Universitą


Lucio Avagliano

articolo pubblicato su Repubblica

E' opinione comune che il passaggio dall'Università di elites a quella di massa non e' stato accompagnato da una riflessione veramente approfondita, libera da etichette ideologiche, come anche che il passaggio all'autonomia in tempi recenti e' avvenuto solo a meta e pur sempre sotto la tutela di un centralismo sospettoso. Ciò come conseguenza dello sviluppo della nostra storia unitaria, in un'Europa condizionata, secondo alcuni, dal vizio d'origine dello stato-nazione, che ha trascinato appunto l'Università nel suo decadere come riferimento etico-politico della vita nazionale.

Per ovviare a questa situazione si sono cercate di volta in volta soluzioni diverse, quali l'efficientismo, di natura aziendalistica ovvero l'utilitarismo come risposta alla disoccupazione intellettuale in una Università considerata a lungo come area di parcheggio, mentre in realtà non si rifletteva abbastanza sull'Idea di Università, come sulla concreta possibilità di fare una Università per tutti senza averne i mezzi finanziari e soprattutto senza avere una categoria, come e' noto non riproducibile in tempi rapidi, di professori preparati.

Le soluzioni offerte non potevano essere che pasticciate e appunto da considerare come risposta che si dava alle sollecitazioni politiche di varia provenienza piuttosto che un disegno organico meditato. E' singolare che perfino l'ufficio relazioni internazionali del Ministero non fosse in grado neppure di dare una risposta sugli ordinamenti universitari relativi alle altre nazioni europee.

Gli sviluppi recenti sembrano purtroppo confermare l'assenza di una tale robusta riflessione e di un referente che non fosse uno Stato sempre limitato nei suoi mezzi e pur sempre debole quale riferimento primario della vita collettiva.

Non era mancato anche un richiamo alla storia, cosi ricca di buoni esempi in questo settore, degli Stati Uniti. Ma risultava sempre difficile a fine ottocento, come pure fu tentato, cosi come oggi, di trarre un modello da una vicenda cosi diversa.

Le soluzioni che si stanno offrendo in questi giorni, dietro la spinta di una riforma che all'inizio ha escluso la concertazione con i protagonisti, riguardano in sintesi l'istituzione dei tre cicli (il terzo come "scuole di eccellenza" come nella proposta di Umberto Eco); come quella blairiana di un sostanzioso aumento delle tasse e altre minori. Ma non si e' voluto ammettere con chiarezza di dover mettere in discussione l'irrealizzabile e fuorviante convinzione dell'eccellenza per tutti, e la democrazia nella ricerca, un campo questo del tutto alieno dalle mediazioni politiche.

La mia convinzione e' che l'Università pubblica deve essere considerata un bene primario cui la grande massa degli utenti non ha alcuna intenzione di rinunciare, specialmente nel Mezzogiorno. Pubblica non significa necessariamente per tutti e non esclude la concorrenza con iniziative private, come avviene appunto negli Stati Uniti, per chi conosce veramente quella storia.

Si scontano in sostanza gli errori di almeno un trentennio da parte di tutti, ivi inclusa una classe accademica a volte chiusa nella sua turris eburnea, in una specializzazione esasperata, necessaria ma non sufficiente, priva di porte e di finestre. In particolare per l'esclusione delle forze giovani, nei confronti delle quali appare assai penalizzante l'abolizione del posto di ricercatore, che non avrebbe altro risultato che di allontanare ancora di più quanti, per vocazione più che per interessi, continuano a privilegiare lo studio e la ricerca in luogo del perseguimento di fini economici immediati.