Politica
Lucio Avagliano
In margine alla due giorni romana 25-26 febbraio u.s. dedicata ala confronto tra P.D. e PDE presso la sede romana della Margherita e poi a Montecitorio (con le introduzione di Francesco e le conclusioni di Romano Prodi), alcune osservazioni al di la delle dichiarazioni diplomatiche e della sostanza, da tutti ribadita, della volontà di avvicinamento delle due sponde.
Era scontato che non si potesse attendere da questo primo incontro una disamina approfondita delle relazioni transatlantiche in via di rapida evoluzione di quanto divide il partito democratico dal centro sinistra europeo.
Tuttavia alcuni interventi meritano di essere segnalati perché indicano la direzione verso cui, dopo la netta sconfitta, intende muoversi l'opposizione in america.
A tale proposito si segnala, per comune opinione, il chiaro e preciso intervento di Micheal Mc Faul (Washington University) il quale, premesso che, il successo dei neocons in america è avvenuta sulla base di quattro principi netti e semplici, che i democratici non sarebbero in grado di imitare, si è provato a sintetizzare tali fondamentali indicandoli sommariamente nella lotta per la democrazia, che non significa statu quo; nel rifiuto di usare a tale scopo mezzi militari (come sottolineato anche da Marshall, presidente del Progress Policy Institut) con l'enlargment; nel sostegno alle istituzioni multilaterali nate dopo la II GM; nel sostegno primario ai diritti umani col rifiuto delle negoziazioni bilaterali, giudicate perdenti (es. Iran).
Si tratta in effetti di una ripresa aggiornata del programma wilsoniano , che occorre rivitalizzare, come ribadito, nella tavola rotonda successiva da Sidney Blumenthal coordinatore dei Third way Meetings.
Per Bloumenthal il vecchio atlantismo è finito dieci anni fa, mentre Bush propone una ideologia molto semplice e pone il problema all'Europa, senza dare le risposte.
Il che significa per Marta Dassù, che Bush sta cambiando, operando secondo una sequenza logica che prevedeva dapprima l'intervento solitario e ora l'avvicinamento all'Europa e il multi-lateralismo, e proponendo quella Community of Democratic che era già di Maddalen O' Bright e ora della Rice.
Se è vero, come ha sostenuto Lynch, capo dello staff di Schumer che i democratici hanno idea, è anche vero a mio avviso manca ancora un'approfondita analisi sul tipo di quella fatta da Robert Reich (Reason. Why liberal will win the battle for America, tr. it. settembre 2004); un libro che è rimasto sulla scrivania di qualche intervenuto, forse perché i liberal hanno perso ancora, ma che offre invece preziose e ancora valide indicazioni, secondo la mia opinione condivisa da Ellen Thauscher (presidente del gruppo parlamentare dei democratici al congresso).
Principale delle quali, a me confermata da qualche intervenuto, il fatto che il partito democratico non è un partito organizzato, a differenza di quello repubblicano diffuso capillarmente negli ultimi venti anni, come del resto già ai tempi di F. T. Roosvelt (cfr la polemica di John Rascobe).
La due giorni si è chiusa con l'auspicio di un approfondimento dei rapporti tra i deue partiti democratici, quello europeo presieduto da Francois Bayreu e da Francesco Rutelli. Ciò va fatto senza alcun dubbio non tanto e non solo con gli auspicati incontri tra le dirigenze, ma attraverso una migliore conoscenza delle proprie e reciproche storie. Partendo magari dalla vecchia riflessione di Sonbart pubblicata all'inizio del novecento sui motivi per cui il socialismo non aveva attecchito in USA e perché invece era diventata magna pars della sinistra europea.
Si tratta dunque di affrontare un lavoro di lunga lena non in grado al momento di offrire posti di governo, ma indispensabile se si vuole affrontare in modo serio quello che appare un compito fondamentale e urgente per la democrazia del XXI secolo, e cioè la riedificazione di una posizione democratico contro la destra vittorioso come in america e in Italia.
Da condividere in tal senso la conclusione di Lapo Pistelli: ora occorre un'agenda che faccia seguito all'importante acquisizione di questa due giorni di colloqui.
A mio avviso un tema degno di riflessione è quello del rapporto tra religione-politica. Solo cosi potremmo avere delle idee fondate secondo l'auspicio conclusivo di Francesco Rutelli, cui va il merito di aver organizzato questo primo incontro che ha colto uno dei temi cruciali dell'agenda politica di questi anni.
In un articolo sul Corriere della Sera del 26 febbraio u.s. Angelo Panebianco abbozza una prima analisi della lettera di Prodi allo stesso Corriere della Sera il giorno prima, che appare a Panebianco il frutto della sua storia e dei suoi valori, largamente coerente con gli orientamenti dell'elettorato di centro sinistra.
Per Panebianco la visione di Prodi affonda le radici nel suo cattolicesimo democratico una visione non di De Gasperi per il quale atlantismo ed europeismo erano sullo stesso piano, ma della sinistra D.C.
Posizione che si salda con quella di Chirac e Schroder e diventa "spendibilissima" in Europa.
Anche nel convegno Prodi infatti si aggiunge al coro di quanti intendono rinsaldare i rapporti tra Europa e America "ma l'ipotesi dell'allontanamento -secondo Panebianco- è nelle cose e intrinseca alla sua visione a riprova di ciò Panebianco segnala due omissioni "rivelatrici": la parola libertà, cioè la missione comune di Stati Uniti e Unione Europea nel mondo. L'altra omissione è l'11 settembre cioè il quadro nel quale si colloca l'eliminazione di Saddam: "per Prodi, invece, l'intervento in Iraq sembra spiegarsi solo con la brutale arroganza imperialistica dell'america", dal che deriva la negazione del rapporto causa ed effetto tra guerra ed elezioni.
Prodi, infine, sempre secondo Panebianco, sopravvaluta i meriti dell'Europa e tace dei suoi limiti.
L'Europa insomma vuole contare senza che si sia mai assunta in pieno le sue responsabilità, mentre lo stesso allargamento a venticinque è stato fatto avendo alle spalle il potere americano cosi come in Ucraina, come in Asia dove gli Stati Uniti hanno la maggiore responsabilità (cfr Corea del Nord) e dove l'Europa si presenta invece con la proposta della rottura dell'embargo della fornitura delle armi.
La conclusione è che se Francia e Germani cambiano gioco l'attuale grande forza di Romano Prodi si tramuta in grande debolezza.
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