Diritto


Francesco Paolo Volpe

Principio democratico e giustizia nell’amministrazione

1. Partecipazione diretta del cittadino alle funzioni amministrative e complessità del modello costituzionale di Amministrazione, nei lavori preparatori e nel dibattito in Assemblea costituente: Procedimentalizzazione dell’azione e qualità plurale e dialettica dell’interesse pubblico. Imparzialità obiettivata e regole del sistema democratico. 2. La omogeneità del modello costituzionale di Amministrazione. Il difetto metodologico della lettura disaggregata delle disposizioni. Il superamento del monismo istituzionale ricevuto: dalla gerarchia all’autonomia. Il modello costituzionale del rapporto tra politica ed amministrazione L’imparzialità organizzativa, quale direttiva democratica d’integrazione dei livelli decisionali. 3. Giustizia nell’amministrazione e principio democratico. Discontinuità e rivoluzione nel sistema costituzionale. La sintesi dell’imparzialità funzionale e strutturale nel principio di giustizia nell’amministrazione, inteso alla non arbitrarietà dell’azione. 4.Funzione, procedimento e discrezionalità. La scelta di valore nella ponderazione comparativa degli interessi: contenuti di politicità dell’agire discrezionale. Il giudizio di opportunità. Principio democratico e forza propulsiva della discrezionalità: contenuti partecipativi e di responsabilità dell’interesse legittimo. La funzione di riequilibrio nella rappresentazione degli interessi e la funzione educativa e persuasiva del diritto. Legittimazione e consenso. 1. Partecipazione diretta del cittadino alle funzioni amministrative e complessità del modello costituzionale di Amministrazione, nei lavori preparatori e nel dibattito in Assemblea costituente. Procedimentalizzazione dell’azione e qualità plurale e dialettica dell’interesse pubblico. Imparzialità obiettivata e regole del sistema democratico. Nel disegno del Costituente, la disciplina della Pubblica amministrazione non venne affidata ad un progetto di riforma integrale ed immediata, nella consapevolezza non solo della necessità di assicurare un’adeguata continuità funzionale, ma anche dei possibili guasti, che avrebbe potuto causare un processo troppo repentino di trasformazione. Si optò, invece per una soluzione di prudente gradualità, assegnando alla legge, nel quadro di un modello, definito da principi costituzionali, il compito di realizzarne la progressiva democratizzazione. Il dibattito, sin dai lavori preparatori, non rispecchia, del resto, soltanto questa esigenza, ma, altresì, i dubbi e le perplessità, diffusi e più volte manifestati, intorno al problema dell’astratta rilevanza costituzionale delle disposizioni da inserire nella Carta ed, ancor più, del grado di duttilità da assegnarvi, onde consentire, nel tempo, al futuro Legislatore di adeguare l’ordinamento ai processi evolutivi della vita politica e sociale. Per altro, l’utilizzazione di questa tecnica normativa di rinvio fu, in larga misura, determinata dallo stesso clima costituente, che consentì soltanto ad alcune delle istanze di profondo rinnovamento dell’intero assetto della società statale, presenti in Assemblea, di esplicarsi in una nuova disciplina, immediatamente e direttamente operativa, sicché la più parte venne, piuttosto, accolta in principio e differita ad attuazione e sviluppo successivi. Il tema della partecipazione diretta del cittadino alle funzioni amministrative – atteso che essa viene ad integrare l’organizzazione dello Stato, in attuazione del principio democratico – formò oggetto di specifico esame, in seno alla Commissione Forti in ragione di una riflessione, affatto autonoma ed originale, sull’abituale disinteresse per tutto quello che riguarda la vita collettiva e sul carattere burocratico dominante dei nostri ordinamenti amministrativi. Questa sensibilità agli strumenti di partecipazione democratica all’esercizio della potestà, che pure appare, già di per sè, significativa, per la modernità stessa dell’intuizione, non sortì, tuttavia, altro effetto, se non una generica raccomandazione, rivolta all’Assemblea, di valutare, quale elemento qualificante del nuovo Stato, una posizione, in funzione di stimolo e di controllo, dei cittadini, nei confronti dell’amministrazione. La soluzione minimale risentì, verosimilmente, della stessa originalità dello spunto ricostruttivo, che, in difetto di un’adeguata elaborazione teorica nella Dottrina dell’epoca, stentò ad individuare concrete forme e modalità d’esercizio di una facoltà, che, per quanto non sconosciuta, nell’Ordinamento prefascista, era ancora intesa, nella sostanza, quale evento, di natura sua, eccezionale e sussidiario, nel dispiegamento dell’azione amministrativa. Del resto, il dibattito non riuscì, comunque, a superare le perplessità di chi, negando rilevanza costituzionale al tema della partecipazione, ne auspicava, al più, la previsione in una disposizione di principio, che affidasse la definizione e la disciplina degli strumenti di esplicazione ad una futura legge generale sulla Pubblica amministrazione. Cionondimeno, la Commissione tracciò, con chiarezza, le linee di fondo del rapporto tra il cittadino e la pubblica amministrazione, sia pure nel più ampio contesto del dibattito sui diritti individuali, che offre spunti decisivi, per ciò che concerne i contenuti dialettici della funzione. Costantino Mortati definisce il principio democratico - accolto nel suo significato intrinseco ed essenziale di controllo attivo e diretto dei cittadini sull’esercizio del potere – quale principio guida dell’Ordinamento, cui deve essere assicurata, pertanto, la massima valorizzazione in concreti spazi di attuazione, mediante il pieno riconoscimento dei diritti soggettivi politici del singolo e delle formazioni sociali Egli, significativamente, definisce questi diritti funzionali, evidenziandone, in tal modo, la natura intrinseca di strumenti di partecipazione alla formazione della società statale. Ed è in coerenza con questa impostazione, che Antonio Sorrentino, nella sua relazione, individua i contenuti della tutela del singolo, nei confronti dell’amministrazione, nella motivazione dell’atto, nei diritti di accesso, di petizione, di gravare ogni atto, di indennizzo - in conseguenza di atti limitativi ed ablatori - di conoscere il motivo della convocazione da parte dell’autorità. Nella norma costituzionale, i profili partecipativi dell’esercizio della funzione non pervennero all’enunciazione espressa di un canone comportamentale di trasparenza - in termini di (partecipazione) conoscibilità dell’azione - né di un canone procedimentale dialettico – in termini di (partecipazione) intervento, in forma di contraddittorio. Tuttavia, se ne può affermare, con sicurezza, il rapporto di stretta inerenza e di indefettibile derivazione dai chiari contenuti democratici del rapporto tra il cittadino e la Pubblica amministrazione. In proposito, rivelatrice dello spirito dei Costituenti, intorno a questi temi, è la discussione sull’emendamento La Rocca – Togliatti, che ebbe ad oggetto l’aggiunzione di un ulteriore comma all’art. 97, che demandasse alla legge la determinazione dei modi e delle forme in cui si esercita il controllo popolare sulle pubbliche amministrazioni. L’emendamento – per altro, sommariamente elaborato e non trattato col necessario approfondimento – venne disatteso, ma Tosato, chiamato ad esprimere il parere della Seconda Sottocommissione, affermò che, a prescindere dall’esistenza di un’apposita disposizione costituzionale, che appare superflua, doveva ritenersi, in ogni caso, affidato alla legge il compito di predisporre strumenti idonei a questo fine. Emblematica mi sembra questa vicenda, che, al di là dei profili di contenuto, mostra, con l’evidenza e l’ovvietà apparente delle verità indiscutibili, che chi voglia sapere come è disciplinata l’amministrazione nella nostra Costituzione, non deve leggere due soli articoli, ma l’intera Costituzione. E, per tal via, nelle disposizioni costituzionali, a partire dalla enunciazione del principio democratico, è agevole rinvenire profili inequivocabili di un mutamento rivoluzionario del concetto stesso di amministrazione, con il superamento della contrapposizione tra Stato e Società, propria dell’Ordinamento liberale, e la socializzazione della politica e dell’amministrazione, erogatrice di servizi. L’amministrazione non risulta più costruita intorno all’idea unilaterale di potere, che esaurisce il fine, nella sua proiezione autoritativa, e definisce, nella soggezione, la sua relazione sociale. Essa è, piuttosto, costruita intorno alla diversa idea di funzione, che, preordinata, oggettivamente, a fini sociali, è strumento dell’esercizio democratico della sovranità popolare e, nel suo inscindibile legame col principio di eguaglianza sostanziale, concorre all’affermazione dei valori pluralistico, egalitario e solidaristico della società costituzionale. I diritti, sui quali incide la funzione amministrativa di regolazione, sono quegli stessi diritti, che, in ragione della sua finalizzazione sociale, ne costituiscono, al tempo stesso, oggetto necessario di promozione e tutela. Essi, pertanto, non si pongono in posizione antagonista, bensì integrano un elemento interno e coessenziale della funzione, in un rapporto, nel quale la posizione statica e dominante del potere trasmuta nella dinamica dialettica di una posizione tendenzialmente paritaria. Nell’esercizio unilaterale del potere, il giudizio di sintesi di valori del provvedere, in una qualità – per così dire - circolare della decisione, tutto si conchiude e resta circoscritto, nell’intervento autoritativo di puntualizzazione del rapporto. L’esercizio democratico della funzione, inteso al conseguimento dei fini sociali, esprime, invece, il detto giudizio di valori, nella dinamica di una proiezione lineare della decisione. La decisione, cioè, s’invera in una processualità dialogica e compositiva, scaturente dalla finalizzazione della funzione a fini sociali, in quanto il suo oggetto presenta, per ciò stesso, una qualità plurale, esprimendo i conflitti e le contraddizioni del gruppo sociale. Per tal via, il modello liberale di supremazia, che esprime un rapporto antitetico autorità/libertà – in quella che è stata efficacemente descritta come la dialettica imposta con la forza del dominio di classe - evolve, nella nostra Costituzione, in un modello a forte connotazione democratica e pluralistica. Alla soggezione, questo modello oppone la partecipazione, in un rapporto dialettico libertà/legalità e dignità/responsabilità, che oggettivizza l’agire amministrativo nella funzione di soddisfacimento dei bisogni della Collettività. 2. La omogeneità del modello costituzionale di Amministrazione. Il difetto metodologico della lettura disaggregata delle disposizioni. Il superamento del monismo istituzionale ricevuto: dalla gerarchia all’autonomia. Il modello costituzionale del rapporto tra politica ed amministrazione L’imparzialità organizzativa, quale direttiva democratica d’integrazione dei livelli decisionali. Il principio democratico, principio guida dell’Ordinamento e, dunque, valore e norma di sistema, investe, altresì, del suo effetto ordinativo unificante l’organizzazione amministrativa, sul versante della omogeneizzazione del modello, presente nella Costituzione. Talora, si è affermato che la Costituzione non disegnerebbe un modello univoco di Pubblica amministrazione ma accoglierebbe, piuttosto, istanze dissimili o addirittura divergenti. Invero, il contrasto è soltanto apparente, ed è certamente riduttivo imputare le scelte operate ad un’esigenza di compromesso tra opposte istanze o all’incapacità culturale di elaborare un modello univoco e compiuto, se non, persino, alla volontà cosciente di una sorta di restaurazione. Intanto, discutibile è la stessa prospettazione di una molteplicità di modelli coesistenti, dotati di mutua esclusività e, tra loro, incompatibili, in quanto discutibile è la scelta aprioristica di un metodo di lettura disaggregata del sistema ed avulsa delle disposizioni, che evochi, poi, con acritico esercizio di riconduzione, modelli ordinamentali previgenti. In tal modo, se, da una parte, s’assegna, indebitamente, a ciascuna delle articolazioni, la separatezza delle sfere incomunicabili, ciò che impedisce una visione d’insieme, dall’altra si svalutano i contenuti di profonda innovazione del testo, riscontrando contraddizioni e contrasti drammatici, laddove la coerenza, svincolata dal sistema ricevuto, dovrebbe, per contro, commisurarsi alle linee direttrici del disegno originale di un sistema a farsi, dettate dalla saggezza di una scelta elastica e progressiva. E solo in questi termini – ma non già nel senso di un’enunciazione irrisolta - può, senza meno, convenirsi con l’opinione che le disposizioni in esame esprimono dialetticamente la tensione che si manifesta, nelle società contemporanee, nel processo di organizzazione dei pubblici poteri, fra due spinte antagoniste, l’una, di semplificazione ed accentramento, in un’ottica efficientista della struttura, l’altra, di articolazione organizzativa, sempre più complessa ed autosufficiente. Ma è pur vero che le singole disposizioni costituzionali - come si diceva - nella composizione dell’assetto organizzativo e funzionale della Pubblica amministrazione, trovano momento di armonizzazione, nell’univoca e condivisa funzione di attuazione del principio democratico, cui, indistintamente, risultano, di necessità, conformate. Il principio democratico non opera, qui, come principio unificatore meramente estrinseco e formale, bensì, quale concreta disciplina, come del rapporto del cittadino con la Pubblica amministrazione, così anche del rapporto tra Governo ed Amministrazione, e, dalla combinazione delle disposizioni dell’art. 95 Cost. con la riserva di legge dell’art. 97, si delinea il modello costituzionale della relazione tra politica ed amministrazione. Il modello dell’apparato servente, di cui all’art. 95 Cost. - che, in una logica assai dubbia di ineluttabile continuità, si vuole assiomaticamente, ispirato alla previgente strutturazione centralistica ed autoritativa dell’organizzazione e della funzione - in realtà, esaurisce la sua apparente (e data) divergenza, sulla soglia della contestualizzazione e della giustapposizione nella norma costituzionale. Sistematicamente, esso, in fatto, si combina in un modello complessivo, omogeneo e culturalmente diverso, che ripudia il monismo istituzionale e si conforma al pluralismo amministrativo e politico degli art. 5 Cost. e 114 ss. . Un modello, dunque, che si realizza, oltre che nella diffusione della scelta politica, con imputazione a soggetti altri dallo Stato - persona, e nel principio partecipativo di prossimità della decisione, altresì nel superamento dello stretto sistema di burocrazia gerarchizzata, sul quale era costruita, nello Stato liberale, l’Amministrazione. E non sembra che di ciò si possa dubitare, atteso che l’Amministrazione democratica, disegnata dai Costituenti, è costruita, per contro, intorno ad un principio espresso di autonomia, che, senza dubbio, è, di per sé, profilo di profonda discontinuità col sistema ricevuto. In proposito, è bene precisare che l’indistinzione tra attività di governo ed attività amministrativa di esecuzione – enunciata con estrema chiarezza negli artt.5 e 6 dello Statuto albertino – non è l’effetto di oscurità intellettuale o di un’incapacità di analisi culturale, bensì esprime un’assenza del bisogno storico pratico di distinguere ed, anzi, un interesse preciso a mantenere uniti i distinti (o distinguibili). Nello Stato liberale, la borghesia ha, difatti, un preciso interesse di disporre dell’amministrazione, come uno dei suoi poteri più gelosi, perchè è proprio grazie alla continuità, senza soluzione, del potere medesimo con la potestà direttiva del governo, che la classe dominante è in grado di esercitare, in concreto, il suo dominio sulla società. In un Ordinamento democratico, invece, anche l’amministrazione deve essere democratica, ossia partecipare delle garanzie, offerte dal sistema democratico. Agli uffici, pertanto, deve assegnarsi una propria autonomia decisionale e la titolarità di responsabilità proprie, nel contesto di un ordinamento paritario, trasparente e fondato sulla partecipazione, che vede anche il cittadino, con pari dignità, concorrere alla determinazione dei destini comuni. Ne consegue che la giuridica configurazione dell’amministrazione, quale funzione autonoma dell’Ordinamento, conforma il rapporto tra politica ed amministrazione ad una relazione di indirizzo e non di gerarchia, sicché alla condizione di sottordinazione degli apparati amministrativi – che, nel Regime, aveva conosciuto la sua più intensa e rigida espressione – si sostituisce l’interazione tra coordinamento e responsabilità. Per altro, il modello, che, desunto dell’art. 95, Cost., si pretende divergente, ripudia la pretesa omologazione al modello liberale evocato, intanto perchè, ai sensi dell’art. 98I, Cost., se la P.A. è – come si suole affermare - apparato servente, non già è posta al servizio del Governo, bensì, esclusivamente, della Collettività. Ma, sopratutto, è agevole riscontrare una recisa discontinuità, rispetto al modello ricevuto, nel disegno – percepibile già sul piano sistematico – di un’Amministrazione, intesa come funzione autonoma, oggettivata dal fine, e democraticamente qualificata dalla previsione e dai contenuti della riserva rinforzata dell’art. 97, Cost., che non può non esercitare, sul rapporto in esame, un decisivo effetto conformativo. Ciò è come dire che la diversità di fondamento ed operatività del principio di legalità, la qualità dialettica ed imparziale del processo di sintesi, in cui s’invera l’interesse pubblico, e, sopratutto, l’evidenza strutturale – oltre che comportamentale - dell’imparzialità, giusta l’intreccio testuale coi profili d’organizzazione, dispiegano tutte, univocamente – nel comune denominatore democratico - un effetto rescindente sulla relazione ricevuta di stretta continuità verticale, tra politica ed amministrazione. Il principio democratico, difatti, assoggettando sia l’attività di indirizzo che l’attività amministrativa al paradigma vincolante dell’imparzialità, diversamente, ne configura un rapporto complementare di limite reciproco, cui è sottesa una relazione simmetrica e paritaria. L’esercizio della discrezionalità è così conformato ad imparzialità, in quanto vincolato all’osservanza dei criteri di uniformità della decisione, prescritti dall’indirizzo politico. Ma, a sua volta, l’indirizzo politico è conformato ad imparzialità, in quanto esso stesso vincolato alle regole del sistema democratico, perché non divenga strumento diretto o indiretto di pressione sulle opinioni e sulle libertà delle minoranze. L’imparzialità, dunque, nella sua latitudine integrale, è regola non solo procedimentale, ma anche regola dell’impianto costituzionale del potere amministrativo. E, nel quadro di una democrazia pluralista, l’imparzialità medesima postula, per questo aspetto, la predisposizione di un ordine organizzativo di integrazione tra i diversi livelli decisionali, che realizzi l’unità/continuità funzionale non già in virtù nella posizione dipendente di un’amministrazione subalterna, bensì nel sodalizio virtuoso tra indirizzo programmatico e gestione puntuale. 3. Giustizia nell’amministrazione e principio democratico. Discontinuità e rivoluzione nel sistema costituzionale. La sintesi dell’imparzialità funzionale e strutturale nel principio di giustizia nell’amministrazione, inteso alla non arbitrarietà dell’azione. Le riflessioni, che precedono, mi sembra offrano, di già, elementi certi e concordanti, per concludere, oltre ogni dubbio, che il principio democratico operi, nel valore dell’imparzialità, quale indirizzo unificante – quanto alla supposta aporia del modello costituzionale di amministrazione - ed, altresì, quale solido fondamento vincolante della partecipazione all’esercizio della funzione. Per altro, la funzione dell’agire imparziale, strumentale alla integrazione dei caratteri di democraticità dell’amministrazione, trova ulteriore momento positivo di sintesi dei suoi contenuti funzionale e strutturale, nell’enunciazione del valore di giustizia nell’amministrazione, che l’art. 100, I co., Cost. assegna alla tutela del Giudice amministrativo. L’espressione, che fu titolo e motto del famoso discorso, pronunciato, il 7 marzo 1880, da Silvio Spaventa, all’Associazione costituzionale di Bergamo, è accolta dalla norma costituzionale, nella sua originaria formulazione, a condividere quella fondamentale intuizione di Spaventa, sull’assoluta centralità della Giustizia amministrativa, come tutela integrale del cittadino nei confronti della Pubblica amministrazione, che prelude alla istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, con la legge Crispi del 31 marzo 1889 n. 5992. Ma è palese, sin dall’oggetto di tutela, la profonda discontinuità ideologica della disposizione dell’art.100, I co., Cost., rispetto alla giustizia di Spaventa, che non appartiene alla Società civile, bensì allo Stato e si risolve nello Stato stesso. (… lo Stato, cioè la giustizia e l’uguaglianza giuridica). Per Spaventa, così come la volontà individuale si identifica nella volontà dello Stato, allo stesso modo, simmetricamente, la tutela dell’interesse individuale è assegnata, solo se coincide con la tutela dell’interesse generale, in quanto la legge non protegge direttamente altro che l’interesse generale, di cui l’amministrazione, o meglio lo Stato, è il vero soggetto. Per altro verso, tale discontinuità, anche e sopratutto, s’appunta sulla profonda divergenza intorno al concetto sotteso di amministrazione giusta, sol che s’integri la disposizione in esame nel complessivo sistema democratico della Costituzione, ciò che ne evidenzia, a tutta prima, il contenuto profondamente rivoluzionario. Spaventa afferma, invero, la necessità della distinzione tra governo e amministrazione, e disegna – per altro, disattendendo il principio di separazione rigida dei poteri dello Stato di diritto, cui pure mostra di ispirarsi - un modello, che, in via diretta, sottopone al Parlamento sia il Governo, sia, per il tramite della legge, l’amministrazione, cui nega ogni autonomia. Tale distinzione, benché sia, in sé, democratica e costituisca il fondamento stesso della giustizia amministrativa, dà luogo, tuttavia, in quel sistema di oligarchia censitaria, soltanto ad una nuova figura di accentramento del potere, l’autoritarismo nella forma del dispotismo della maggioranza, tanto più grave quanto più questa è di fatto una minoranza sociale. Allo stesso modo, Spaventa ravvisa, bensì, nell’imparzialità l’idea suprema di giustizia, ma, nel suo pensiero, lo Stato è affatto separato dalla Società, e, come un grande individuo, distinto dai piccoli individui, che lo compongono, esprime ed impone la sua volontà, nella quale essi identificano la propria volontà e ne diventano esecutori. La libertà è, pertanto, un’astrazione formale, molto lontana dall’ideale di partecipazione democratica, è nelle leggi e delle leggi, cala, cioè, dall’alto, così come, dall’alto, calano solidarietà ed eguaglianza e, pericolosamente, giacché da questo sentimento di eguaglianza sorge un’esigenza terribile, nella coscienza delle moltitudini, alle quali non basta essere eguali davanti alla legge, poiché esse intendono di sollevarsi...di partecipare ai beni della vita. Ciò posto - tornando al testo costituzionale ed ai termini dell’iniziale opzione ricostruttiva – l’art. 100, I co., Cost., in tutta evidenza, reca due disposizioni, che, distinte, ma, nella ratio, convergenti, ineriscono, l’una, alla tutela, nel suo profilo teleologico - e, dunque, all’esercizio della giurisdizione – l’altra, all’esercizio della potestà, nel suo profilo sostanziale. La norma indica, così, in prima istanza, i contenuti di democraticità del rapporto tra sindacato giurisdizionale ed azione, laddove, assegnando la qualità di organo di tutela della giustizia nell’amministrazione al Giudice amministrativo, ne afferma il ruolo di strumento della sovranità popolare. E’, difatti, per il tramite della giurisdizione, che s’appunta, in capo alla Comunità tutta, l’esercizio di una funzione di controllo sull’Amministrazione, che il carattere integrale della tutela, di cui al successivo art. 113 Cost., significativamente, sottrae ad un sistema di cognizione, suscettibile d’essere limitata a discrezione del Legislatore, ossia ad un sistema ove, in fatto, non avrebbe modo d’esprimersi. La norma reca, quindi, ulteriore disposizione, laddove, in ragione dell’intrinseca rilevanza prescrittiva del valore, che vuole assicurato con la tutela, detta una regola fondamentale di condotta, la giustizia nell’amministrazione, cui è dato assegnare, con sicurezza, contenuti concreti, ricercandone il parametro esplicativo nella norma costituzionale. Un’amministrazione giusta ne risulta, pertanto, conformata alla giustizia dei valori costituzionali, che attengono allo sviluppo della persona umana - libertà, dignità, eguaglianza, partecipazione, affidamento - ed alle regole del sistema democratico - legalità, trasparenza, funzionalizzazione a fini sociali – cioè ad un canone generale ed oggettivo di non arbitrarietà dell’azione, valido ed operante tanto nella dimensione verticale del rapporto tra i diversi livelli decisionali, che in quella orizzontale del rapporto procedimentale. 4. Funzione, procedimento e discrezionalità. La scelta di valore nella ponderazione comparativa degli interessi: contenuti di politicità dell’agire discrezionale. Il giudizio di opportunità. Principio democratico e forza propulsiva della discrezionalità: contenuti partecipativi e di responsabilità dell’interesse legittimo. La funzione di riequilibrio nella rappresentazione degli interessi e la funzione educativa e persuasiva del diritto. Legittimazione e consenso. Ho già avuto modo di evidenziare che la genesi ed i contenuti della funzione sono definiti da una norma sulla competenza, che individua i fini comuni, e che, per il conseguimento di questi stessi, investe un soggetto dell’esercizio doveroso di una pubblica potestà. Il peculiare tratto teleologico, dunque, diversamente configura la funzione, anzitutto, in ragione della qualità, che si assegni all’interesse pubblico, e, quindi, nella variabile specificità e vincolatività della predeterminazione normativa. L’interesse pubblico, allorché omogeneo, poiché coincide e s’esaurisce nell’interesse del gruppo dominante, è affidato, per un fine di conservazione, alla definizione previa e puntuale della norma, sicché esso s’appunta, nella vigenza piena ed integrale del principio di legalità, in capo al soggetto, che vi è preposto, in un’accezione statica e data del potere. La soggettivizzazione dell’interesse pubblico, tuttavia, non resiste - come detto - all’emersione di interessi antagonisti, che, nel processo di trasformazione, in senso pluralistico, della Società, introducono variabili relazionali e relazioni di conflitto, non riducibili ad un’astratta e preventiva codificazione, ma armonizzabili soltanto nel costrutto di sintesi della regola del caso, nell’alveo di precetti normativi, operanti come direttiva di conformità formale e di mera compatibilità. Anche l’interesse – sempre che risulti espressamente individuato dalla norma, come essenziale, rispetto ad una determinata attribuzione di competenza - non può non trovarsi, nel concreto dispiegarsi dell’azione, variamente collegato ad altri interessi, anche pubblici, parimenti meritevoli di tutela, o, quanto meno, suscettibili di necessaria acquisizione al procedimento, per il fine stesso della effettiva tutela e valutazione del primo. Ciò vale a dire che, al più, è dato individuare un interesse, che rifletta il soddisfacimento di un bisogno, qualificato pubblico da una norma - detto primario, ma senza implicazione alcuna di priorità data - in concorrenza con una serie di altri interessi secondari – pubblici, collettivi o privati – che, sul primo, incidono in via di attenuazione, di rafforzamento e, persino, di elisione. La necessità della ricerca di un equilibrio di coesistenza oggettivizza l’interesse pubblico nel procedimento. Il procedimento è la forma della funzione, sicché, atteso che la funzione è il suo contenuto, può concludersi che, con essa, in tutto, si identifica. L’organizzazione sequenziale dell’agire non è, difatti, mera forma - strumentale alla predisposizione garantistica di una struttura accessibile, per la conoscibilità ed il sindacato eventuale - ma s’apprezza nei contenuti sostanziali di una vera e propria tecnica di distribuzione e di diluizione del potere, che si collega direttamente al principio democratico. Il procedimento è, in questo senso, metodo di esercizio frazionato e cooperativo del potere, in virtù del quale il concorso dell’elemento burocratico e dell’elemento partecipativo si esprime e si manifesta nella elaborazione della scelta discrezionale. Pertanto, l’esercizio della discrezionalità, inteso come acquisizione dialettica e valutazione comparativa degli interessi, del pari, s’immedesima nella funzione. La molteplicità degli interessi coinvolti dall’azione ne impone, dunque, la ponderazione comparativa, che, lungi dall’attingere la soluzione da precetti già presenti o impliciti nella norma, conduce ad un giudizio di valore - fondato su parametri, individuati autonomamente - mediante il quale l’amministrazione, di volta in volta, determina priorità e reciproche interazioni degli interessi emersi. Questa operazione logica dipende soltanto dal valore che si assegni, di volta in volta, agli interessi emergenti dalla situazione di fatto, ossia da un giudizio, lato sensu, politico, che in nessun modo scaturisce dall’applicazione di una preesistente norma sociale o da una regola dell’esperienza, sicché l’autorità procedente pone, con la propria valutazione, un quid novi, attingendo il valore della soluzione, in maniera autonoma, dall’Ordinamento. Pertanto, fermi i modi, or detti, di immedesimazione nella funzione, la discrezionalità si dispiega nella scelta della soluzione più opportuna, tra più soluzioni possibili, tutte astrattamente conformi al modello normativo, un’opzione, che, nei contenuti e nella misura variabile di specificità del precetto, incontra il suo nucleo fisso di vincolatezza. Questa descrizione della vicenda, evidenzia, nel procedimento, il nesso inscindibile tra l’agire imparziale e l’esercizio legittimo della potestà discrezionale. Essa presenta l’ulteriore pregio di far giustizia di quelle teoriche, che finiscono per circoscrivere la discrezionalità, nella dimensione patologica delle figure sintomatiche dell’eccesso di potere, piuttosto che, in positivo, nei suoi contenuti di democratica ponderazione degli interessi. Ed, inoltre, assumendo, al centro della scelta discrezionale, un giudizio di opportunità, ne vince l’incerto ancoraggio a regole di esperienza, affatto indefinite e tendenzialmente passibili di cristallizzazione. La discrezionalità, difatti, in tanto è in grado di adempiere la sua ratio creativa e dinamica di sintesi democratica della regola del caso, proprio se ed in quanto sia giudizio di opportunità, ossia costrutto dialettico, di natura sua, irriducibile in canoni predeterminabili. Tuttavia, il profilo democratico della discrezionalità non si esaurisce nella sola qualità dialettica dell’acquisizione e della valutazione comparativa degli interessi, ma si manifesta, altresì, in una sua ulteriore ed indefettibile attitudine, che, in definitiva, si rivela essere il motore primo dell’imparzialità del confronto e della soluzione. L’agire discrezionale, difatti, dispone, in sé, d’una peculiare forza propulsiva, la ratio della quale è riconducibile al principio di giustizia nell’amministrazione e che s’atteggia, diversamente, ora, in relazione ai contenuti partecipativi, ora ai contenuti di responsabilità dell’interesse legittimo. Così, per un verso, il procedente, oltre che assicurare, avvalendosi di criteri sostanziali, l’esaustiva individuazione di tutti i soggetti interessati – per il fine dell’integrale costituzione del contraddittorio ed anche della sua utilizzazione sostanziale – favorisce e sollecita, altresì, in funzione di riequilibrio - sia pure nei limiti propri dell’istruttoria facoltativa - l’allegazione paritaria al procedimento di tutti gli interessi in gioco. Ciò che s’apprezza, in particolare, per quegli interessi, che, in ragione dell’indisponibilità di mezzi adeguati ad un’efficace prospettazione, sarebbero, altrimenti, condannati alla sottorappresentazione o a restare in stato di latenza, laddove interessi forti, ad essi contrapposti, avvalendosi di preponderanti risorse umane e tecniche, potrebbero, agevolmente, incidere, anche in modo decisivo, sulla valutazione delle priorità. Per altro verso, è per il tramite della medesima forza propulsiva che all’azione discrezionale è dato partecipare della funzione educativa e persuasiva del diritto, nella ricerca della consapevole e spontanea adesione alle scelte, sì che, alle categorie d’unilateralità ed esecutorietà, proprie dell’Amministrazione autoritaria, si sostituisca, infine, un modello compiuto di Amministrazione sociale e paritaria e legittimata dal consenso. Per questo aspetto, dunque, la funzione di sintesi dirimente del conflitto di interessi, assegnata alla discrezionalità, risponde alla ratio, ulteriore e generale, della composizione, nell’ordine costituzionale, dell’aspettativa individuale con la doverosità sociale, in un rapporto in cui l’interesse legittimo, conformato al principio di eguaglianza ed ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, s’afferma nella luce della responsabilità, nella consapevolezza d’essere parte di un contratto necessario.