difficoltà nella sfida che ci attende per la scelta del nostro futuro. Bisognerà puntare su tutte le abilità di cui siamo capaci per rendere vincente una rinnovata cultura dello sviluppo e della cura dell'ambiente grazie a una prospettiva che comprenda integralmente buon senso, tradizioni locali, cultura e innovazioni tecnologiche. Questo perché il futuro sostenibile si costruisce non solo nella tutela ma anche nella crescita, nell'innovazione, nella ricerca delle soluzioni, nella valorizzazione delle molte realtà del pianeta e non nella paura e nell'immobilismo.
[1] Presidente Nazionale di Fare Ambiente - docente di diritto dell'ambiente, del territorio, dell'energia, italiano e comparato presso l'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli.
[2] Per ulteriori approfondimenti vedi, V.Pepe Pensare il futuro, Milano, 2018.
[3] Cfr. Patrick Moore, L'Ambientalismo ragionevole, Milano, 2011, 500, in quest'opera l'autore critica l'ambientalismo fondamentalista e ideologico e ne denuncia le incongruenze. "Nella mia evoluzione, io sono diventato un ambientalista ragionevole. Greenpeace, invece, man mano che ha adottato programmi ostili alla scienza, all'economia e in ultima analisi all'umanità, è divenuta sempre più irragionevole".
[4] F. Livorsi, Il Mito della Nuova Terra. Cultura, idee e problemi dell'ambientalismo, Milano, 2000, 546.
V. Pepe, Fare Ambiente. Teorie e modelli giuridici di sviluppo sostenibile, Milano, 2009, 192.
[5] T. Martines, L'Ambiente come oggetto di diritti e di doveri, in V. Pepe (a cura di), Politica e legislazione ambientale, Napoli, 1997, 230.
[6] V. Pepe, Non nel mio Giardino, Milano, 2013, 347, l'atteggiamento che ci induce a pensare che lo sviluppo e il moltiplicarsi delle attività umane sia di per sé un male e che provocherà la fine del nostro Pianeta è antimoderno, illogico e inutile.
[7] Cfr. V. Pepe, Lo Sviluppo sostenibile tra governo dell'ambiente e profili costituzionali, in Riv. Giur. Amb, 2, 2002.
[8] Cfr. V. Pepe, Etica e Ambiente in Riv. Sintesi, anno I, u.o, 1997, 95; G. Cordini, Questione di diritto pubblico e comparato proposte dalle applicazioni biotecnologiche nell'uomo e nell'ambiente, in Studi in onore di Gustavo Vignocchi, Modena, 1992, I, 430.
[9] Cfr. V. Pepe, La democrazia di prossimità nella comparazione giuridica, Napoli, 2015, 187; L. Mazzucca, Democrazia partecipativa e democrazia deliberativa: un confronto, in Labsus Papers, 16, 2010.
[10] V. Pepe, Pensare il futuro, Milano, 2018, 36.
[11] V. Pepe, Lo Sviluppo sostenibile tra governo dell'economia e profili costituzionali, Piacenza, 2002, 286, lo sviluppo sostenibile deve essere considerato come un modello di sviluppo economico e sociale ed indica non solo la necessità di una produzione sostenibile ma la sostenibilità nel tempo del benessere individuale e sociale.
[12] Cfr. H. Jonas, Il principio di responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica, Torino, 2009. J. Juther, Antropocentrismo ed ecocentrismo nel diritto dell'ambiente in Germania e in Italia, in Politica del diritto, 1989,681.
[13] V. Pepe, La tutela dell'ambiente e la biodiversità culturale, in Riv. Giur. Amb., 2007, 384. Cfr. A. Naess, Dall'ecologia all'ecosofia, dalla scienza alla saggezza, Milano, 1988, 220.
[14] V. Pepe, Lo Sviluppo sostenibile tra governo dell'economia e profili costituzionali, Piacenza, 2002, 286.