Storia Economica dell'etą contempor
Maria Gabriella Capparelli
1. LE ORIGINI DELLA CRISI
E' il 2001 quando la Grecia entra nell'Eurozona. L'effetto immediato è che Atene ha la possibilità di accedere ai finanziamenti esteri a tassi agevolati. Il sistema bancario nazionale, tra il 2001 e il 2009, duplica i crediti concessi. Il debito sovrano passa dal 100% al 130% del Pil, ma cala decisamente lo spread che tocca il minimo dello 0,1%. Si registra, nello stesso periodo, anche una diminuzione dell'inflazione, che negli anni precedenti all'ingresso nella zona euro si attestava intorno al 10%. L'abbattimento è tangibile e forte: la media annua è del 3.4%. Il premio di rischio richiesto dagli investitori si abbatte notevolmente. La moneta europea non è soggetta agli stessi meccanismi di svalutazione della dracma.
L'economia cresce in termini occupazionali e, soprattutto, c'è una decisa impennata dei consumi. La stabilità finanziaria e i tassi di interesse assai contenuti fanno sì che l'indebitamento privato cresca dal 10% del Pil del 2003 al 50% del 2008. In realtà c'è da dire che il deficit pubblico è stato comunque superiore al 3% imposto dal Patto di stabilità e crescita. La causa scatenante di questo fenomeno è attribuibile al fatto che le uscite per la spesa pubblica erano sempre superiori alle entrate. Tra il 1976 e il 2010 i dipendenti pubblici si sono triplicati passando da 282.000 a 768.000. Come se non bastasse, c'è stato anche un deciso aumento dei salari, che hanno contribuito a tenere alta l'inflazione. Da qui l'inarrestabile deficit di current account.
La situazione economica si complica ulteriormente, quando si sviluppa la bolla degli assegni postdatati, un modo molto praticato per ottenere anticipi dalle banche. Da una stima effettuata dal gruppo Icap alla fine del 2009, risulta che il valore complessivo è di diverse centinaia di milioni di euro, con una variazione del tasso di scoperto pari al 188% dal 2008 al 2009. Un'economia molto dinamica quella greca, non adeguatamente supportata, tuttavia, da riforme strutturali. Ne deriva quindi un peggioramento dei saldi. Secondo il report su Atene del Fondo monetario internazionale, il saldo primario passa da un avanzo del 4,5 a un disavanzo del 14,25% del Pil. Inoltre, il saldo di parte corrente rispetto al prodotto interno lordo ha un declino, tra il 2001 e il 2009, pari al 13%, con un -14,5 % nel 2008, mentre il tasso di cambio reale effettivo raggiunge, nel 2009, una sopravvalutazione stimata tra il 20 e il 30% [1].
Il vero punctum dolens dell'economia greca, comunque, è da sempre la struttura fiscale. Sempre secondo il Fondo monetario internazionale, risulta essere la peggiore dell'Unione europea. La difficoltà di incasso è notevole, il livello di imposte dirette assai basso. La differenza tra l'Iva che lo Stato avrebbe dovuto incassare nel 2006 e quella realmente incassata è del 30%. Anche l'economia sommersa rappresenta una quota consistente: il 25% del prodotto interno lordo.
La situazione precipita drammaticamente dopo che Papandreou annuncia la bancarotta, il 16 ottobre del 2009. A dicembre le principali agenzie di rating rivedono al ribasso le previsioni sulla stabilità della Grecia. La causa è soprattutto il debito pubblico, troppo elevato. Le prime ripercussioni si avvertono sul turismo. Un calo in termini di incoming tra il 10 e il 20%, che costa 30mila posti di lavoro.
Situazione completamente fuori controllo, inversione di rotta su occupazione e consumi. A tutto ciò si aggiunge la scarsa capacità gestionale della classe politica.
La data ufficiale dell'inizio della crisi greca è fissata al 19 ottobre 2009, ossia quando il premier socialista Papandreou, appena 15 giorni dopo la sua elezione, si accorge che c'era qualcosa che non andava nei conti pubblici dichiarati fino a quel momento dal presidente uscente Kostas Karamanlis: il rapporto deficit/pil del 2008 passa dal 3,4 al 9,8%. Peggio per il 2009, dove il dato si quadruplica: dal 3,7 al 15,8. Insomma la situazione greca si complica, Karamanlis ha falsato i conti[2].
Ma pare che non abbia fatto tutto da solo. Il j'accuse arriva da Greg Palast, un cronista americano, che svela come ad aiutare il presidente greco sia stata la Goldman Sachs.
Ecco in cosa consiste il giochino architettato secondo Palast: nel 2003 Goldman Sachs avrebbe acquistato segretamente oltre 2 miliardi di euro di debito pubblico greco. Dopo averli convertiti in yen e in dollari li ha rivenduti alla Grecia. Il colosso finanziario avrebbe perso moltissimi soldi, ma solo apparentemente. Secondo Palast in realtà si tratta di un imbroglio basato su un falso tasso di scambio fissato proprio dalla banca americana. Per cui Goldman Sachs non perde nulla in quest'operazione e, soprattutto, la Grecia non guadagna nulla. L'accordo firmato tra le due parti prevede un risarcimento, da parte del governo Karamanlis, alla banca d'affari, a un tasso di interesse elevatissimo. E questo è solo il primo step. Atene avrebbe poi pagato a Goldman Sachs una parcella da 250 milioni di dollari. Insomma secondo Palast, si è trattato di un escamotage suicida, servito a Karamanlis per nascondere il deficit pubblico e a Goldman Sachs per arricchirsi. Non certamente alla Grecia per salvarsi. Inoltre Palast sostiene che alla banca americana, ma anche ad altri colossi finanziari, era chiaro che stavano immettendo sul mercato prodotti tossici. Insomma, quando a fine 2009 arriva Papandreou e scoperchia il vaso di Pandora, chi ha in mano titoli greci inizia a farsi guidare dalla paura, cercando di mettersi al sicuro da un'eventuale bancarotta di Atene. I Credit default swap (Cds) sul debito greco raggiungono livelli elevatissimi. E Goldman Sachs incassa.
Ormai i mercati non si fidano più di Atene: temono l'insolvenza del debito. Arriva il downgrade di Fitch e Standard & Poor's. Il debito viene declassato a BBB+, con outlook negativo e il taglio del rating dei titoli di 5 tra i principali istituti di credito ellenici. Il giudizio di Moody's scende da A1 ad A2, con un'impennata dello spread[3].
L'aumento drastico del differenziale tra titoli greci e bund tedeschi ha come conseguenza immediata il ritiro del 30% dei depositi bancari. Due i motivi principali: il bisogno di liquidità per sostenere i consumi e la paura di un crollo di certezze. Le banche rispondono come sempre: dismissione degli asset internazionali e diminuzione verticale della concessione dei crediti.
A questo punto il governo inizia a mettere in cantiere una serie di manovre contenitive del debito: taglio degli stipendi pubblici del 30%, congelamento delle pensioni, aumento delle imposte.
Il 2 maggio 2010 arriva il prestito bilaterale di 80 miliardi di euro dai paesi dell'eurozona. La Grecia da sola non ce la fa. Ma nemmeno l'Europa basta. Sette giorni dopo, 30 miliardi vengono messi a disposizione dal Fondo monetario internazionale, attraverso la modalità stand-by arrangment.
Per molti è l'inizio del commissariamento di Atene, che avrà i soldi in tre tranche soltanto se rispetterà un programma rigorosissimo.
Ecco i punti salienti del "Memorandum on Economic and Financial Policies 2010-2013"
a) Risanamento dei conti pubblici. Nel triennio vi dovrà essere un rientro pari all'11% del Pil. Possibili interventi aggiuntivi e correttivi qualora il disavanzo non dovesse scendere al di sotto del 3% nel 2014.
b) Revisione del sistema previdenziale. Retribuzioni sostenibili, in modo da far scendere l'inflazione rispetto alla media europea e quindi risultare competitivi in termini di prezzi e costi.
c) Politiche mirate al settore finanziario. Necessario monitorare la liquidità e i prestiti in sofferenza delle banche. La Banca di Grecia e il governo si impegnano a istituire un Fondo per la stabilità finanziaria (FSF), per garantire iniezione di capitale azionario in caso di cali significativi delle riserve patrimoniali.
d) Modernizzazione del settore pubblico e aumento della flessibilità del mercato del lavoro, in modo da creare un contesto aperto e accessibile agli investitori stranieri.
Rispettare un Memorandum così duro, mal tollerato dal 62% della popolazione, richiede una continua applicazione di misure di austerità. Il governo greco ricorre a tagli fino al 10% di tredicesime e quattordicesime, al congelamento per 3 anni e al taglio del 10% degli stipendi dei dipendenti di società a partecipazione statale. L'Iva ordinaria passa al 23%, quella sui beni di prima necessità all'11. Aumentano del 10% i costi di elettricità, sigarette, carburanti e alcolici. L'età pensionabile viene innalzata con il passaggio al sistema contributivo.
E' dura. La gente insorge nelle piazze. Il 5 maggio durante la protesta muoiono 3 manifestanti.
Il primo giudizio della Bce, della Commissione e del Fmi arriva il 23 novembre del 2010: la Grecia, in linea di massima, sta rispettando il programma. Il problema del gettito fiscale però rimane: entrate inferiori al previsto anche per il 2009. Servono nuove misure di austerità per sanità, imprese statali e sistema tributario. L'obiettivo è raggiungere un disavanzo nel 2011 pari al 7,5% del Pil e un valore inferiore al 3% nel 2014.
Tutto questo non basta: né ai mercati, né alle agenzie di rating. Un declassamento dietro l'altro. Il 25 luglio del 2011 Moody's è impietosa: il rating greco arriva a Ca. Per l'agenzia americana il default è certo.
Strategia comune per Fmi, Bce e Ue: nasce la Troika. A dettare la linea è ancora la Germania: serve un fondo salva-stati per aiutare la Grecia.
Atene va avanti con una manovra correttiva dietro l'altra. A settembre del 2011 cerca di recuperare 2,5 miliardi, tassando gli immobili. Non è sufficiente. Ancora tagli alle pensioni, mobilità per 30mila dipendenti statali, estensione della tassa sugli immobili fino al 2014.
La gente non ce la fa più. Papandreou propone un referendum sul piano di salvataggio. E' costretto a tornare sui suoi passi: i mercati non gradiscono la consultazione popolare. Con il dietrofront del presidente del Pasok, arrivano anche le dimissioni. Tocca al governo di unità nazionale di Lucas Papademos. Continuano però ad arrivare notizie negative sul fronte economico. L'indice di produzione industriale è catastrofico: -11.3 nel 2011. Il Pil -7,5%. Su 11 milioni di abitanti, oltre un milione i disoccupati.
Il 21 febbraio del 2012 arriva l'accordo dell'Eurogruppo sulla più grande ristrutturazione del debito sovrano. Due gli spettri da allontanare: il collasso economico della Grecia, ma soprattutto il contagio dell'Eurozona. Lo stanziamento è di 130 miliardi di euro, con l'obiettivo di portare il debito al 120,5% del Pil entro il 2020.
Il secondo pacchetto di aiuti alla Grecia prevede un haircut del 53,3% per gli investitori privati, che rinunceranno quindi a oltre la metà del proprio credito. Il valore nominale della perdita è di circa 205 miliardi. Il nuovo credito sarà emesso con nuovi titoli di stato.
Un terzo circa delle obbligazioni (esattamente il 31.5%) verrà sostituito da nuovi titoli di stato con scadenze da 11 a 30 anni. Il resto sarà convertito in titoli a breve scadenza emessi dalla European financial stability facility (EFSF). I nuovi titoli saranno regolati dalla legge inglese. Il rendimento è stato fissato al 2% con una cedola che scadrà a febbraio 2015, per i successivi cinque anni sarà del 3% e raggiungerà il 4,3% nel 2042.
Le 4 maggiori banche nazionali hanno un'esposizione pari a quasi 29 miliardi. L'accordo prevede che parte dei fondi stanziati vengano utilizzati per ricapitalizzare le banche. Alla fine, come è stato osservato, la privatizzazione delle perdite è stata scaricata in parte sul sistema bancario e in parte, anche se indirettamente, sulla Bce, che ha finanziato l'intero sistema creditizio. Obiettivo prioritario era di non dichiarare il default della Grecia, sia per evitare che gli investitori di altri paesi esportassero i loro capitali, sia per tutelare il sistema creditizio dai Credit default swap che scommettevano sul fallimento della nazione ellenica. Attraverso la clausola di azione collettiva, che ha permesso di portare lo swap dall'85 % al 95%, ufficialmente si è evitato il default[4].
2. LA CRISI GRECA VISTA DALLA STAMPA INTERNAZIONALE
"Non è la prima volta che succede che la polizia uccide a sangue freddo gente innocente". Sono le parole agghiaccianti di uno studente greco alla Bbc.
Andreas Grigoropoulos ha 15 anni. E' stato ucciso da Epaminonda Korkoneas, un poliziotto di 37 anni, accusato di omicidio volontario. Andreas ha una sola colpa, essersi trovato nel posto sbagliato, al momento sbagliato.
Quartiere Exarchia, una sorta di zona franca della sinistra. Il 6 dicembre del 2008 i greci protestano contro il tentativo del governo Karamanlis di autorizzare la creazione di università private. Ma a scaldare gli animi sono soprattutto i primi effetti della crisi. Il tasso di disoccupazione supera il 7%. Il 10 dicembre è il giorno dello sciopero generale contro la riforma delle pensioni, le privatizzazioni e il carovita. La violenza dilaga in tutta la Grecia. La guerriglia distrugge le principali città del Peloponneso: Atene, Patrasso, Salonicco. Ma anche Corfù e Creta. I danni ammontano a 100 milioni di euro. E' l'inizio della fine del governo Karamanlis.
Il presidente greco spiegherà il piano di incentivi economici da due miliardi di euro per risollevare le sorti del paese. La crisi preme, il Pil potrebbe fermarsi tra l'1% e l'1,7%. Le vendite al dettaglio sono in calo di circa il 5%. Eppure la Grecia - si legge nel rapporto della Commissione europea all'economia - ha sperimentato una forte crescita economica del 4% all'anno per l'ultimo decennio.
Ma Atene non è un caso isolato. Le difficoltà economiche riguardano tutta l'Europa. Jacques Attali definisce la crisi più che economica, politica[5].
Per la Bce la recessione è "grave e sincronizzata". Lo scenario tracciato è assolutamente sconfortante. La Commissione europea inizia a studiare le linee guida per la creazione di una bad bank. E segnali negativi arrivano anche dalla Germania. Secondo la Deutsche Bank, la previsione per il Pil tedesco è di - 5%. Ipotesi smentita da Angela Merkel. La stima del governo di Berlino è di -2.25%.
Ma torniamo ad Atene. Il governo Karamanlis non regge. I primi di settembre il premier greco annuncia nuove elezioni. Si vota il 4 ottobre. Vince il Pasok, il partito socialista di George Papandreou. E la sorpresa per il nuovo premier è tutt'altro che gradita. E' arrivato il 6 ottobre del 2009 al potere, sperando che il deficit non superasse il 6% del Pil. Ma le cose non stanno così. Il neopresidente scopre che i suoi predecessori hanno truccato il bilancio. Il deficit è oltre il 10%. Si attesta al 12.7.
Dopo Dubai tocca alla Grecia. Les Echos, Daily Telegraph e molti giornali internazionali usano toni allarmistici sulla situazione economica di Atene. Il quotidiano londinese fa riferimento "all'evasione fiscale, al debito pubblico e al buco nel settore pensionistico: tutti fattori che hanno portato il paese sull'orlo della bancarotta". The Guardian solleva un altro dubbio sulla Grecia, paventando l'effetto domino se Atene dovesse fallire. "La crisi dell'indebitamento - recita il quotidiano britannico - sarà anche la crisi dell'euro?" Non sarà proprio così per The Guardian, che dice no alla rottura dell'eurozona, ma la crisi greca sarà sicuramente "un problema per i politici dei paesi che hanno l'euro e per la Banca centrale europea".
A differenza degli altri paesi colpiti dalla crisi, come ad esempio l'Irlanda, nei confronti della Grecia è diffusa una forte diffidenza. Der Spiegel ricorda che Atene ha rispettato il patto di stabilità soltanto per il 2006, anno in cui è entrata a far parte dell'euro. Il settimanale tedesco, inoltre, spiega che la Grecia costituisce un problema serio per la Bce, che non può versare soldi a uno stato membro, per colmare i buchi di bilancio. Usa un vecchio adagio molto conosciuto nel mondo degli affari: "Se qualcuno ha mille euro di debiti, ha un problema. Ma se qualcuno ha dieci milioni di euro di debiti, è la sua banca a essere nei guai". Ergo la Bce.
L'articolo apparso su Der Spiegel mostra la preoccupazione della Germania per la situazione greca. Teme che la valuta comune europea possa crollare. Il punto cruciale sono anche le obbligazioni governative che potrebbero diventare carta straccia. E parte il "toto salvataggio". Merkel in testa, c'è un'Europa che non vuole l'intervento del Fondo monetario internazionale. Di fatto, potrebbe trasformarsi in una sorta di commissariamento e quindi minare la fiducia nell'euro. Ma c'è da dire che le remore del giornale tedesco hanno una forte implicazione campanilistica. La Grecia è indebitata fino al collo. Il principale creditore è proprio la Germania. Soprattutto per la vendita di farmaci e armi.
È il 14 dicembre del 2009, quando George Papandreou annuncia 80 misure per risanare l'economia del paese ed evitare la bancarotta. Nel pacchetto ci sono il blocco dei salari, la riduzione delle assunzioni e la creazione di un'unità speciale per lottare contro la frode fiscale e la corruzione. Il giornale greco To Vima scrive: "La sua ambizione è portare il deficit entro il 2013 dal 12.7% al 3%".
Ma l'allarme Grecia inizia a contagiare l'intera Eurozona. L'Unione monetaria europea non doveva permettere ad Atene di allontanarsi tanto dai parametri del patto di stabilità.
Ma a questo punto non è possibile abbandonarla. Per il premio Nobel statunitense Joseph Stiglitz, anche l'Europa non può lasciare andare la Grecia, perché la solidarietà sociale "è una delle chiavi del progetto europeo". "Ecco perché - dichiara l'economista americano al Guardian - la Banca centrale europea non deve delegare alle agenzie di rating la regolamentazione dell'economia greca, ma allungare i termini degli obiettivi imposti ad Atene".
Il 3 febbraio del 2010, la Commissione europea approva le misure fiscali annunciate dal governo greco per risanare le finanze del paese. Nouriel Roubini e Amab Das scrivono sul Financial Times: "La mancanza di un'unione politica e fiscale, la limitata mobilità della manodopera rispetto ai liberi spostamenti di capitale rendono questi aggiustamenti decisivi per la vitalità economica a lungo termine della zona euro". La stampa interna denuncia, però, una sorta di commissariamento europeo. Per il quotidiano greco Kathimerini "è impossibile obbligare un paese sovrano, membro dell'Ue e della zona euro, a spendere meno". E in Grecia lo sciopero diventa la norma. Secondo Le Figaro, il premier greco Papandreou, appena eletto, ha l'acqua alla gola. L'euro è sotto pressione e i grandi speculatori puntano sul fallimento della sua amministrazione. Inoltre, il quotidiano francese, parla di uno scollamento tra la Grecia e il popolo greco. "In realtà - si legge - gli 11 milioni di greci non sono poveri, ma la Grecia sì, perché nessuno o quasi paga le tasse. Nel quartiere alla moda di Kolonaki ci si ritrova ogni mattina al caffè Dakapo tra medici, architetti, funzionari e industriali che dichiarano 10mila euro di reddito annuo". Eppure, aggiunge Le Figaro "Tutti possiedono almeno una casa a Mykonos, un'altra a Hydra, appartamenti lussuosi nella capitale, macchine sportive e conti in banca all'estero". La squadra anti-crimini finanziaria Sdoe, usa gli elicotteri per sorvolare i quartieri ricchi di Atene. "Si servono delle immagini satellitari per localizzare case in campagna e terreni - scrive Der Spiegel - . Così hanno scoperto che le piscine nelle periferie di Atene sono 16.974, invece delle 324 ufficialmente dichiarate".
Insomma un'elite che evade quasi totalmente le tasse. Per la Banca mondiale il 35% dell'economia greca è sommersa, in nero. Secondo gli economisti locali la previsione è ottimistica. Anche per questo la stretta europea, o meglio tedesca, è mal digerita dai greci. Il 18 marzo del 2010, The International Herald Tribune racconta come molti greci siano convinti che la pressione di Berlino sia eccessiva. E' pericolosa perché rischia di ostacolare la ripresa economica. Jean-Paul Fitoussi parla di processo di autodistruzione. "Se l'austerity scatenerà la deflazione in Grecia, Portogallo e Spagna, l'economia europea non sarà in grado di riprendersi. Di conseguenza, le aziende falliranno mettendo in pericolo la stabilità degli istituti bancari". Anche Joseph Stiglitz parla di "feticismo del deficit" e pone l'accento sul conseguente rischio d'innalzamento del disavanzo economico. I tagli alla spesa, non bisogna dimenticarlo, causeranno una minore entrata fiscale.
Nonostante il parere contrario di molti economisti il 25 marzo del 2010 si raggiunge l'accordo sul piano di salvataggio della Grecia, con tanto di sigillo "franco-tedesco". Arriva l'aiuto concesso dalla Commissione e dalla Banca centrale europea, con l'intervento del Fondo monetario internazionale, come ultima istanza, ossia se la Grecia dovesse rivelarsi insolvibile. Ma l'accordo non ha l'effetto sperato. Per Eleftherotypia "le quotazioni in borsa sono molto volatili". Secondo il Financial Times "il governo greco fatica a convincere i cittadini della gravità dei problemi del paese". Comunque sia, la scure dell'austerity si abbatte sulla Grecia. Il Pasok, il partito socialista greco, scrive To Ethnos "si è visto costretto ad abolire la tredicesima natalizia, la quattordicesima pasquale e le ferie pagate, mezzo secolo dopo la loro istituzione". "Le decisioni prese negli ultimi tempi dal governo di Atene - si legge sul giornale ellenico - sono senza dubbio le più antisociali che la Grecia abbia visto nella sua storia, o quanto meno nell'ultimo secolo". Il racconto di To Ethnos sulle manifestazioni del popolo greco è serrato. "Fuori i ladri" queste le urla dirette contro i deputati. "Non avveniva dalla caduta della giunta militare nel 1974. Senza esagerare, possiamo affermare che la manifestazione di ieri ha rischiato di sfociare in un inizio di rivoluzione, e ci è mancato davvero poco che i manifestanti non entrassero in Parlamento". E purtroppo la situazione precipita. Il 5 maggio sono tre i morti davanti alla banca Marfin. "E' stata l'ingiustizia dei provvedimenti a provocare la collera di piazza - scrive Eleftherotypia - i manifestanti erano soprattutto giovani appartenenti alla cosiddetta generazione dei 595 euro". "C'è una società in preda alla follia - scrive Kathimerini -. La Grecia è nel momento più difficile della sua storia democratica".
E c'è anche la rivolta sociale silenziosa, apparentemente poco rivoluzionaria. Commercianti, ortofrutticoli e panettieri abbassano i prezzi di mercato, rendendoli più popolari. "Un greco su quattro - scrive Ta Nea - vive al di sotto della soglia di povertà europea... Dopo gli albergatori, i panettieri e i fruttivendoli, la tendenza si estende alle banche. Alcuni istituti, per essere sicuri di recuperare il loro denaro, sono stati costretti a tagliare le rate del 50 se non del 70%". E' praticamente impossibile ottenere un prestito: il 13.4 % dei prestiti sono sul punto di essere dichiarati insolventi"[6]
3. VIVERE IN RECESSIONE
In Grecia c'è uno sciopero dietro l'altro. Secondo i dati della polizia, nel 2010 il centro di Atene è stato chiuso per 496 manifestazioni. George Papandreou continua sulla linea difensiva interna, ma inizia ad attaccare l'Europa. "Il 25 marzo prossimo a Bruxelles, in occasione del Consiglio europeo, sarà necessario trovare un accordo tra i membri dell'Ue. Altrimenti le cose si fanno difficili in Europa e in Grecia". Facendo il punto con la Merkel, si legge su Ta Nea, Papandreou stigmatizza "L'Europa ha delle responsabilità". Ma il Süddeutsche Zeitung dà voce ad alcuni economisti che dichiarano apertamente che Atene debba uscire dall'euro e tornare alla moneta nazionale, la dracma.
Una polemica infinita, che alimenta soprattutto la rabbia dei greci. Rabbia contro i politici scrive To Vima, "che se ne sono fregati di noi". Rabbia contro il governo socialista. "Si abbuffano e restano immobili davanti ai problemi che dovrebbero risolvere".
Secondo Kathimerini, si ha l'impressione che il paese sia in caduta libera. "Un sentimento di passività invade ogni cosa, rendendo meno mobili le menti e i corpi".
Ma il giornale greco non ha dubbi su chi siano le principali vittime di questo gioco al massacro: "Le giovani generazioni, umiliate da un futuro violento, stanno tornando verso l'universo individualista degli anni Novanta e dell'ultimo decennio". Il paradosso è assai violento "La Grecia sacrifica i propri figli per i peccati di un'elite inutile".
Si sta creando una bolla che esploderà. L'11 marzo del 2011 hanno trovato un accordo per abbassare il tasso d'interesse sui prestiti contratti da Atene, dal 5.2% al 4.2%. Il periodo del rimborso è stato allungato da 3 a 7 anni e mezzo. La richiesta avanzata però alla Grecia, in cambio dell'ennesimo accordo, è assai pesante: un programma di privatizzazione da 50 miliardi di euro, di cui 15 entro il 2013. Continua l'aspra politica di austerity. E continua la protesta dei greci. To Vima narra di numerosi episodi di violenza. A Corinto 20 pirati della strada hanno assaltato un commissariato per cancellare le loro multe. Nessuno ha provato a bloccarli. A Pérama, alcuni sindacalisti hanno ribaltato un'auto della polizia con gli agenti al suo interno. Ad Atene, a piazza della Costituzione, il collettivo "Io non pago" aggredisce chiunque non voglia violare la legge.
Non si tratta di singoli episodi di anarchia. I medici hanno addirittura chiuso gli ospedali, con la scusa che mancano posti letto e farmaci. Eppure la Grecia spende per la sanità più degli Stati Uniti d'America. Al ministro non è rimasto altro che avviare una procedura disciplinare nei confronti di chi interrompe il servizio sanitario.
Dominique Strauss-Kahn, direttore dell'Fmi, viene paragonato al dittatore Georges Papadopoulos, il primo ministro durante il regime dei colonnelli tra il 1967 e il 1974.
"Il cielo è sempre più nero" scrive Libération. La Grecia sembra arrivata sul punto di non ritorno. Gli insulti accolgono Papandreou, il venerdì santo, in chiesa, a Hydra, un'elegante isola al largo del Peloponneso. Eppure, solo pochi mesi prima, il presidente era stato applaudito durante la maratona di Atene. Secondo lo staff di Papandreou, però, l'episodio è stato ingigantito dal giornalista di Libération, Jean Quatremer. Insomma il sistema sta saltando. Scioperi infiniti, politici contestati. E soprattutto i greci non hanno più denaro per riempire le fakelaki, le bustarelle. Per l'editorialista di To Vima e Ta Nea, Yanis Pretenderis: "La recessione ha ucciso la corruzione".
A questo punto sono le frange estreme della politica a prendere piede. Su Libération, "il Pasok e i conservatori della Nuova democrazia, i due partiti principali, rappresentano ormai solo il 40% del corpo elettorale rispetto all'80% del passato".
E' tutto fuori controllo. Anche la stampa. Venerdì 6 maggio, Der Spiegel scrive di una riunione segreta dei ministri delle finanze, in cui si parlerà della richiesta della Grecia di uscire dall'euro. Notizia smentita dal capo dell'eurogruppo Jean-Claude Juncker: "Non abbiamo discusso l'uscita della Grecia dall'eurozona, siamo tutti convinti che sarebbe una soluzione sbagliata". "Chi trae vantaggio da simili manovre? - sottolinea Libération - Soprattutto chi ha qualcosa contro Atene, vale a dire le persone che hanno comprato i Cds greci e che non potranno recuperare il denaro investito a meno di un'inadempienza da parte greca".
La situazione è talmente compromessa, che non ha bisogno del colpo di grazia da parte della stampa. The Guardian non ha problemi a scrivere che la Grecia potrebbe essere "la prossima Lehman Brothers". L'editorialista economico, Larry Elliot, individua due strade per il paese: "la prima consiste nel trasformare l'unione monetaria in unione politica e nel creare meccanismi di budget per trasferire le risorse in uno spazio fiscale unico ... La seconda - scrive Elliot - consisterebbe nel riconoscere la sconfitta, annunciando i programmi per un'Europa a due velocità, la cui zona periferica sarebbe collegata a quella centrale tramite tassi di cambio fissi, ma modificabili". Aggiunge però, che nessuna di queste opzioni sembra possibile e soprattutto che "l'avvenire della zona euro non sarà deciso ad Atene o a Lisbona, bensì a Parigi e Berlino".
Ma a soffrire adesso è soprattutto Atene. Va in cantina lo stereotipo ellenico "che si diverte e fa tardi tutte le sere" - scrive To Vima - "Adesso molti greci hanno ritrovato la gioia del cocooning ed evitano di andare al ristorante". La politica di austerity assesta un duro colpo all'economia. Secondo il presidente dell'Unione commercianti, il fatturato si è ridotto del 55%. Calano anche le lezioni private, - 40%, una vera e propria istituzione in Grecia. Si usa sempre meno l'auto per spostarsi. E come se non bastasse, arriva la stangata di Standard & Poor's , che assegna al debito sovrano greco il peggior rating del mondo.
Al popolo non rimane altro che indignarsi. "Quando Stéphane Hessel ha scritto in ‘Indignez - vous!' che lo sdegno per le ingiustizie subite dovrebbe evolvere in un'insurrezione pacifica, forse non si aspettava che il movimento degli indignados spagnoli e degli aganaktismenoi greci avrebbe seguito in modo così spettacolare il suo consiglio", scrive Costas Douzinas sul Guardian. A piazza Syntagma, intorno alla Torre Bianca di Salonicco, uomini e donne di tutte le età hanno raggiunto un sorprendente livello di organizzazione e di partecipazione alla democrazia. Chiunque voglia parlare, riceve un numero e viene chiamato sul palco quando arriva il suo turno. Ha due minuti di tempo. "Inoltre, ogni settimana economisti, avvocati ed esperti di filosofia politica intervengono su invito della piazza a dibattiti ben organizzati per proporre valide alternative atte ad affrontare e superare la crisi... Piazza Syntagma - conclude Douzinas - di questi tempi è più vicina a piazza Tahrir al Cairo che alla Puerta del Sol di Madrid".
Il 21 luglio arriva un nuovo Piano Marshall per la Grecia, di fatto un accordo franco-tedesco, annunciato su twitter dal presidente dell'Ue, Van Rompuy. 109 miliardi di euro messi a disposizione dal Fondo europeo, mentre i privati parteciperanno per 135 miliardi in 30 anni. L'editorialista greco Yannis Pretenders su Ta Nea frena gli entusiasmi "dal momento che è stato scelto un processo di "partecipazione volontaria" del settore privato per alleggerire il debito, nessuno è in grado di quantificare la generosità di ognuno".
E To Ethnos fa il bilancio del bailout del 21 luglio, due mesi dopo. L'opinionista politico Panos Panagiotopoulos chiosa "Per tutti quelli che conoscono un po' l'economia greca, era chiaro da tempo che gli obiettivi del piano di rigore, e soprattutto le misure annunciate nel 2011, fossero troppo ambiziose". Il problema è la mancanza di credibilità internazionale della Grecia, insieme all'incontrastabile frode fiscale e agli sperperi eccessivi che hanno condannato il paese.
"Il governo di Papandreou sta cercando di racimolare due miliardi di euro per ripianare il debito pubblico - si legge su Ta Nea -. Così ha proposto l'idea di tassare i proprietari di casa per mezzo delle bollette dell'elettricità... è un po' come confessare apertamente uno smacco - conclude il giornale greco - .Il governo, infatti, così facendo, riconosce di non potersi fidare del fisco". A due anni dall'inizio della crisi, la Grecia, scrive Libération, "ha un debito pubblico pari a oltre il 160% del Pil (360 miliardi di euro)". Ormai il tasso di disoccupazione ha raggiunto livelli record: il 16% della popolazione è senza lavoro, la percentuale sale in maniera vertiginosa, tra i giovani. Per Le Figaro 70mila greci sarebbero già partiti per gli Stati Uniti e 15mila hanno scelto la Germania. E c'è chi vola verso l'altro emisfero. Soltanto nel 2011, scrive Helena Smith sul Guardian, "2500 greci si sono trasferiti in Australia, e le autorità di Atene fanno sapere che altri 40mila avrebbe ‘manifestato interesse' a fare lo stesso". Da uno studio dell'Università di Salonicco emerge che la maggioranza dei greci vuole emigrare verso Russia, Cina e Iran. Chi rimane, assiste a uno spettacolo mai visto nel paese. "Prima soltanto i rom o i senzatetto lo facevano - denuncia To Vima - poi si sono aggiunti gli immigrati dall'Asia e dall'Africa, che stipavano quante più cose possibili nei carrelli del supermercato. Oggi tocca ai greci frugare tra i rifiuti. Molti cercano oggetti e cose da rivendere, altri afferrano tutto ciò che è commestibile". Le misure di austerity hanno sferzato un duro colpo all'economia greca. Die Presse, il 22 settembre del 2011, propone un lungo elenco delle sforbiciate imposte al paese. Riduzione degli stipendi e delle pensioni fino al 30%. Aumento del 100% di benzina e gasolio. Un terzo delle aziende hanno dichiarato fallimento, un terzo non è più in grado di pagare i lavoratori. I dipendenti statali non ricevono lo stipendio da mesi. Spuntano tasse di ogni tipo: chiunque voglia sporgere denuncia, deve pagare 150 euro. I poliziotti sono costretti a fare il pieno della macchina di servizio, con i propri soldi.
Insomma, la posizione di Papandreou scricchiola. Lo spettro delle elezioni anticipate agita il presidente greco. A novembre annuncia un referendum popolare sull'accordo Ue sul fondo salva-stati e le banche. (106 miliardi per le ricapitalizzazioni, un fondo salva-stati di oltre 1000 miliardi, 130 miliardi per la Grecia). Le reazioni dei mercati e dell'eurozona sono catastrofiche. Papandreou annulla il referendum. Il paese è sempre più nel caos. E se la Grecia lasciasse l'Ue? Si chiede Le Figaro. "Questa eventualità - dichiara al giornale francese il professore Georges Prevelakis - causerebbe un nuovo sconvolgimento geopolitico nei Balcani". La Grecia rappresenta l'avamposto occidentale verso oriente, dove la Turchia si allontana sempre più, mentre Cina e Russia "si interessano di nuovo alle loro antiche zone di influenza e creano nuove reti economiche e politiche". Quindi, a questo punto, alla Grecia e all'Europa non rimane altro che virare verso un governo tecnico. Il 6 novembre, il primo ministro George Papandreou, che lascia a metà mandato, e il leader dell'opposizione Antonis Samaras raggiungono l'accordo per la formazione di un nuovo governo. Arriva il banchiere centrale Lucas Papademos.
La Grecia continua a sopravvivere grazie ai piani di salvataggio e ai prestiti. "Adesso però i creditori sono in trappola - scrive il Süddeutsche Zeitung - i partner europei e il Fondo monetario internazionale hanno subordinato il secondo piano di salvataggio alla cancellazione del debito greco, 130 miliardi per risanare il paese entro il 2020. Altrimenti dovrà dichiarare fallimento". Secondo il giornale tedesco, l'errore principale è stato sottovalutare l'ammontare degli aiuti necessari. Bisogna rivedere continuamente il programma. Scontentando tutti. Gli imprenditori non investono più a causa della diminuzione dei consumi. Nessuno vuole più ricomprare le imprese pubbliche messe in vendita. Non va meglio ai cittadini europei che hanno la sensazione di sborsare soldi senza ottenere nulla. Ma anche i greci costretti a pagare più tasse con stipendi ridotti. I sussidi di disoccupazione durano solo un anno. Libération parla dei barboni con l'iPhone, i neopoveri. I dipendenti licenziati, i funzionari in esubero. La politica di austerity ha costretto molti a dormire per strada. Il risultato è il 25% in più di persone senza fissa dimora. La ong Médicine du monde denuncia che sono sempre di più i bambini greci che arrivano per farsi curare lo stomaco vuoto. Non i figli d'immigrati, come accadeva un tempo, ma i figli dei greci.
Arriva il secondo bailout da 130 miliardi, arriva l'approvazione della manovra da 3.3 miliardi di Papademos e arriva anche la stroncatura del Financial Times. L'editorialista economico Wolfgang Münchau prevede "un periodo di calma, ma dopo pochi mesi sarà chiaro che i tagli ai salari e alle pensioni dei greci avranno peggiorato soltanto la situazione... Qualcuno sostiene che sarebbe meglio costringere la Grecia ad abbandonare l'eurozona adesso e utilizzare i fondi disponibili per salvare il Portogallo. Non sono d'accordo. Personalmente sono convinto che la cosa migliore da fare sarebbe riconoscere la situazione disperata di entrambi i paesi e lasciare che vadano in default all'interno dell'unione monetaria e a quel punto utilizzare un fondo di riscatto rafforzato per aiutarli a ricostruire la propria economia e allo stesso tempo proteggere gli altri paesi".
Ma il Financial Times non è l'unico autorevole giornale a non condividere la linea di salvataggio della Troika per Atene. Secondo Die Zeit non è possibile continuare con la terapia d'urto. "Gli stipendi dovrebbero scendere dal 20 al 30%. Entro il 2015, 150mila persone dovrebbero essere licenziate nella pubblica amministrazione. L'economia è in recessione e quest'anno dovrebbe far registrare un meno 8%. E il paese non ha ancora scongiurato il fallimento". I risvolti sociali sono pesantissimi denuncia The Daily Telegraph in un articolo dal titolo che non lascia spazio ad equivoci "L'Ue peggio di Margaret Thatcher". Per Peter Oborne, Olli Rehn è preoccupato soltanto dell'effetto del fallimento della Grecia sugli altri paesi, più che della Grecia stessa. "La verità è che Margaret Thatcher è stata una figura molto più pragmatica e compassionevole di Olli Rehn... La lady di ferro non avrebbe mai distrutto un'intera nazione in nome di un dogma economico". Lo spaccato sociale che offre il commentatore politico britannico è desolante. "Circa centomila attività commerciali sono state costrette a chiudere i battenti, e molte altre sono sull'orlo del fallimento. Il numero dei suicidi cresce esponenzialmente, gli omicidi sono raddoppiati e per le strade vagano decine di migliaia di senzatetto. La vita nelle campagne, dove la gente è tornata al baratto, è ancora accettabile". Dura anche la denuncia che arriva dall'interno del paese. To Vima spiega come la Grecia rischia di morire di debiti. "Ci sono consumatori che si servono di una carta di credito per finanziarne un'altra, capifamiglia indebitati fino al collo per problemi di salute, persone che vivono in estrema difficoltà in attesa di una via d'uscita che non arriva".
Dall'altra parte ci sono i politici. De Morgen titola "L'impunità al potere". Per il giornale belga il nocciolo del problema è in primis l'anarchia, poi il cattivo funzionamento della giustizia, e il sistema clientelare che la classe politica cerca di mantenere a tutti i costi, anche perché "La Costituzione greca limita considerevolmente la possibilità di incriminare i leader politici". Sono numerosi gli scandali. Il Pasok avrebbe ricevuto bustarelle dalla Siemens. Molti dirigenti della multinazionale tedesca in Germania sono stati perseguiti penalmente, ma non è stato così in Grecia.
L'austerity imposta dalla Merkel inizia a stare stretta non soltanto ad Atene. Il 20 febbraio Mario Monti, David Cameron e Mark Rutte inviano una lettera a Van Rompuy per chiedergli un contributo per "ripristinare la fiducia nella capacità dell'Europa di generare una crescita economica, solida e duratura". Il testo è stato firmato da altri nove paesi. Ovviamente non da Francia e Germania. Per El Mundo "Si ribella l'Europa che chiede gli stimoli". Anche il socialista Martin Schultz, presidente del Parlamento europeo, sembra preoccupato. "Stiamo insistendo troppo sulle sanzioni finanziarie e i pacchetti di tagli". E la posizione della Troika sul bailout greco inizia a scricchiolare. Il Financial Times è entrato in possesso di un rapporto estremamente confidenziale. Dieci pagine di analisi della sostenibilità del debito un cui si legge "anche nello scenario più ottimistico, le misure di austerity imposte ad Atene potrebbero innescare una recessione talmente profonda, da impedire alla Grecia di tirarsi fuori dalla voragine del debito, durante l'erogazione del nuovo bailout triennale da 170 miliardi di euro". Il rapporto evidenzia come due principi cardine dell'accordo potrebbero rivelarsi controproducenti: imporre l'austerity potrebbe danneggiare l'economia e causare un'impennata del debito che spaventerebbe gli investitori. Debito, che secondo gli analisti della Troika, potrebbe calare assai più lentamente del previsto, con la necessità di disporre dunque un bailout di 245 miliardi.
Il via libera al secondo piano salva-Grecia è un'occasione unica secondo Juncker, che Atene non deve sprecare. L'accordo raggiunto dall'eurogruppo rappresenta la più grande ristrutturazione del debito sovrano greco. L'obiettivo è evitare il collasso economico e il contagio dell'eurozona[7].
Atene è salva. Ma a che prezzo? Quello di un ulteriore commissariamento? Olli Rehn è stato chiaro: la Troika renderà permanente la sua presenza in Grecia.
Conclusioni
La crisi greca rappresenta la somma degli errori del Trattato di Maastricht e, soprattutto, la mancanza di una governance politica dell'Unione monetaria europea. Nata da un accordo tra Mitterand e Köhl, la moneta unica aveva lo scopo di limitare la supremazia del marco tedesco da parte della Francia e di accelerare il processo di unificazione della Germania, dopo la caduta del Muro di Berlino, per ottenere elevati finanziamenti, ricorrendo a deroghe delle regole stabilite dall'Unione Europea. Il notista politico Ludwig Greven espone un concetto chiaro, ma durissimo, nei confronti della Germania. "L'economia tedesca - scrive - si arricchisce solo perché le nostre imprese fanno affari sulle spalle dei paesi più deboli. Ma in futuro chi potrà permettersi i prodotti tedeschi? Non è la Grecia che approfitta dei programmi di salvataggio dell'euro, ma la Germania. Se infatti la Grecia dovesse fallire, anche le banche tedesche perderebbero miliardi, a scapito dei contribuenti tedeschi. E se si dovesse tornare al deutsche mark, questa moneta sarebbe drammaticamente sopravvalutata. Il costo dei prodotti tedeschi aumenterebbe del 40 per cento, sarebbe la fine del modello tedesco sostenuto dalle esportazioni".[8]
E' stato sottolineato che la rivalutazione del marco sarebbe costato alla Germania la riduzione dei flussi commerciali verso l'estero. "A settembre, il fallimento della Grecia era dato come scenario vero, più che verosimile, da Klaas Knot, presidente della Banca centrale olandese e membro del Board della Bce. Ormai il rendimento dei titoli aveva superato il 23% e di quelli a due anni il 70%, avviandosi celermente, verso il 100%, per un ammontare del debito sovrano di 353 miliardi di euro... La Grecia era paragonata all'Argentina, che nel 2001 dichiarò bancarotta". Perché dunque non fallisce? Il mantenimento dello status quo è condizione necessaria per garantire la crescita della Germania, le cui banche posseggono la maggior parte del debito sovrano ellenico. Inoltre la Bundesbank ha nelle sue casse oltre 100 miliardi di crediti verso la Grecia, per le esportazioni. "Il salvataggio temporaneo di Atene? Vantaggioso solo per Berlino" [9]
[1] International Monetary Fund, European Department, "Greece: Request for Extended Arrangement Under the Extended Fund Facility", IMF Country Report No. 12/57, March 2012. http://www.imf.org/external/pubs/cat/longres.aspx?sk=25781.0
[2] V. D'Apice, G. Ferri, Crisi finanziarie e regolamentazione. Politiche economiche per un capitalismo stabile, Carocci editore, Roma, 2011, pp. 189-186; F. Colombini, A. Calabrò, Crisi finanziarie. Banche e Stati, L'insostenibilità del rischio del credito, Utet, Torino, 2011, pp. 110-119.
[3] http://it.peacereporter.net/articolo/31466/Grecia%2C+un+collasso+targato+Goldman+Sachs
[4] G, Di Taranto, Il salvataggio temporaneo di Atene? Vantaggioso solo per Berlino, in MF, 16 marzo 2012, p.13. Sulla crisi dell'eurozona, M. Otte, Fermate l'euro disastro. Contro l'oligarchia finanziaria, Chiarelettere, Milano, 2011; B. Amoroso, Euro in bilico. Lo spettro del fallimento e gli inganni dalla finanza globale, RX, Roma, 2011; G. Moro, La moneta della discordia, The Cooper Files, Roma 2012.
[5] Su questa tesi cfr. J. Attali, Breve storia del futuro, Fazi Editore, anno 2007, Roma, pp. 204-221; G. La Malfa, L'Europa in pericolo. La crisi dell'euro, Passigli Editori, Firenze, 2011, pp. XVII-XXXIII; C. Crouch, Il potere dei giganti. Perché la crisi non ha sconfitto il neoliberismo, Laterza, Roma-Bari, 2011.
[6] The Daily Telegraph, 09-12-2009; Der Spiegel 12-08-2009; The Guardian 08-12-2009; Financial Times 03-02-2010; Kathimerini 04-02-2010; Le Figaro 11-02-2010; Herald Tribune 18-03-2010; To Ethnos 06-09-2011; Eleftherotypia 06-05-2010; Kathimerini 06-05-2010; Ta Nea 06-05-2010.
[7] Ta Nea 26-05-2010; To Vima 11-03-2011; Kathimerini 15-03-2011; Libération 02-09-2011; To Vima 26-07-2011; Ta Nea 26-07-2011; Der Spiegel 26-05-2011; Libération 09-05-2011; The Guardian 17-05-2011; To Vima 01-06-2011; The Guardian 16-06-2011; Ta Nea 26-07-2011; To Ethnos 06-09-2011; Ta Nea 13-09-2011; Libération 02-09-2011; The Guardian 22-12-2011; To Vima 19-09-2011; Die Presse 22-09-2011; Le Figaro 04-11-2011; Süddeutsche Zeitung 24-01-2012; Die Zeit 15-02-2012; The Daily Telegraph 17-02-2012; To Vima 10-02-2012; De Morgen 20-02-2012; El Mundo 21-02-2012; Financial Times 21-02-2012.
[8] Ludwig Greven Basta con la terapia d'urto, in Die Zeit, 15-02-2012.
[9] G. Di Taranto, Le basi problematiche della moneta europea, in "Aspenia", aprile 2012 pag 176-183; G. Di Taranto, Il salvataggio temporaneo di Atene? Vantaggioso solo per Berlino, in Milano Finanza, 16-03-2012.