Diritto


Ciro Galisi

La potestą del Vescovo Diocesano nel libro Secondo del CIC

 

 

 

Al Vescovo rivestito del munus di Cristo maestro, sacerdote e pastore spetta nella diocesi tutta la potestà richiesta dall'ufficio pastorale e cioè ordinaria, propria e immediata. Questa potestà viene trasmessa dalla consacrazione episcopale e può essere esercitata, ipso iure, con la missio canonica, pertanto è annessa all'ufficio e per questo ordinaria, poi è propria perchè distinta dalla vicaria e immediata in quanto non deriva da altri. Queste note della potestà episcopale si riscontrano anche per quella Pontificia ma la potestà episcopale, da quella del Romano Pontefice non viene soppressa o diminuita ma rafforzata e garantita. Il Vescovo esercita la potestà personalmente in nome di Cristo in quanto, come afferma la Lumen Gentium 27, vicario e legato di Cristo non deve essere considerato, quindi, come vicario del Romano Pontefice. Già Benedetto XIV è più recentemente la Enciclica Mistici Corporis di Pio XII vedevano nel Vescovo il prolungamento di Cristo che pascola e governa il gregge che gli è stato affidato. Il Papa con un decreto o per il diritto stesso, può riservare a se alcune materie o questioni, oppure ad altra autorità ecclesiastica. Tali limitazioni hanno come motivo il bene delle anime di cui il Papa è supremo responsabile, non si vuol quindi, affermare il dominio ma il servizio da parte di colui che ha la sollecitudo omnium ecclesiarum. Anche se il Vescovo regge la Chiesa particolare come legato di Cristo nell'esercizio della sua potestà dovrà essere nel vincolo di comunione esercita la sua missione di santificare, insegnare e governare la propria Chiesa particolare in cui e veramente presente e operante la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica[1].

I principi normativi sopra esposti sono racchiusi nel secondo libro del Codice di Diritto Canonico significativamente intitolato: De Populo Dei. In esso sono unificati in una prospettiva giuridica i contenuti ecclesiologici della Lumen Gentium. Ciò non vuol dire che il testo legislativo traduca in termini giuridici e strutturali la realtà della Chiesa che, allo stesso tempo e mistero ed istituzione ed ha in sé la figura fugace di questo mondo.

L'asse portante del secondo libro non è più come nel corrispettivo Codice del 1917 la distinzione tra chierici e laici, ma la comune partecipazione di tutti i battezzati all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo[2].

In questo contesto è riaffermato e garantito il servizio gerarchico.

Dopo la prima parte in cui vengono codificati i diritti e i doveri dei fedeli in quanto tali indipendentemente dallo status giuridico al quale essi appartengono (cc. 208 - 223), su tale base il libro secondo delinea lo statuto giuridico del laico (cc. 224 - 231), e del ministro ordinato (cc. 273 - 289).

Nella prima sezione viene esposta la normativa circa la suprema autorità della Chiesa (cc. 330 - 367) e nella seconda sezione le Chiese particolari e i loro raggruppamenti (cc. 368 - 430).

Il canone 368 offre la nozione di Chiesa particolare che riporta il numero 23 della Lumen Gentium ponendo l'accento che "in esse e da esse sussiste la sola ed unica Chiesa cattolica".

Il canone 369 definisce secondo il Christus Dominus 11 la diocesi "in qua vere inest et operatur una, sancta, Catholica et apostolica Christi Ecclesiali".

In essa emerge il Vescovo diocesano con il suo ministero specifico: la diocesi e affidata alla cura pastorale del Vescovo e del suo presbiterio, deve aderire al pastore che la unifica nello Spirito Santo mediante il Vangelo e l'Eucarestia. Il canone 375, paragrafo 1 definisce il Vescovo, come già è stato notato, "maestro di dottrina, sacerdote del sacro culto e ministro del governo". Nella prospettiva dei tria munera di Cristo, i canoni 386-394 codificano i doveri del Vescovo in relazione alla funzione di insegnare, santificare e governare che nella diocesi esplica con tutta la potestà necessaria: piena, immediata e propria (can. 381). Nel titolo III cc. 460-572 il Codice presenta la struttura interna delle Chiese particolari. I 112 canoni delineano gli organismi e le figure di governo pastorale della diocesi.

Uffici e consigli sono posti sotto la moderazione del Vescovo e la sua immediata direzione diocesana, in quanto è lui il pastore della diocesi e a lui spetta governare la Chiesa particolare con la potestà legislativa, esecutiva e giudiziaria, a norma del diritto (c. 391). In questa prospettiva il Vescovo è l'unico legislatore del sinodo diocesano (can. 466), la Curia diocesana e costituita da organismi e persone che "aiutano il Vescovo" nel governo della diocesi (c. 469). I Consigli presbiterale, Pastorale e degli affari economici sono posti sotto la presidenza del Vescovo[3]. Lo stesso "Moderatore di curia" di cui al can. 473 § 2 deve svolgere il suo ufficio di coordinamento e vigilanza sotto l'autorità del Vescovo. Dall'altra parte la normativa canonica recepisce il principio di corresponsabilità nel governo diocesano.

"L'organico" interno delle Chiese particolari è di aiuto al Vescovo diocesano nello svolgimento del suo ministero.

Il termine aiuto compare in tutti i canoni introduttori dei singoli uffici e Consigli. Il sinodo diocesano presta aiuto al Vescovo diocesano in ordine al bene di tutta la comunità diocesana (can. 460); la Curia diocesana consta degli organismi e delle persone che aiutano il Vescovo nel governo di tutta la diocesi (can. 469); il Vicario Generale presta il suo aiuto al Vescovo stesso nel governo di tutta la diocesi (can. 475 § 1); è lo stesso per il Vicario episcopale relativamente ad una parte della diocesi, ad un determinato genere di affari, o a fedeli di un rito o ceto determinato (c. 476). Il Consiglio Presbiterale coadiuva il Vescovo nel governo della diocesi (c. 495) mentre il Consiglio Pastorale studia, valuta e propone conclusioni operative sulle attività pastorali della diocesi (c. 511).

In questa larga opera di aiuto al ministero episcopale alcune figure svolgono il loro ufficio con potestà ordinaria, esecutiva come il Vicario Generale (c. 479 § 1) e il Vicario episcopale circoscritto, a ciò per cui è stato costituito. Anche il Vicario giudiziale che forma un unico tribunale con il Vescovo (can. 1420 § 2) gode della potestà ordinaria per giudicare (can. 1420 § 1)[4].

Personalmente ritengo che la corresponsabilità è effettiva quando il Vescovo diocesano costituisce quegli uffici lasciati liberi dal Codice e alla cui costituzione è annessa la potestà ordinaria. In questo caso la corresponsabilità non rimane una parola vuota o è applicata in modo arbitrario assembleare o ad beneplacitum in cui una presunta maggioranza fa valere i propri punti di vista.

Nella costituzione di detti uffici si ha invece una reale partecipazione alla potestà del Vescovo anche se concesso dal diritto, nel legittimo rispetto dei diritti di tutti, della centralità del servizio episcopale, dell'ordine ecclesiale e della effettiva valorizzazione del principio di unità e diversità.

Giovanni Paolo II nell' Esortazione apostolica Pastores gregis afferma che quella del Vesovo è una vera potestà, ma una potestà illuminata dalla luce del Buon Pastore e informata dal suo modello, esercitata in nome di Cristo.

Il Vescovo è investito, in virtù del suo ufficio che ha ricevuto, di una potestà giuridica oggettiva, destinata a esprimersi in atti potestativi mediante i quali attuare il ministero di governo ricevuto nel Sacramento[5].  

L'esercizio dell'autorità nella Chiesa non essere concepito come qualcosa d'impersonale e di burocratico, proprio perché si tratta di un'autorità che nasce dalla testimonianza. In tutto ciò che viene detto e fatto dal Vescovo deve essere rivelata l'autorità della parola e dell'agire di Cristo. Se mancasse l'autorevolezza della santità di vita del Vescovo, cioè la sua testimonianza di fede, speranza e carità, il suo governo difficilmente potrebbe essere recepito dal popolo di Dio come manifestazione della presenza operante di Cristo nella sua Chiesa[6].

 Alla cura pastorale del Vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, è affidata la diocesi che presiede con la sacra potestà, quale maestro di dottrina, sacerdote del culto e ministro del governo.

Il Vescovo diocesano, nell'esercitare la sacra potestà abbia sempre dinanzi a sé l'esempio di Cristo e assuma l'autentico spirito di servizio evangelico, nei confronti della porzione del Popolo di Dio che gli è stata affidata.

Nello svolgimento della sua missione, il Vescovo diocesano tenga costantemente presente che la comunità che presiede è una comunità di fede, che necessita di essere alimentata dalla Parola di Dio; una comunità di grazia, che viene continuamente edificata dal sacrificio eucaristico e dalla celebrazione degli altri sacramenti, attraverso i quali il popolo sacerdotale eleva a Dio il sacrificio della Chiesa e la sua lode. Una comunità di carità, spirituale e materiale, che sgorga dalla fonte dell'Eucaristia. Una comunità di apostolato, nella quale tutti i figli di Dio sono chiamati a diffondere le insondabili ricchezze di Cristo, manifestate in modo individuale o associati in gruppo.

La diversità delle vocazioni e dei ministeri che struttura la Chiesa particolare chiede al Vescovo di esercitare il ministero della comunità non isolatamente, ma insieme ai suoi collaboratori, presbiteri e diaconi, con l'apporto dei membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, che arricchiscono la Chiesa particolare con la fecondità dei carismi e la testimonianza della santità, della carità, della fraternità e della missione.

Il Vescovo avrà la viva coscienza di essere nella diocesi il fondamento ed il visibile principio di unità della Chiesa particolare. Egli deve promuovere e tutelare continuamente la comunione ecclesiale nel presbiterio diocesano, in modo che il suo esempio di dedizione, di accoglienza, di bontà, di giustizia e di comunione effettiva ed affettiva con il Papa ed i confratelli nell'Episcopato, unisca sempre più i presbiteri tra loro e con lui e nessun presbitero si senta escluso dalla paternità, dalla fraternità e dall'amicizia del Vescovo. Questo spirito di comunione del Vescovo, incoraggerà i presbiteri nella sollecitudine pastorale per condurre alla comunione con Cristo e nell'unità della Chiesa particolare il popolo che è affidato alle loro cure pastorali.

Verso i fedeli laici, il Vescovo si farà promotore di comunione inserendoli nell'unità della Chiesa particolare, secondo la vocazione e la missione loro propria, riconoscendone la giusta autonomia, ascoltandone il consiglio e valutandone con ogni sollecitudine le legittime richieste in ordine ai beni spirituali di cui necessitano. Accoglierà le aggregazioni laicali nella pastorale organica della diocesi, nel rispetto sempre dell'identità propria di ciascuna, valutandone i criteri di ecclesialità indicati dalla Esortazione apostolica post-sinodale Christifideles Laici, in modo che i membri delle associazioni, dei movimenti e dei gruppi ecclesiali uniti tra loro e con il Vescovo, collaborino con il presbiterio e con le istanze della diocesi all'avvento del regno di Dio nella società dove sono chiamati a immettere la novità del Vangelo e orientarla secondo Dio.

L'origine divina, la comunione e la missione ecclesiale caratterizzano la potestà episcopale rispetto a quella esercitata in ogni altra società umana. Essa ha un'indole e un fine pastorale per promuovere l'unità della fede, dei sacramenti e della disciplina ecclesiale, nonché per ordinare adeguatamente la stessa Chiesa particolare, secondo le proprie finalità. Per compiere la sua missione il Vescovo diocesano esercita, in nome di Cristo, una potestà che, in quanto al diritto è annessa all'ufficio conferito con la missione canonica. Tale potestà è propria, ordinaria ed immediata, quantunque il suo esercizio sia regolato in definitiva dalla suprema autorità della Chiesa e quindi dal Romano Pontefice possa essere circoscritta entro certi limiti per il bene della Chiesa o dei fedeli. In virtù di questa potestà, i Vescovi hanno il sacro diritto, e davanti a Dio il dovere, di legiferare sui propri fedeli, di emettere giudizi e di regolare tutto quanto riguardi l'organizzazione del culto e dell'apostolato. Da qui la distinzione tra le funzioni legislativa, giudiziale ed esecutiva della stessa potestà episcopale[7].

Il Vescovo esercita la potestà legislativa nella sua Chiesa in modo esclusivo senza possibilità di delega[8], la può esercitare nel Sinodo o fuori di esso. Il Vescovo diocesano non può emanare una legge validamente che sia contraria al diritto superiore che è quello universale perché la potestà legislativa universale spetta al Papa e al Collegio dei Vescovi (cc.331-336).

Può accompagnare con una pena una legge divina o ecclesiastica emanata dall'autorità superiore a lui ciò solo nell'ambito della propria giurisdizione; può emanare leggi penali, il canone 1316 invita i Vescovi di una nazione o una regione particolare a tenere un comportamento uniforme circa tali leggi penali.

La potestas esecutiva o amministrativa si può comunemente definire come "la parte del potere di giurisdizione o di governo che nei limiti della legge assicura il bene pubblico, sia dando esecuzione alle leggi sia interpretandole o supplendole o completandole con leggi o decreti secondo i casi, sia dirimendo le controversie attraverso gli organi gerarchici, sia imponendo, se necessario, pene adeguate... nota caratteristica di questa funzione è l'imperatività che non è illimitata, in quanto è regolata dal principio di legalità, che oltre alla protezione dell'interesse pubblico assicura anche quello privato"[9].

Il Vescovo può esercitare questo potere sia personalmente che mediante il Vicario Generale o i Vicari Episcopali, a norma del diritto. Ha tutta l'autorità di emanare decreti generali che sono leggi come stabilisce il canone 29, con essi determina in modo particolareggiato le modalità da osservare nella legge o urge l'osservanza della legge stessa.

Il Vescovo può emettere o pubblicare istruzioni come può emanare un atto amministrativo singolare; può concedere la dispensa da una legge ecclesiastica in un caso particolare e dalle leggi diocesane, da quelle emanate dal Concilio plenario o provinciale e dalla Conferenza Episcopale, nonché dalle leggi disciplinari emanate dalla suprema autorità della Chiesa per giusta e ragionevole causa. Tale potestà può essere esercitata verso i propri sudditi siano essi presenti o assenti dal territorio, anche se il Vescovo si trova fuori della sua giurisdizione può esercitare le sue funzioni esecutive. Circa i forestieri presenti nel territorio, il Vescovo può esercitare la stessa potestà se si tratta di concessioni di favori o di esecuzioni di leggi universali o anche particolari se rientranti nella fattispecie del canone 13 § 2. La potestà esecutiva può essere delegata, i criteri circa la delega di detta potestà sono date dal canone 137:

La potestà esecutiva può essere delegata ad altri sia per un atto che per più casi, a meno che il diritto non disponga diversamente (§ 1).

La potestà esecutiva delegata dalla Sede Apostolica si può subdelegare per un atto o per un insieme di atti, a meno che la potestà non sia stata concessa ad una persona per la propria abilità o non sia espressamente proibita (§ 2).

Quando la potestà esecutiva e delegata da un'altra autorità che ha potestà ordinaria, se è stata delegata per un insieme di casi, si può subdelegare soltanto per singoli casi; se invece la delega è soltanto per un atto o per atti determinati, non si può subdelegare, a meno che ciò non sia espressamente concesso dal delegante (§ 3).

Infine il paragrafo quarto stabilisce che la potestà subdelegata non può essere di nuovo subdelegata se ciò non fu concesso dal delegante.

Il canone 138 prende in considerazione l'ampiezza in cui può essere esercitato il potere sia in riferimento all'estensione, nel suo ambito materiale, sia rispetto alla sua intensità cioè al grado di potere che si ha; ed il legislatore afferma che il potere esecutivo ordinario, come quello delegato e da intendersi in senso ampio[10].

Il gruppo di canoni 139-142 regolano gli eventuali conflitti di competenza che potrebbero sorgere nell'esercizio delle funzioni ordinarie o delegate. Il paragrafo 1 del canone 139 sancisce un principio generale riferito a qualsiasi tipo di autorità esecutiva e a qualunque grado di appartenenza: "Nisi aliud iure statuantur, eo quod quis aliquam auctoritatem etiam superiorem, competentem adeat, non suspenditur alius auctoritatis competentis executiva potestas, sive haec ordinaria et sive delegata".

Il paragrafo 2 limita l'esercizio della potestà inferiore nel caso che quella gerarchica superiore stia esaminando la stessa questione. Tale principio limitativo non si applica se l'autorità è di grado uguale o inferiore.

I canoni 140 e 141 si riferiscono soltanto alla potestà delegata.

La potestà esecutiva può essere sospesa dall'autorità superiore o dal diritto universale. Una delle figure sospensive della potestà esecutiva a norma di diritto è il ricorso contro i decreti amministrativi, che se gerarchico e fatto ad normam iuris, sospende l'esecuzione[11], così avviene per la rimozione e il trasferimento dei parroci [12].

Il Vescovo esercita la sua potestà esecutiva secondo la disciplina prevista dal Codice che tocca tutti gli ambiti del servizio episcopale:

- governo pastorale dei christifideles (cc. 204-329);

- munus docendi (cc. 747-833);

- munus sanctificandi (cc. 834-1253);

- beni temporali (cc. 1254-1310);

- sanzioni (cc. 1311-1399);

- processi (cc. 1400-1500).

La potestà esecutiva viene esercitata soprattutto nella erezione e provvisione degli enti e degli uffici ecclesiastici di cui ai canoni 145-183 e nella loro gestione, vigilanza e soppressione.

Circa l'erezione di enti e uffici ecclesiastici nella propria giurisdizione il Vescovo gode di ampia discrezionalità, ma alcuni enti o uffici è tenuto ad erigerli come le parrocchie (can. 374,1) il Vicario Generale (can. 475), il Cancelliere (c. 482), l'economo diocesano (c. 494), il Consiglio Presbiterale (c. 495), il Collegio dei Consultori (c. 502) i parroci (c. 515) e il Vicario giudiziale (c. 1420).

Il Vescovo deve dare il suo consenso per l'erezione di case religiose (c. 609,1) e per una destinazione diversa da quella per cui fu costituita (c. 612).

Per quanto riguarda la soppressione il Vescovo diocesano può: sopprimere le parrocchie e gli altri enti e uffici diocesani, a norma del diritto (c. 120,1); le associazioni da lui erette o per indulto apostolico da religiosi col consenso del Vescovo diocesano, le associazioni pubbliche per sopprimerle il Vescovo deve sentire il suo Moderatore e gli altri officiali maggiori, (c. 320,2-3) il parere richiesto dal canone non vincola giuridicamente l'autorità competente a sopprimere l'associazione.

I religiosi devono consultare il Vescovo prima che una casa eretta legittimamente, sia soppressa dal Moderatore supremo secondo le proprie costituzioni (c. 616,1); l'altro modo con cui il Vescovo esplica la potestà esecutiva è la provvisione degli uffici ecclesiastici ed è uno degli atti principali di esercizio di tale potestà. La provvisione si effettua per libero conferimento da parte dell'autorità ecclesiastica; per istituzione data dalla medesima se prima vi era stata la presentazione, se invece precede l'elezione o la postulazione per conferma o ammissione e infine per semplice elezione e relativa accettazione se non si esige la conferma (c. 147).

Il canone 148 detta un principio: "all'autorità, cui spetta erigere, innovare e sopprimere gli uffici, compete pure la loro provvisione, a meno che non sia stabilito altro dal diritto".

La provvisione per essere valida deve essere fatta alla persona con le qualità richieste dalla natura dell'ufficio dal diritto universale o particolare o dalla legge di fondazione. Una provvisione all'ufficio ecclesiastico fatta a colui che manca delle qualità richieste per la validità stessa è nulla, in caso diverso è valida ma può essere rescissa con un decreto della autorità competente o con una sentenza del Tribunale amministrativo. La provvisione fatta con simonia è nulla, ciò è quanto stabilisce il canone 149.

L'autorità ecclesiastica che provvede all'ufficio lo deve fare per iscritto (can. 156); in caso contrario se sono state osservate tutte le qualità per la validità essa è valida ma illecita. L'idoneità di un candidato all'ufficio ecclesiastico è giudicata dall'autorità cui spetta conferire l'ufficio se altro non è stabilito dal diritto (c. 148), con la sola premura del bene delle anime, suprema lex.

La vigilanza nasce per il Vescovo diocesano dal momento del conferimento dell'ufficio ecclesiastico, essa e un dovere e insieme un diritto che deve adempiere personalmente o tramite altri. Il fine della vigilanza è che il titolare di un ufficio adempia fedelmente, fruttuosamente e secondo il diritto universale e particolare la missione ricevuta.

Con l'esercizio di questa funzione il Vescovo esplica gran parte del suo ministero[13].

La funzione giudiziale rappresenta la terza esplicitazione del potere di giurisdizione episcopale, anche questa come la potestà esecutiva, il Vescovo la esercita sia personalmente o attraverso il Vicario giudiziale e i giudici sempre a norma del diritto.

Il Vescovo nella sua diocesi è giudice di prima istanza per tutte le cause espressamente non escluse dal diritto. Se si tratta di diritti o di beni temporali di una persona giuridica rappresentata dal Vescovo, in primo grado giudica il tribunale di appello. Per salvaguardare meglio la missione essenzialmente pastorale del Vescovo e rendere più spedita l'amministrazione della giustizia è bene che il Vescovo eserciti questa potestà mediante il Vicario giudiziale che è tenuto a costituire a norma del canone 1420; il vicario giudiziale forma un unico tribunale con il Vescovo che può riservare delle cause a sé e quindi non possono essere conosciute dal Vicario giudiziale. Nella diocesi devono essere costituiti anche dei giudici che siano chierici, questi, che è bene siano almeno quattro o più, per poter costituire il tribunale collegiale che per le cause più difficili o di maggiore importanza può essere di tre o cinque giudici (can. 1425 § 2) godono di potestà ordinaria. All'ufficio di giudici possono essere assunti anche dei fedeli laici a condizione che ciò sia stato autorizzato dalla Conferenza Episcopale e di essi se la necessità lo richiede uno può formare un collegio (c. 1421 § 2).

Più Vescovi diocesani possono di comune accordo con l'approvazione della Sede Apostolica costituire un tribunale interdiocesano con gli stessi poteri del Vescovo diocesano nel proprio tribunale.

La competenza del Vescovo diocesano è particolarmente regolata in alcuni atti giudiziari tra i quali: la separazione dei coniugi (cann. 1692-1696) la morte presunta del coniuge (can. 1707); la nullità della sacra ordinazione (cc. 1708-1712); il processo penale (cc. 1717-1731); la rimozione e il trasferimento dei parroci (cc. 1740-1752).

Anche attraverso la potestà giudiziaria il Vescovo svolge il suo ministero per il bene delle anime, legge suprema della Chiesa (c. 1752), tutto deve contribuire a dare alla Chiesa particolare il volto di quella universale, dell'unica Chiesa di Cristo che sempre e dovunque deve essere per gli uomini strumento di salvezza.

 



[1] Cfr. I cann. 381; 375; 145 § 1; 131 § 2; 331; 333; 369.

[2] "Christifideles sunt qui, ut pote perbaptismum Christo incorporati, in populum Dei sunt constituiti, atque hac ratione muneris Christi sacerdotali, prophetici et regalis suo modo participes facti, secundum propriam cuiusque condicionem, ad missionem exercendam vocantur, quam Deus Ecclesiae in mundo adimolendam concredidit" (c. 204).

[3] Per il Consiglio Presbiterale cfr. can.500, per il Consiglio Pastorale cfr. can. 514, per il Consiglio degli Affari economici cfr. il can.492.

[4] In questa configurazione della struttur·a interna delle Chiese particolari si può notare la codificazione del principio di corresponsabilità in quanto mentre afferma la centralità del Vescovo diocesano responsabile della diocesi, intorno a lui dispiega una serie di uffici, antichi e nuovi, nei quali chierici e laici offrono, anche se a titolo diverso, la loro collaborazione per l'edificazione della Chiesa.

[5] Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica post-sinodale Pastores gregis, 43                     

[6] Ibidem, 44

[7] Congregazione per i Vescovi, Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi, 67

[8] Oltre al citato canone 391, il canone 135 nel paragrafo secondo stabilisce che la potestà legislativa è da esercitarsi secondo il diritto: "et ea qua in ecclesia gaudet legislator infra auctoritatem supremam, valide delegari nequit, nisi aliud iure explicite caveatur; a legislatore inferiore lex iuri superiori contraria valide ferri nequit" (can. l35 §2).

[9] P.V.Pinto, in Commento al C.D.C., Urbaniana, Roma, 1985, pag.82.

 

[10] "Potestas executiva ordinaria necnon potestas ad universitatem casuum delegata, late interpretanda est, alia veru quaelibet stricte; cui tamen delegata potestas est, ea quoque intelleguntur concessa sine qui bus eadem potestas exerceri nequit" (can. 138).

[11] Cfr. can. 57; 1734-1739.

[12] Cfr. can.1740-1752.

[13] Cfr. i canoni: 29; 34; 35; 85; 87; 90; 130; 136.