Diritto
Eugenio Benevento - Gerardo Scotti
Indice: 1. Premessa. - 2. Brevi considerazioni sul rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo. - 3. Abuso della fiducia . Un po' di statistiche. - 4. La questione di fiducia e le menomazioni dell'assemblea parlamentare. - 5. Questione di fiducia e decretazione d'urgenza. - 6. Il declino del Parlamento. - 7. Questione di fiducia e legge elettorale.
PREMESSA
Sempre più spesso, analizzando le cronache parlamentari, non si può non riconoscere come la presenza dell'ormai "astuto" ricorso alla "questione di fiducia" da parte dei governi italiani sia frequentissima al punto da doverla ritenere e considerare assillante, ingombrante. La conseguenza di un tale abuso non può che essere lo svilimento, la mortificazione delle funzioni proprie del Parlamento, cuore della democrazia parlamentare troppo spesso in affanno.
La routine legislativa pone il rischio concreto di rendere tale pratica una costante della procedura legislativa, privando di fatto il Parlamento dell'espletamento della propria funzione così come delineata dall'art. 70 della Costituzione: "la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere".
Ciò che pare essere totalmente ignorato è che il valore politico di questo ricorso alla fiducia parlamentare in sede legislativa cessa di delinearsi per quel carattere positivo e nobile di garanzia dell'azione governativa, sostituendosi con una forma negativa e sprezzante, sfociante addirittura in atteggiamenti di arroganza e superbia del potere esecutivo nei confronti di quello legislativo.[1] Come possono sopravvivere le istituzioni in un ambiente che di continuo delibera strategicamente la loro delegittimazione? Sembra che l'Italia stia diventando un perverso laboratorio dove elementi controllabili si combinano e si corrompono infettando l'intero sistema. Tale contagio si diffonde dalla politica alla società inscenando quotidianamente il degrado del linguaggio, il disprezzo delle regole, l'esercizio brutale del potere, il tramonto della moralità pubblica, la rottura dei legami sociali. Si evoca lo "stato d'eccezione" come categoria politica costruita per giustificare l'esercizio autoritario del potere di governo e che, tuttavia, rivela una sua nobiltà intellettuale che non si ritrova nelle miserabili prassi italiane di questi tempi[2].
L'eccessivo ricorso alla questione di fiducia, soprattutto allorquando essa viene posta da Governi "non eletti", alimenta dubbi concreti sulla permanenza del potere legislativo in capo all'assemblea parlamentare. Sembra che ad essere dissolta sia soprattutto la dimensione costituzionale. Come ricorda l'autorevole Rodotà, la Costituzione non appartiene più al Parlamento, tant'è che quasi per ogni legge si discute se il Presidente della Repubblica la firmerà o no, quali siano i rischi di una dichiarazione di illegittimità da parte della Consulta. Aumenta il ruolo di estraneità del Parlamento nell'iter legislativo.
E quindi, sembra che possa di fatto realizzarsi una pratica legislativa differente da quella delineata ordinariamente dalla Costituzione. Una pratica che devia rispetto al principio di separazione dei poteri e rispetto al rispetto delle procedure. Recita l'articolo 139: "La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale". Le caratteristiche del nostro sistema costituzionale che definiscono la "forma repubblicana" non sono suscettibili di modifiche. Anche per questo la nuova "quotidianità" legislativa deve rientrare nei binari costituzionali.
[1] G. DI GENIO, Moniti al legislatore ed esigenze di normazione nelle sentenze di rigetto della Corte Costituzionale, in Giur. it., 2004, 1346 e segg.
[2] S. RODOTA', Elogio del moralismo, Editori Laterza, Roma - Bari, 2013.