Diritto
Francesco Paolo Stafferi
Affinché sia possibile comprendere appieno il valore e l'importanza della svolta avvenuta all'indomani della caduta del regime fascista diretta verso un percorso finalizzato al riconoscimento dei diritti inviolabili attraverso la promulgazione della Carta Costituzionale del 1948, occorre tornare al 1848 anno "storico", quasi dalla portata rivoluzionaria, in cui il Re Carlo Alberto elargì lo Statuto albertino. Tale Carta Costituzionale può essere considerata come il risultato di un tacito accordo fra il sovrano e le forze del movimento insurrezionale poiché la borghesia liberale stava diventando sufficientemente forte da intaccare il preesistente assetto "dell'ancien régime", ma non essendo in grado di assumere da sola la gestione e la guida dello Stato, stava trovando nel sistema di potere creato dalla monarchia un insostituibile strumento di stabilità su cui appoggiare le nascenti istituzioni rappresentative. Ed in tale contesto è evidente come la resistenza dello Statuto stesso a tutte le vicissitudini che dal 1848 l'Italia ha attraversato fino al 1946, anno dell'Assemblea costituente, gli ha permesso di svolgere una funzione di "passaggio", stante la sua sopravvivenza formale durante il fascismo, verso un vero e proprio riconoscimento dei diritti. Ed invero, con l'Assemblea costituente, si voleva non solo chiudere definitivamente l'epoca dell'autoritarismo, ma si voleva anche dar vita ad una Carta Costituzionale che, rispetto al passato, attuasse un inversione di tendenza, ricoprendo un ruolo essenziale prima di tutto nel riconoscimento e nella tutela dei diritti fondamentali, e di conseguenza nel loro sviluppo e nel loro ampliamento.
Che la Costituzione del 1948 era stata realizzata per tali scopi, è confermato dalle sue caratteristiche: la rigidità e la lunghezza, che rappresentano esigenza di garanzia degli assetti costituzionali, in quanto non si voleva ripetere l'esperienza dello Statuto quale carta flessibile e breve. Ed invero, l'Assemblea costituente, voleva dare un segnale forte di definitiva rottura con il passato, con l'intenzione di dar vita ad una Carta costituzionale che regolasse in modo dettagliato tutti i principi fondamentali di convivenza civile, per cui sarebbe stato più difficile un domani, un totale sovvertimento di essa[1]. La Costituzione, nell'ambito delle garanzie delle libertà civili, ha finito col tutelare in maniera preminente, attraverso l'art. 2, la posizione del cittadino nello Stato. Infatti si evidenzia come alla riaffermazione dei diritti inviolabili dell'uomo si accompagnino due enunciazioni dirette ad integrarla e a delimitarla.
La prima riguarda la estensione alle formazioni sociali, riconosciute, in contrasto con le costituzioni dell'800, necessarie allo svolgimento della personalità dei singoli degli stessi diritti e
delle stesse garanzie accordate a questi ultimi. La seconda rivolta a sancire una stretta correlazione fra il godimento dei diritti e l'adempimento dei doveri "inderogabili", necessari a realizzare la solidarietà nel campo dei rapporti politici economici sociali: correlazione che viene poi riaffermata in maniera più specifica nell'art. 4, con riferimento al diritto e al dovere dell'esplicazione della capacità lavorativa attraverso cui ognuno da il suo contributo più significativo alla società di cui è parte.
Nel quadro di questi due motivi, della libertà e della solidarietà, si spiega la complessa articolazione della prima parte della Costituzione. Sono da menzionare innanzi tutto le disposizioni che non si limitano solo a riprodurre le norme di garanzia relative ai classici diritti di libertà civili e politici consacrati nelle vecchie Costituzioni, ma si propongono di diffonderne il godimento e potenziare la tutela del loro esercizio. L'indirizzo in questo senso si è svolto in varie direzioni. In primo luogo conferendo dignità costituzionale a diritti che prima rimanevano affidati alla legge ordinaria. Così, mentre lo Statuto albertino garantiva solo le libertà della persona, del domicilio, della stampa, delle riunioni ora la disciplina è stata estesa anche a numerose altre (di corrispondenza, art. 15; di circolazione, soggiorno ed espatrio, art. 16 ; di associazione, art. 18; di fede e di confessione religiosa, art. 19 e 8; di insegnamento, art. 33;) la garanzia costituzionale non è stata solo estesa, ma anche qualitativamente trasformata perché alla pura e semplice riserva di legge, che prima assicurava le libertà predette, si è in molti casi sostituita una riserva rinforzata, rivolta a circoscrivere in precisi limiti la discrezionalità del legislatore. Inoltre il costituente ha escluso che l'esercizio delle libertà essenziali di cui si parla possa essere condizionato dal consenso preventivo delle pubbliche autorità. Ancora si sono concentrate nel potere giudiziario le potestà necessarie alla repressione dei reati, e si è conferito rilievo costituzionale ai principi che garantiscono la persona dei violatori della legge penale da ogni eccesso della reazione sociale contro di essi (art.25- 26). Si è poi avuto cura di inibire ogni restrizione all'esercizio del diritto di azione giudiziaria non che di quello della difesa in giudizio, che è stata resa possibile anche ai non abbienti. È stata altresì ampliata la protezione del singolo che abbia subito pregiudizio ad opera di un pubblico funzionario, associando la responsabilità dello Stato a quella di costoro.
L'insieme veramente imponente delle menzionate garanzie, così organicamente ordinate fra loro, deve essere apprezzato non solo per il suo valore diretto di protezione della persona, ma altresì per l'influenza indiretta che la maggior parte delle medesime esercita sul buon esercizio delle libertà politiche e quindi sulla funzionalità del complessivo regime democratico.
Meno felice deve ritenersi la normazione relativa all'uso dei mezzi attraverso cui alcune delle libertà ricordate possono oppure devono esercitarsi. La consapevolezza dell'importanza che la disponibilità di tali mezzi assume, specie nei confronti delle libertà, come quella di manifestazione del pensiero, che più direttamente condizionano la partecipazione dei singoli alla vita sociale, e che è confermata dal richiamo fatto al principio di effettività, non ha suggerito formulazioni suscettibili di conferire garanzie efficaci, ma solo vaghe enunciazioni come quella dell'art. 21 che fa un generico rinvio ai vari mezzi di diffusione del pensiero, il cui uso può risultare di fatto sottratto alla generalità dei cittadini, rimanendo i mezzi stessi concentrati nelle mani dei detentori del potere economico o delle maggioranze che detengono il potere politico[2]. In questo come in altri casi il costituente ha ritenuto di doversi affidare all'azione degli strumenti indiretti di pressione, cui fa riferimento il comma 2 dell'art. 3 quando impone allo Stato di rimuovere le situazioni di grave disparità sociale che, perdurando, danno vita da una parte a privilegi e dall'altra alla privazione dei beni riconosciuti necessari allo svolgimento della personalità. Si è fatto rilevare come il carattere polemico, di valutazione negativa del sistema dei rapporti sociali in atto costituisca l'aspetto più originale della nostra Costituzione e le conferisca il suo significato più pregnante. Tuttavia scarsa importanza pratica essa rivestirebbe se non trovasse svolgimento in disposizioni, armonicamente coordinate fra loro, rivolte, per una parte a darle immediata concretezza, e per l'altra a specificare le direzioni verso le quali lo Stato deve avviarsi onde assolvere all'obbligo impostogli, consentendo o imponendo i comportamenti attraverso i quali dovrà essere attuata la trasformazione dell'attuale assetto societario, onde giungere a tutelare in concreto l'uguale dignità dei cittadini e realizzare la sostanziale convergenza dei loro interessi nel "bene comune".
In tale contesto è assolutamente evidente come la secolarizzazione della "legge superiore" e la conseguente positivizzazione dei principi di diritto naturale, hanno determinato sia la rottura del rapporto di continuità esistente in epoca liberale fra costituzione (flessibile) e legge, sia l'inserimento, della problematica delle libertà individuali all'interno dell'ordine superiore rappresentato dalla Costituzione e dai principi costituzionali in essa contenuti. Alla stregua di quanto appena detto, tali libertà entrano a far parte dell' insieme di valori supremi in relazione al quale si valuta la legittimità degli atti dei poteri pubblici, inclusi quelli del legislatore, di tal che viene meno non solo la possibilità di configurare la legislazione e la costituzione, come limite alla libertà naturale dei singoli, ma soprattutto la possibilità di riprodurre la dinamica riconoscimento / garanzia delle libertà stesse sulla base dello rapporto fra principio costituzionale e limite (legislativo), fra affermazione del diritto per via costituzionale e delimitazione o negazione dello stesso per via legislativa. In buona sostanza, mentre nello "Stato di legislazione" parlamentare del secolo XIX la libertà era parte integrante del "sistema della legalità" che si contrapponeva allo Stato - amministrazione e ne delimitava a propria descrizione i confini, invece, nello "Stato costituzionale" delle democrazie pluralistiche, la libertà individuale diviene la parte più importante e rappresentativa del sistema giuridico dei valori supremi contenuti nella Costituzione, che si presenta come parametro di valutazione della legittimità dei vari atti dei poteri "costituiti", compreso il legislatore, e come criterio di liceità delle condotte dei soggetti privati nell'utilizzo delle opportunità che l'ordinamento positivo offre ad essi.
Strettamente legate a quelle appena ricordate sono le trasformazioni relative al contenuto strutturale della libertà. Come nello "stato liberale" la libertà era essenzialmente "libertà negativa", così nelle democrazie pluralistiche essa è essenzialmente "libertà positiva", nel senso che è, prima di tutto, auto - realizzazione dell'individuo nel complesso delle sue molteplici potenzialità di espressione, auto - realizzazione che, come tale, ricomprende nel proprio ambito, quale sua preconcezione necessaria, anche la "libertà negativa"36. A tale soluzione portano, da un lato, il riconoscimento e la garanzia dei diritti (di libertà) inviolabili all'uomo, non solo in quanto singolo, ma anche in quanto membro delle formazioni sociali ( come previsto dall'art. 2 Cost.), attraverso una valutazione prioritaria in favore della libertà "positiva"; dall'altro lato, il collegamento del suddetto riconoscimento con il dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli che di fatto impediscono l'esercizio delle libertà in vista della garanzia del "pieno sviluppo della persona umana" e "dell'effettiva partecipazione" alla vita economico - sociale e politica (art. 3, co 2, Cost.), tenendo conto, pertanto, i fondamentali intenti strategici della libertà "positiva", che vengono così a qualificare la concezione della libertà accolta dalla Costituzione italiana.
Oltre alle precise indicazioni normative ora ricordata, a contribuire alla determinazione di un sistema delle libertà fondato sulla libertà "positiva" contribuiscono anche alcuni cambiamenti derivanti dall'evoluzione dei regimi democratici. Come si è prima evidenziato, la concezione "liberale" della libertà come libertà "negativa" era correlata alla effettiva separazione, tra diritto privato e diritto pubblico in parallelo a quella fra "società civile" e Stato. In buona sostanza, se l'individuo era considerato il dominus della propria "sfera privata", lo Stato, di conseguenza, era raffigurato come un soggetto dotato di una incontrastata signoria nella "sfera pubblica", quindi nell'ambito delle relazioni sociali e politiche; sicché la libertà dell'individuo simboleggiava il risvolto negativo della "libertà" di un'istanza superiore, lo Stato, dalla cui auto - limitazione dipendeva l'esistenza e l'espansione della libertà individuale.
Con il diffondersi della forma di Stato, "lo Stato Sociale" che ha caratterizzato fino ad oggi le democrazie pluralistiche, la separazione tra "sfera privata" e "sfera pubblica" si è strutturalmente dissolta4, modo che, da un lato, è venuto meno il principale fattore istituzionale che limitava l'intera libertà giuridica nella sua dimensione "negativa", e, dall'altro lato, si è aperta la possibilità di estendere i diritti di libertà , all'intero insieme delle relazioni intersoggettive e di riconoscere, in tal modo, la libertà "positiva" a fianco di quella "negativa" o, più precisamente, di riconoscere la capacità di autodeterminazione di ciascun individuo come valore realmente supremo, come valore, quindi, della persona "totale" che, nel suo nucleo essenziale, si impone anche allo Stato e ne limita originariamente i poteri5.
Come si è già precisato, la distinzione di libertà "negativa" e libertà "positiva" è di natura analitica ed è difficile riscontrarla nella realtà. Normalmente ogni libertà contiene un' insieme di aspetti dell'una e dell'altra dimensione, nel senso che ogni libertà presenta sia elementi di definizione in relazione al non - impedimento, cioè al fatto che "non è determinata dall'esterno", sia aspetti definitori in relazione al "controllo", cioè alla capacità di auto - determinazione del singolo6. Tale assunto, tuttavia, non esclude che, in ordine a ciascuna specifica libertà, si possa rinvenire, oltre alla prevalenza quantitativa di aspetti legati a una dimensione piuttosto che a un'altra, un preciso principio di ordine, deducibile dalla disciplina positiva di ciascun diritto. Se, dunque, in ciascun diritto di libertà convivono più profili ricollegabili sia alla libertà "negativa", sia a quella "positiva" che, tuttavia, in relazione ad ogni singolo diritto, sono ordinati secondo un principium essendi attinente alla propria dimensione, allora il problema preminente che sorge, soprattutto con riferimento alla definizione del ruolo da attribuire alle varie libertà, all'interno della tavola dei valori costituzionali, è quello del rapporto che si deve porre fra la libertà "negativa" e quella "positiva". Nell'ambito di un sistema di democrazia pluralistica, come quello accolto dalla Costituzione italiana, il problema divenuta ineludibile. Nello "Stato liberale", infatti, la riduzione della libertà individuale alla sola dimensiona "negativa" in conseguenza della strutturazione dell'ordinamento in due sfere separate, quella "privata" e quella "pubblica", ha condotto ad un duplice e complementare principio: da un lato, quello della "presupposizione a favore dell'individuo" per il quale qualsiasi intervento pubblico nella "sfera privata" doveva essere basato su un dimostrato o un evidente interesse pubblico7; dall'altro lato, quello della presunzione d'illegittimità di qualsiasi manifestazione di libertà che fuoriuscisse dalla "sfera privata" ed interessasse il campo del "pubblico" e più precisamente, che contrastasse con il concetto di "ordine pubblico e finisse con l'invadere e travolgere l'insieme delle relazioni sociali e politiche"8. questo dimostra come nello Stato liberale non si sia mai posto il problema della convivenza della libertà, per il fatto che queste ultime, come le monadi, erano atomisticamente circoscritte all'interno delle "sfere private" dei singoli individui, così come risultavano determinate, in modo eguale per tutti, dalla legge generale9. Nelle democrazie pluralistiche, invece, con il dissolvimento della separazione tra "pubblico" e "privato" e con il riconoscimento della piena garanzia della libertà anche nell'ambito delle relazioni politiche e sociali, la questione preminente diventa proprio quello dell'ordinamento dei valori costituzionali e, all'interno di questo, dell'ordinamento dei valori di libertà. In buona sostanza il problema della coabitazione delle libertà, esaminate nelle loro diverse accezioni ("positive" e "negative"), diventa importantissimo per la individuazione e la determinazione dei valori della personalità umana come sistema di valori supremi.
Se, come è stato evidenziato da Esposito e da Pace, è sbagliato sostenere che nella Costituzione italiana vi sia una gerarchia dei valori di libertà, atteso che il principio della "indivisibilità delle libertà" non consente di attribuire un maggior pregio perché rappresentano le diverse estrinsecazioni del valore supremo della personalità umana, non si può non credere che tali libertà, connesse tra loro, diano vita a un sistema, che potremmo definire il "sistema delle libertà", nel cui ordine strutturale si riflette quel centro unitario di imputazione e di responsabilità che sta dietro alla molteplice varietà delle libertà10. Le libertà fondate su un principio di ordine di natura essenzialmente "negativa" sono le "libertà personali", vale a dire la libertà personale (art. 13), la libertà di domicilio (art. 14), la libertà di comunicazione e di corrispondenza (art. 15) e i diritti della difesa (art. 24)11. Il trait d'union di questi distinti diritti è costituito dal ruolo che essi rivestono nell'individuare e stabilire lo statuto di "indipendenza" della persona umana, di guisa che, garantiscono un insieme di beni e di valori giuridici costituzionali in assenza dei quali una persona non avrebbe la disponibilità delle condizioni minime ed essenziali per poter essere riconosciuto come soggetto indipendente. Ed invero, per garantire a ciascun individuo una sfera d'immunità personale, che consente a ciascuna persona di essere un individuo di per sé, indipendente, mediante l'interazione immediata con se stessa, con le proprie e personali capacità di pensiero e di azione e con gli strumenti o i mezzi che contribuiscono a determinare materialmente quella sfera d'immunità, le libertà "negative" pongono le condizioni assolutamente necessarie per l'affermazione dell'identità personale di ciascun individuo, in ossequio all'immagine di dignità umana posta come valore giuridico supremo dalla Costituzione: un'identità i cui limiti sono stabiliti da una correlazione negativa, con lo Stato, con i poteri pubblici in genere e con le altre persone. Nel momento in cui, come è accaduto, in epoca liberale, la libertà giuridica era armonizzata sul modello della libertà "negativa" e, quindi, su uno statuto d'indipendenza12, tale relazione negativa all'alterità - e, in particolare, all'alterità rappresentata dallo Stato - costituiva la definizione stessa della libertà, risalente al diritto medievale, per il quale essa era innanzitutto uno status e, più precisamente, uno status negativus ac libertatis. Negli ordinamenti democratici, invece, la libertà non è più limitata alla garanzia delle condizioni formali dell'essere persona, ma è ideata attraverso un disegno omogeneo, attraverso cui la garanzia dell'indipendenza diventa importante per la sua correlazione costitutiva con la libertà "positiva", con la libertà intesa come "autonomia". Pertanto, è possibile sostenere che in tanto una persona può auto - determinarsi nel mondo di relazione in quanto sia un soggetto indipendente, e sia un soggetto a cui sia riconosciuta e garantita la capacità di scegliere liberamente e sia dotato di una sfera d'immunità personale i cui elementi non possono essere oggetto dell'interferenza e del controllo di altri soggetti13. In tali ultimi ordinamenti la libertà come autonomia assume un ruolo costituzionale fondamentale, poiché il concetto di democrazia, come ha sostenuto Kelsen, non è altro che l'evoluzione dal punto di vista istituzionale del principio di autodeterminazione positiva della persona. Da tale principio deriva il ruolo preminente assicurato alla libertà "positiva" all'interno di tali sistemi costituzionali, ruolo che, nella nostra Costituzione, è attribuibile alla assoluta importanza accordata alle libertà "collettive" e alle libertà "politiche". Ma, il ruolo centrale conferito dalle democrazie alla libertà "positiva" determina problemi nuovi, assolutamente importanti per la realizzazione dell'intero sistema della libertà e per la definizione stessa della democrazia, poiché la libertà "positiva", a differenza di quella "negativa", non ha nella sua definizione la propria misura interna. La libertà - autonomia, infatti, si sostanzia in una forma di libertà il cui esercizio consente di raggiungere posizioni dotate di una stretta vicinanza con il potere e che, in tal modo, può essere distruttiva della identica libertà degli altri e realizzare, quindi, quello che è stato definito il "paradosso della libertà". Tale problematica ora enunciata, nel senso che alla libertà - partecipazione o alla libertà - autonomia è accordato un valore assoluto e illimitato, è vissuto fino alle estreme conseguenze nelle democrazie che richiedono ogni elemento di continuità con la tradizione liberale14. tuttavia bisogna riconoscere che pochissime sono state le democrazie che hanno applicato tali principi. Ed invero la stragrande maggioranza delle democrazie, e fra queste quella italiana, hanno seguito una via mediana, hanno accettato il principio della libertà "positiva", ma lo hanno sottoposto a un limite invalicabile, quello per cui la libertà - autonomia non può divenire uno strumento di distruzione delle libertà che costituiscono lo statuto di "indipendenza" della persona umana, le libertà "negative".
Questo è indubbiamente un limite logico, dipendente dal fatto che la libertà "positiva" non può negare, la sua stessa condizione di esistenza (la libertà - indipendenza) La particolare disciplina costituzionale che attiene alle libertà "negative" - per la quale è prevista una protezione tanto intensa15 da non prevedere, altri valori posti al di sopra delle stesse libertà se non quello generale e irresistibile sotteso alla tutela penale - e, probabilmente, l'espressa connotazione di "inviolabilità", riferita unicamente ai beni protetti dalle libertà personali - connotazione, questa, che, forse, aggiunge un ulteriore significato a quello ordinario deducibile dall'art.2 Cost. - sono elementi normativi che chiariscono come la Costituzione italiana abbia fatto proprio l'anzidetto principio: l'intoccabilità assoluta delle libertà "personali", anche da parte delle altre libertà, è dunque un principio che costituisce elemento fondante e vitale delle democrazie pluralistiche. L'intero sistema delle libertà, tipico delle suddette democrazie, si fonda, quindi, sulla correlazione e limitazione reciproca tra la libertà "negativa", o indipendenza, e la libertà "positiva", o autonomia, o meglio ancora, sul rapporto tra il duplice e problematico aspetto della personalità umana, considerata nella globalità e nella complessità del suo contenuto di valore. Il sottosistema della libertà "positiva" o della libertà - autonomia è, infatti, insieme governato da una logica "produttiva", nel senso che rappresenta il lato creativo o formativo della libertà, quello della produzione, dello scambio e della fruizione delle chances of life: è il lato quantitativo o, più precisamente, è il lato che può essere esaminato in base a procedure e a criteri di quantificazione e nel quale può trovarsi la spiegazione dell'individuo e complesso rapporto tra libertà e partecipazione, tra libertà e benessere, tra democrazia e ricchezza16. Il sottosistema della libertà "negativa" o della libertà - indipendenza è, invece, un insieme dominato da una logica "protettiva", nel senso che si conforma al principio della tutela dei valori "invarianti" della personalità umana: è il lato qualitativo della libertà, che non subisce le alterazioni o, comunque, l'influenza delle vicende relative al numero e al rango delle opportunità oggettivamente disponibili in una determinata società e che esprime il significato spiritual - culturale e il senso etico del sistema17.
Dott. Francesco Paolo Staffieri
dottorando di ricerca in "Teoria e Storia delle Istituzioni"
presso l'Università degli Studi di Salerno
[1] Sul punto cfr pg.103 P. Barile - E. Cheli - S. Grassi, Istituzioni di diritto pubblico, Padova, Cedam 1998.
[2]Cfr. al riguardo C. Esposito, La libertà di manifestazione del pensiero nell'ordinamento italiano, Milano, 1958 pag. 26 e segg.
[3] V. H. Kelsen, La democrazia, Il Mulino Bologna 1981 cit. pag. 9 e segg.; N. Hartmann, Ethik, Berlino 1944 cit., pag. 790; N. Bobbio, Della libertà dei moderni, Torino Einaudi 1998 cit., pag. 87; R. Dahrendorf, Citizenship and Beyond: the social Dynamics of an Idea, in Social Research, 1974, pag. 678 e segg.
4V. spec. E. Forsthoff, Verfassungsprobleme des Sozialstaats (1961), ora in Rechtsstaatslichkeit und Sozialstaatslichkeit, Darmstadt, 1968, pag. 146 e segg., che parla, però, di "destrutturazione della sfera privata".
5 Sul "cittadino totale", the complete citizen, delle democrazie liberali e suoi problemi, v. R. Dahrendorf, Citizenship and Beyond, cit., pag.693 e segg.
6 Sul punto, N. Hartmann, Etik, cit., pag. 90.
7 F. Neumann, Lo Stato democratico e lo Stato autoritario, Il Mulino Bologna 1973 cit., pag. 37 e segg.; G. Amato, Libertà (Diritto Costituzionale), in Enc. Dir. XXIV cit., pag. 273.
8 Sul punto v. I. Berlin, Four Essays, 1969 cit., pag. 131 e segg.
9 I. Kant, Principi metafisici, in I. Kant, La metafisica dei costum Laterza Bari 2001 cit., pag. 41; F.A. Hayek, La società libera, Vallecchi, Firenze 1969 cit., pag. 31.
10 Sul punto, v. contra E. Forsthoff, Stato di diritto in trasformazione, Milano, 1973, cit., pag. 203 e segg.
11 Sul punto v. L. Elia, Libertà personale Einaudi Milano 1962, cit., pag. 90.
12 V. esattamente L. Von Mises, Socialism, New Haven, 1951, pag. 194.
13 V. spec. F. A. Hayek, La società libera, cit., pag. 39 e segg.
14 Sul punto, J. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria Il Mulino Bologna 2000, cit., pag. 8 e segg. e 279 e segg.
15 V. L. Elia, Libertà personale, cit., pag. 32; G B
La libertà, nel suo significato più puro, rappresenta la possibilità di scelta, di azione, dell'uomo libero di auto - determinarsi attraverso i rapporti con altri soggetti e con il mondo esterno. La libertà è, quindi la possibilità di determinarsi del soggetto o di compiere la sua scelta come soggetto libero di fronte ad una situazione del mondo esterno che gli si pone davanti.
16 Sul punto, v. R.B. Perry, Freedom,: its Meaning, New York, 1940, pag. 269; S.M. Lipset, Political Man: The Social Basis of Politics, Baltimore, 1981, pag 310.
17 Sul punto, v. J.M. Buchanan, The Limits, 1986 cit., pag.68 e segg.