Diritto


Antonio Verderosa*

L’energia in Costituzione: Italia e Canada a confronto

 

 

 

*dottore in Giurisprudenza abilitato all'esercizio della professione forense

 

Abstract: il presente lavoro analizza il ruolo dell'energia nell'era dell'Antropocene e le implicazioni connesse, soffermandosi sulla sua rilevanza nelle esperienze dell'ordinamento italiano e di quello canadese. In particolare, partendo dal dettato costituzionale delle rispettive Leggi Fondamentali, si passerà ad esaminare le pronunce più rilevanti della giurisprudenza in materia. Infine, mettendo in evidenza similarità e differenze tra i due sistemi, si offriranno delle riflessioni conclusive sulla nuova branca del diritto dell'energia e sulla rinnovata dignità di tale valore.

Abstract: The following work analyses the role of energy in the Anthropocene era and its related implications, focusing on its relevance in the Italian and Canadian systems. In particular, starting from the articles of the respective Constitutions, the most relevant rulings of the jurisprudence on this matter will be examined. Finally, by highlighting similarities and differences between the two legal systems, conclusive reflections will be offered on the new branch of energy law and on the renewed dignity of this value.

Sommario: 1. Introduzione:l'energia nell'era dell'Antropocene. 2. Riflessioni costituzionali sull'energia nell'ordinamento italiano. 3. Diritto dell'energia in una prospettiva comparata: l'esperienza canadese. 4. Conclusioni.

 

1. Introduzione: l'energia nell'era dell'Antropocene

«La vita, le attività dell'uomo dipendono dalle fonti di energia di cui egli dispone. Senza energia non vi può essere né vita né attività creatrice»[1]. La storia dell'uomo è stata da sempre legata a doppio filo alla sua capacità di trasformare le risorse di cui dispone in energia; e ciò è tanto più vero nell'odierna era tecnologica. Non è un caso, infatti, che la questione dell'energia sia stata inserita nell'agenda politica della maggior parte dei governi mondiali, come traspare dall'analisi delle recenti legislazioni[2]. La sua rilevanza è comprovata dalla circostanza che quello dell'energia è considerato un settore complesso e in continua evoluzione dove si intrecciano aspetti giuridici, politici, economici, ambientali e sociali.

Infatti, l'aumento del fabbisogno mondiale di energia, fino ad un recente passato basata quasi esclusivamente sulla produzione di energia da fonti tradizionali (i c.d. idrocarburi)[3], ha sì migliorato la qualità della vita dell'individuo, ma talvolta ha sacrificato interessi altrettanto rilevanti, in primis la qualità dell'ambiente. In generale, l'impronta dell'uomo sulla Terra ha portato alla nascita di un sistema in cui al benessere umano si contrappongono fenomeni tangibili come la deforestazione, l'aumento dell'inquinamento, la perdita di biodiversità, la trasformazione irreversibile dell'ambiente. Tale momento storico è stato definito dagli studiosi come era dell'Antropocene, una delle principali sfide ambientali del mondo contemporaneo[4]. L'importanza della questione è dimostrata dal costante interesse manifestato, quantomeno a partire dal XX secolo, da parte della comunità internazionale, come dimostrato dalle numerose Convenzioni internazionali in materia[5]. Dall'analisi delle normative internazionali emerge come essenziale l'adozione di strategie di sviluppo che tengano conto anche dei modi di approvvigionamento energetico degli Stati - spinti ad implementare le loro politiche di produzione di energia da fonti c.d. rinnovabili[6], nell'ottica di una giusta transizione energetica.

Già nel Protocollo di Kyoto del 1997 è prevista, tra le azioni necessarie a ridurre l'emissione di gas serra in ottica di contrasto al cambiamento climatico, l'elaborazione di politiche di miglioramento dell'efficacia energetica in settori rilevanti dell'economia nazionale, di ricerca, produzione e sviluppo di forme energetiche rinnovabili, della riduzione delle emissioni di metano attraverso il suo recupero nella produzione, trasporto e distribuzione dell'energia. Dunque, emerge chiaramente la volontà politica, avvertita a livello mondiale, di combattere il climate change anche per mezzo di azioni in campo energetico. L'approccio globale, in questo caso, si spiega considerando che le problematiche ambientali ed energetiche non hanno confini nazionali, pertanto una loro risoluzione necessita di un intervento comune integrato.

Lo stretto legame tra energia, ambiente e cambiamento climatico, tra l'altro, emerge anche dall'analisi delle misure prese dall'Unione Europea in materia; infatti, oltre ad aderire al Protocollo di Kyoto, anche le Istituzioni europee hanno adottato politiche per la riduzione dei gas serra, tra cui il c.d. Piano 20-20-20 (il «Pacchetto clima», contenuto nella Direttiva 2009/29/CE), che prevedeva la riduzione delle emissioni di gas serra del 20 %, l'innalzamento al 20% della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e la stabilizzazione al 20 % del risparmio energetico entro il 2020. Recentemente, in attuazione dell'accordo di Parigi del 2015, l'Unione, conscia del fatto che «l'attuazione degli ambiziosi impegni assunti a Parigi dall'UE in materia di cambiamenti climatici costituisce la priorità e dipende in larga misura dal successo della transizione verso un sistema basato sull'energia pulita [..]»[7], ha introdotto il c.d. Green Deal europeo[8], in cui si prevede una tabella di marcia delle politiche necessarie per conseguire l'obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. Tra le misure previste, in particolare, si segnala il ripensamento delle politiche di approvvigionamento di energia pulita in tutti i settori dell'economia, unitamente alla decabornizzazione del sistema energetico. Traspare, dunque, come il raggiungimento degli obiettivi perseguiti in materia climatica passi necessariamente per un'implementazione della produzione di energia da fonti rinnovabili in ambito globale, europeo e nazionale. Peraltro, la questione energetica è affrontata dall'Unione non solo in ottica di salvaguardia ambientale e di tutela delle generazioni future, ma anche in attuazione del suo scopo primigenio, ossia la creazione di un mercato unico senza frontiere. Sul punto, a fronte di un lungo dibattito, la Corte di Giustizia Dell'Unione Europea è infine giunta a considerare l'energia non quale servizio, ma come «merce», in quanto tale soggetta al principio della libera concorrenza e la cui circolazione è limitata solo per la realizzazione di obiettivi europei prioritari e prevalenti (tra cui la tutela ambientale, la riduzione dell'emissione di gas serra, lo sviluppo delle energie rinnovabili)[9].

Tale complesso quadro normativo e politico non può non avere ripercussioni nell'ordinamento italiano: in primis, poiché l'Italia ha obblighi di attuazione delle normative sovranazionali ed europee, come espressamente indicato ex art. 117, comma 1, Cost. e 11 Cost., nonché costantemente ribadito dalla copiosa giurisprudenza in materia; in secondo luogo, dal momento che la questione dell'equilibrio tra salvaguardia dell'ambiente, sviluppo economico ed energetico e tutela della salute trae nuova linfa dalla recente modifica dei principi supremi della Costituzione. Infatti, il nuovo art. 9, comma 3, Cost., a rigor del quale la Repubblica «tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni», espressamente costituzionalizza la tutela ambientale (nell'ottica del benessere delle generazioni presenti e future), portando a interrogarsi con maggiore impegno sui rapporti tra materie differenti e trasversali, che finiscono per influenzarsi reciprocamente[10]. Di questo il legislatore nazionale sembra aver preso atto, introducendo misure tese ad un maggiore impiego di fonti rinnovabili e ad una semplificazione delle procedure amministrative in materia di produzione di energia[11].

Quanto detto dimostra l'importanza e l'attualità della tematica, che pertanto merita un approfondimento alla luce della sua influenza sugli ordinamenti contemporanei. In questo caso, si è ritenuto di qualche utilità partire dalla disamina delle disposizioni dedicate all'energia contenute nella Legge Fondamentale, in particolare soffermandosi sulle disposizioni costituzionali dell'ordinamento italiano e di quello canadese. Il motivo della scelta è duplice: da un lato, come si vedrà, è possibile cogliere un'affinità nell'approccio costituzionale dei due ordinamenti, dal momento che la disciplina è essenzialmente limitata all'individuazione del riparto di competenze in materia energetica; dall'altro, si ritiene che il raffronto tra esperienze simili (anche se inquadrate in contesti ordinamentali assolutamente differenti), alla luce di una metodologia improntata alla comparazione giuridica, possa offrire l'occasione per individuare problemi comuni e sviluppare approcci più efficaci per migliorare le azioni di politica ambientale ed energetica.

 

2. Riflessioni costituzionali sull'energia nell'ordinamento italiano

Nella Costituzione italiana i riferimenti all'energia sono essenzialmente due. Il primo è contenuto nell'art. 43 Cost., ove si stabilisce che «ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazione di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale». In verità, il dibattito svoltosi in sede di Assemblea Costituente su tale norma non si è concentrato in maniera particolare sul valore energia e si è soffermato piuttosto sulla possibilità di nazionalizzare le imprese per fini di utilità generale (c.d. riserva di impresa)[12]. D'altro canto, il dettato costituzionale ha giustificato la nazionalizzazione dell'energia elettrica[13] e il monopolio di fatto del gas ad opera dell'ENI. Peraltro, oggi la scelta a favore della nazionalizzazione cede il passo rispetto alla nuova impostazione europea, tesa alla valorizzazione della concorrenza e condizionata dalla filosofia liberistica di fondo dell'Unione. A ciò si aggiunga che la disciplina dell'energia è resa più complessa dal fatto che tale materia si presenta come trasversale e si intreccia con contigue materie di competenza anche regionale. A riguardo, più denso di significato è, infatti, il dettato dell'art. 117 Cost., come modificato dalla Riforma del Titolo V. Infatti, a fronte del «percorso di avvicinamento per l'acquisizione di attribuzioni in materia energia»[14] da parte delle Regioni, il Legislatore, dapprima ordinario poi costituzionale, ha infine modificato il riparto di competenze. Se prima del 2001 non era prevista alcuna competenza in materia di energia (da cui l'attrazione della stessa nel campo di attribuzioni residuali dello Stato), ora è prevista all'art. 117, comma 3 Cost., tra le materie di legislazione concorrente, la «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia». Da questa norma - criticata dalla dottrina per l'inopportunità della scelta[15], nonché foriera di dubbi anche in relazione alle fasi della sequenza energetica da includere nel dettato costituzionale[16]- si evince a primo impatto che i legislatori regionali sono legittimati a legiferare in materia, ferma l'attribuzione alla competenza statale della fissazione dei principi fondamentali. L'affermazione, pur pacifica in teoria, va tuttavia precisata. Infatti, i vincoli comunitari[17], gli obblighi internazionali e gli stessi principi posti dalla legislazione statale di principio[18] hanno restituito un quadro di riparto fortemente sbilanciato a favore della competenza statale. A ciò si aggiungano le riflessioni della Corte Costituzionale, la quale, chiamata a risolvere i conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e ad affermare i principi del settore energetico, ha sostanzialmente avallato la prevalenza dello Stato nella disciplina dell'energia, sul presupposto della necessità di restituire sistematicità e coerenza ad un settore di rilevanza strategica nazionale e internazionale[19].

Già in tempi risalenti, la Consulta aveva sostenuto che la legge statale sulla nazionalizzazione dell'energia elettrica e sull'istituzione dell'ENEL fosse costituzionalmente legittima e non contrastasse con gli Statuti regionali di Valle d'Aosta e Trentino Alto-Adige, i quali, pur di rango costituzionale, erano vincolati al rispetto degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica; da ciò, derivava la prevalenza della legislazione statale e, conseguentemente, dell'amministrazione unitaria della materia, con ridimensionamento delle competenze regionali[20]. Il Giudice delle Leggi, pur non negando in assoluto la competenza delle autonomie locali nei profili settoriali connessi all'energia[21], avallava una disciplina di carattere unitario, con prevalenza dell'intervento statale, al fine di soddisfare «lo sviluppo dell'economia nazionale» quale «interesse nazionale, di carattere generale»[22]. In questi casi, la competenza statale si fondava su disposizioni costituzionali (l'art. 43 Cost.) e su normative di rango primario (la L. n. 1643/1962 o la L. n. 9/1991).

Tale impostazione veniva mantenuta dalla Corte Costituzionale anche nel nuovo modello delineato dalla Riforma del Titolo V, favorevole ad una ripartizione di competenze tra Stato e Regioni non rigida e predeterminata, bensì elastica e basata sui principi della sussidiarietà e della leale collaborazione tra livelli di governo[23]. Infatti, nonostante la nuova collocazione dell'energia tra le materie di legislazione concorrente ex art. 117, comma 3, Cost., la Consulta si è spesso servita della c.d. "chiamata in sussidiarietà" dello Stato per avocare all'amministrazione centrale le competenze in campo energetico. Già nel 2004 la Corte ha avuto modo di chiarire che il sistema del riparto di competenze tra Stato e Regioni non va attuato rifacendosi fideisticamente alla sola elencazione dell'art. 117 Cost., ma deve essere integrato, in chiave sistematica, dal successivo art. 118 Cost. e dal principio di leale collaborazione, secondo l'insegnamento della celebre decisione n. 303/2003. Così, nel caso in specie, il D.L. n. 7/2002, inerente alla ridefinizione dei procedimenti di modifica o ripotenziamento dei maggiori impianti di produzione dell'energia elettrica, è stato dichiarato costituzionalmente legittimo nonostante il legislatore statale avesse emanato una normativa analitica e di dettaglio in relazione ad una materia rientrante nella potestà legislativa concorrente delle Regioni ex art. 117, comma 3, Cost. Infatti, la deroga al riparto operato dall'art. 117 Cost. «può essere giustificata solo se la valutazione dell'interesse pubblico sottostante all'assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia proporzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità e sia oggetto di un accordo stipulato con la regione interessata»[24]. In altri casi, invece, il Giudice delle Leggi ha salvato singole disposizioni nazionali interpretandole (secondo alcuni discutibilmente[25]) alla stregua di principi fondamentali della materia, in quanto tali di competenza esclusiva dello Stato[26].

Inoltre, il ridimensionamento del ruolo regionale in materia è stato favorito anche dalla considerazione per cui la materia energia interferisce inesorabilmente con le "materie trasversali" di competenza statale esclusiva, tra le quali la tutela della concorrenza[27], dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, dell'incolumità e della sicurezza pubblica, dell'ambiente e dell'ecosistema[28]. In particolare, la Consulta ha in plurime occasioni confermato lo stretto legame esistente tra l'energia e la tutela dell'ambiente, dichiarando in maniera ondivaga la prevalenza ovvero la subvalenza dell'una materia rispetto all'altra[29].

A complicare il quadro si inserisce il consolidato orientamento sposato dalla Corte Costituzionale in tema di energie rinnovabili. Infatti, non è mai sfuggito alla Consulta che la normativa internazionale, comunitaria e nazionale «manifestano un ampio favor per le fonti energetiche rinnovabili, nel senso di porre le condizioni per la massima diffusione dei relativi impianti»[30]. Conseguentemente, è stata costantemente affermata l'illegittimità costituzionale di disposizioni regionali che aggravassero il procedimento di costruzione ed esercizio degli impianti di produzione di energia, derogando alle procedure autorizzatorie "leggere" previste dalla normativa statale  (da considerare principi fondamentali della materia)[31]. Le Regioni, dunque, in subiecta materia, possono solo emanare normative di dettaglio che favoriscano la diffusione delle c.d. FER, essendo loro, invece, precluso qualsiasi intervento restrittivo[32]. Si consideri il tema della localizzazione dei siti idonei all'installazione degli impianti di produzione di energia: sul punto, la Consulta ha affermato, con orientamento granitico, la competenza regionale (in un'ottica di tutela del paesaggio) ad individuare esclusivamente i siti non idonei, viceversa dichiarando l'illegittimità costituzionale delle norme regionali che individuassero i soli siti idonei, precludendo qualsiasi installazione nel restante territorio regionale. Tale operazione è stata definitiva illegittima in quanto contraria al principio comunitario di diffusione degli impianti a fini di aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili, nonché al rapporto di regola-eccezione tra aree idonee e aree non idonee[33].

A ben vedere, la pregnanza delle statuizioni della Consulta è dimostrata dal fatto che le soluzioni prescelte non attengono esclusivamente al riparto di competenze, ma influenzano in maniera rilevante il sostanziale giudizio di bilanciamento tra valori costituzionali. In particolare, parte della dottrina ha evidenziato che la Corte Costituzione ha sancito, di fatto, con le proprie pronunce, la prevalenza della tutela della produzione e sviluppo di energia da fonti rinnovabili rispetto alla tutela dell'ambiente, del settore agricolo e del paesaggio[34]. A giudizio della Corte, le norme statali che regolano le procedure di autorizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili «non tollerano eccezioni sull'intero territorio nazionale», in quanto bilanciano interessi di fondamentale rilevanza assiologica[35]. Nello specifico, da un lato, manifestano l'esigenza di potenziare le fonti rinnovabili quale punto di intersezione tra la tutela dell'ambiente e la produzione di energia; dall'altro, contemperano la massima diffusione delle FER con la tutela del territorio, nella dimensione paesaggistica, storico-culturale e della biodiversità. In sostanza, è lo stesso legislatore statale che a monte regola i rapporti tra i diversi valori, lasciando alle Regioni il solo compito di segnalare meri indici rivelatori di possibili esigenze di tutela del paesaggio[36].

Quanto detto va, in parte, chiarito alla luce delle nuove tendenze legislative. Infatti, con d.lgs. n. 199/2021, il legislatore ha mutato l'approccio rispetto al passato, in un'ottica di promozione dello sviluppo di energia da fonti rinnovabili, lotta al cambiamento climatico e raggiungimento degli obiettivi stabili nel Green Deal europeo. La normativa, nel prevedere come inderogabile il raggiungimento di predefiniti livelli di energia da fonti rinnovabili, salvaguarda le prerogative regionali in materia paesaggistica. Infatti, ex art. 20, comma 1 del citato decreto legislativo si prevede che siano stabiliti principi e criteri omogenei per l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili con uno o più decreti del Ministro della transizione ecologica di concerto con il Ministro della cultura, e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza unificata; al contempo, il comma 4 chiarisce che «le Regioni individuano con legge le aree idonee», conformemente ai criteri stabili nei decreti ministeriali[37]. Il mutamento di prospettiva, tuttavia, non cambia i rapporti tra norme statali e regionali in materia di energia, come dimostrato da una recente sentenza della Consulta. Infatti, con la pronuncia n. 28 dell'11 marzo 2025, il Giudice delle Leggi ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 L. n. 5/2024 della Regione Sardegna, poiché indebitamente introduceva il divieto di realizzare impianti FER per 18 mesi, nelle more dell'approvazione della legge regionale di individuazione delle aree idonee. A giudizio della Corte, la scelta della Regione, pur finalizzata «alla tutela del paesaggio», si pone «in contrasto con la richiamata normativa statale che, all'art. 20 del d.lgs. n. 199 del 2021, reca principi fondamentali che, in quanto tali, si impongono anche alle competenze statutarie in materia di produzione dell'energia»[38]. Inoltre, il non pacifico assetto di competenze in materia tra Stato e Regioni è confermato da recenti pronunce della giurisprudenza amministrativa aventi ad oggetto il Decreto Ministeriale 21 giugno 2024 del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, attuativo dell'art. 20 D.lgs. n. 199/2021. In particolare, il Tar Lazio, con sentenza del 13 maggio 2025[39], ha parzialmente annullato il D.M. 21 giugno 2024 per difetto di quel minimum di specificità necessario a dare attuazione alla delega legislativa. Infatti, l'art. 7, commi 2 e 3 del D.M. citato - inerente alla previsione di criteri utilizzabili dalle Regioni per individuare rispettivamente aree idonee e non idonee[40]-  non individua «criteri tecnici di tipo oggettivo, correlati ad aspetti strettamente inerenti alla tutela dell'ambiente, del paesaggio e del patrimonio artistico-culturale, idonei a guidare le Regioni nell'esercizio delle attribuzioni ad esse spettanti in subiecta materia», attribuendo de facto alle stesse una eccessiva discrezionalità contrastante con la normativa statale di principio. Inoltre, alla mancanza di specificità si accompagna, a giudizio della Corte, il deficit di omogeneità, dal momento che l'art. 7, da un lato, devolve alle Regioni l'onere di individuare le aree idonee «senza la "guida" dei principi e criteri statali che il legislatore delegante aveva previsto che fossero dettati», dall'altro, prevede un criterio per l'individuazione delle aree non idonee «suscettibile di ingenerare applicazioni della disciplina [...] differenziate tra le distinte Regioni».

Dunque, dalla casistica giurisprudenziale emerge la difficoltà nel trovare un equilibrio tra i diversi livello di governo. Infatti, il dato costituzionale, che attribuisce (almeno sulla carta) un primario rilievo alle Regioni in tema di energia, si scontra con il dato empirico dello "sconfinamento" statale in una materia che è di per sé difficilmente inquadrabile tra le competenze ripartite, soprattutto tenendo conto della sua rilevanza strategica nell'attuazione di politiche economiche, ambientali e sociali competitive a livello globale. Con tali premesse, il copioso contenzioso è stato inevitabile e ha richiesto l'intervento massiccio della giurisprudenza costituzionale, impegnata ad individuare quantomeno dei principi generali (conformi e rispettosi degli impegni internazionale e comunitari) che mettessero a sistema un vasto numero di interventi legislativi statali e regionali. Resta, inevitabilmente, la "stonatura" tra l'affermata primazia del ruolo statale nel governo dell'energia e la letterale dell'art. 117, comma 3 Cost. A riguardo, lo iato tra la Carta Costituzionale e gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale hanno portato parte della dottrina ad interrogarsi sulla validità della scelta del legislatore costituzionale, da considerare una svista più che una decisione ponderata[41].

 

3. Diritto dell'energia in una prospettiva comparata: l'esperienza canadese

Il Canada è il secondo Stato per estensione a livello mondiale e, oltre alla grandezza propriamente geografica, è un paese ricco di risorse naturali, da cui la possibilità di poter fare affidamento su un'imponente fornitura energetica (che include fonti rinnovabili e non)[42].

Dall'analisi delle disposizioni della Costituzione canadese emerge come l'unico riferimento all'energia sia contenuto all'art. 92A, inserito nel Titolo VI del Constitution Act del 1867, rubricato Distribution of legislative powers, in particolare costituendone la Parte III su Non-renewable natural resources, forestry resources and electrical energy. La norma viene introdotta con la riforma costituzionale del 1982 (c.d. Patriation of the Constitution) in un contesto politico di "tensione" tra province e governo centrale e si confronta con il modello federalista adottato dallo stato nord-americano. All'originario assetto costituzionale in virtù del quale la proprietà delle risorse naturali spettava naturalmente alle province si contrappose, infatti, una diversa politica federale sul regime della proprietà nelle nuove province occidentali. La disputa per stabilire a chi spettasse il controllo delle risorse naturali non si stabilizzò neanche con l'emanazione dei Natural Resources Acts del 1930, con cui si trasferì la competenza dal livello federale alle province occidentali. Lo scontro, afferente principalmente ai settori del gas naturale e del petrolio e caratterizzato da alterne reazioni (positive e negative) delle province alle scelte federali[43], evidenziava, da un lato, la volontà delle province responsabili dell'approvvigionamento energetico del Paese (principalmente quelle occidentali) di evitare interferenze federali nella gestione delle risorse naturali, dall'altro, l'interesse del governo centrale a proteggere le province orientali dagli elevati prezzi imposti dai proprietari delle fonti di energia.

In questo scenario, necessitante di una corretta composizione di interessi tra governo federale e singole province, si inserisce l'art. 92A della Costituzione. La norma, nel dare un assetto ordinato ai diversi poteri, prevede una potestà legislativa esclusiva in favore delle autorità provinciali in relazione, tra le altre materie, allo sviluppo, alla conservazione e alla gestione delle risorse naturali non rinnovabili e delle risorse forestali, nonché dei siti e dei servizi per la produzione di energia elettrica[44]; rientra, invece, nella legislazione concorrente l'esportazione da una provincia ad altra parte del Canada della produzione primaria da risorse naturali non rinnovabili e forestali e della produzione derivante dai servizi per la generazione dell'energia elettrica (a patto che le leggi provinciali non autorizzino sperequazioni sui prezzi o discriminazioni)[45]; infine, è prevista una potestà legislativa concorrente in materia di tassazione delle risorse indicate e sulla produzione di energia[46].

Le intenzioni del legislatore costituzionale, dunque, sembrerebbero sancire una vittoria delle province occidentali, che vedono la propria autorità in materia progressivamente ampliarsi. Tuttavia, pur consapevole dell'importanza dell'espressa indicazione della potestà legislativa provinciale, parte della dottrina non ha mancato di manifestare il proprio scetticismo in relazione alla concreta portata dell'art. 92A, al punto da poter affermare che, in fin dei conti, il quadro complessivo non è sostanzialmente mutato rispetto all'impostazione previgente[47]. La "paura provinciale" in merito agli sconfinamenti del livello federale, infatti, è confermata dal fatto che gran parte delle dispute legali in materia ha il compito di stabilire i confini tra la competenza federale e quella provinciale. In altre parole, decretare dove finisce l'autorità del livello inferiore a favore del prevalente interesse nazionale (rectius, federale) resta operazione complessa che viene risolta non univocamente dalla stessa giurisprudenza. Proprio allo scopo di risolvere le problematiche attinenti ai rapporti tra i diversi livelli di governo, le Corti canadesi hanno elaborato alcuni interpretative tools per sancire la preminenza del c.d. federalismo cooperativo. Infatti, le varie dottrine del pith and substance[48], degli ancillary powers[49], del double aspect[50], del paramountcy and interjurisdictional immunity[51], sono state applicate dai giudici canadesi affinché la formale divisione dei poteri non confliggesse con i fini condivisi dai diversi livelli, né intaccasse il normale funzionamento degli statutes emanati rispettivamente da autorità provinciali e federali.

Prima ancora che in relazione all'energia, la tendenziale preferenza per la competenza federale in materie trasversali di rilevanza nazionale è ben evidenziata dalle riflessioni prodotte in tema di ambiente. Sul punto, la difficoltà nel fissare la competenza provinciale o federale è dettata innanzitutto dall'assenza di qualsiasi riferimento espresso all'ambiente nella Carta Costituzionale. Come evidenziato dal giudice La Forest nella causa Friends of the Oldman River Society v. Canada (Minister of Transport) «"Environmental management" does not, under the existing situation, constitute a homogeneous constitutional unit. Instead, it cuts across many different areas of constitutional responsibility, some federal and some provincial. And it is no less obvious that "environmental management" could never be treated as a constitutional unit under one order of government in any constitution that claimed to be federal, because no system in which one government was so powerful would be federal»[52]. Questo non significa che la tutela dell' ambiente sia assolutamente assente nella Costituzione canadese, piuttosto venendo in evidenza una giurisdizione condivisa e sinergica. A tal proposito, viene in aiuto l'art. 91 della Costituzione, che prevede la potestà legislativa esclusiva del Parlamento Canadese in una serie di materie espressamente individuate, alcune delle quali rilevanti per la materia ambientale[53]. In aggiunta, nello stesso articolo 91 si prevede una potestà legislativa federale esclusiva e residuale che espande la competenza centrale, permettendo al Parlamento e al Senato di legiferare «for the Peace, Order, and good Government of Canada» (c.d. POGG Power). La peculiarità del POGG Power è data dal fatto che lo stesso viene attivato in tre casi specifici: in tutte le questioni non specificamente assegnate alla competenza esclusiva provinciale ex artt. 92 e 92 A della Costituzione[54] (gap branch); quando l'interferenza federale nelle competenze provinciali sia dettata dalla necessità di affrontare una situazione di emergenza (emergency branch); nelle materie formalmente ed in origine appartenenti alla potestà legislativa provinciale, ma sostanzialmente riconducibili a tematiche di interesse nazionale (national concern branch)[55]. Data l'elasticità dei parametri, il POGG Power è stato utilizzato per espandere le competenze federali a spese di quelle provinciali, specialmente facendo riferimento al national concern branch, oggetto di plurime storiche decisioni tese ad individuare la definizione di "matter of sufficient national concern"[56]. Ben si comprende, allora, la tensione tra le overlapping jurisdictions anche in materia di tutela ambientale e produzione di energia: da un lato, la competenza esclusiva delle Province sulle proprie risorse naturali (che, evidentemente, influenzano sia la salvaguardia dell'ambiente che la produzione di energia), dall'altro, l'utilizzo del potere federale per attrarre al livello centrale la competenza in materie strategiche non espressamente contemplate in Costituzione. Il rischio ben evidenziato in dottrina è che la politica federale divenga un vero e proprio «cavallo di Troia» capace di sconvolgere gli equilibri del federalismo canadese[57]. Tali criticità sono apparse con chiarezza in importanti casi che hanno richiesto l'intervento della Corte Suprema del Canada.

In primis, va dato atto della questione di legittimità costituzionale del Greenhouse Gas Pollution Pricing Act (GGPPA)[58], emanato il 27 marzo del 2018 dall'Autorità federale per ottemperare all'Accordo di Parigi adeguando le quote di emissione di gas serra del Paese. La legge prevede due differenti schemi tariffari sulle emissioni, in particolare imponendo costi aggiuntivi in relazione a 22 combustibili fossili al fine di incoraggiarne la riduzione. Il GGPPA, inoltre, è considerata una legge cedevole (federal backstop), in vigore nelle Province che non hanno adottato un regime più favorevole in materia di prezzi delle emissioni. La facoltà del governo federale di regolamentare il sistema dei prezzi sui gas serra ha destato perplessità tali da far dubitare alcuni governi provinciali (in particolare, Saskatchewan, Ontario ed Alberta) della legittimità costituzionale di tale scelta legislativa, foriera di illegittime interferenze nella giurisdizione delle province. La questione, sollevata innanzi alle rispettive autorità giudiziarie, è stata dapprima risolta in maniera non univoca. Infatti, le Corti di Appello di Saskatchewan e Ontario hanno dichiarato la legittimità del GGPPA in ragione del POGG Power, nello specifico riferendosi al parametro del national concern branch (sia pure con diverse motivazioni nei rispettivi distretti giudiziari); diversamente, la Corte di Appello di Alberta ha concluso ritenendo la normativa incostituzionale, in quanto emanata in un ambito estraneo alla competenza federale[59]. Contro quest'ultima decisione è stata proposta impugnazione dall'Attorney General di British Columbia innanzi alla Corte Suprema del Canada, che si è pronunciata il 25 marzo 2021, affermando la validità del GGPPA[60]. In particolare, la Suprema Corte ha statuito la legittimità dell'azione federale in quanto tesa a contrastare il fenomeno reale e globale del Climate Change quale «grave threat to humanity's future». Alla premessa politica e fattuale segue l'analisi della normativa per verificare la sua tenuta costituzionale in relazione alle attribuzioni federali e provinciali. Facendo uso di argomentazioni teleologiche e sistematiche (seguendo la dottrina del pith and substance), la Corte chiarisce che la ratio del GGPPA (true subject matter) consiste nello stabilire degli standard nazionali minimi sul prezzo dei gas serra per ridurre la loro emissione[61]. Il fine della legge è considerato non solo legittimo, ma anche opportuno e necessario per ottemperare agli obblighi internazionali derivanti dalle Convenzioni di cui il Canada è parte contraente. Infatti, un approccio esclusivamente provinciale sarebbe insufficiente ed inefficace, dal momento che la portata globale del cambiamento climatico dimostra di per sé la necessità di uno sforzo cooperativo a livello nazionale e internazionale. Conseguentemente, un intervento "solitario" delle province minaccerebbe la capacità del Canada «to meet its international obligations, which in turn hinders Canada's ability to push for international action to reduce GHG emissions». Stante l'importanza cruciale del carbon pricing nella riduzione delle emissioni di gas serra, unitamente all'impossibilità per le province di attuare misure efficaci, il Chief Justice Wagner ha ritenuto che l'individuazione di standard minimi rientrasse pienamente tra le questioni di rilevanza nazionale, da cui la legittimità dell''interferenza' federale. Tuttavia, per stigmatizzare eccessive limitazioni all'autonomia provinciale (sicuramente contrarie al federalismo cooperativo), i giudici canadesi hanno conclusivamente ricordato, da un lato, che le province sono libere di disciplinare la materia a patto che rispettino gli standard della legislazione federale; dall'altro, che il criterio del "minimum national standard" non si estende a tutti i casi in cui le attribuzioni provinciali si interfacciano con la questione del cambiamento climatico, essendo lo stesso applicabile al solo profilo del Greenhouse Gas pricing[62]. Nel caso in specie, dunque, la Corte mostra di ritenere prevalente la regolamentazione federale in virtù della rilevanza strategica della materia e del fenomeno globale del cambiamento climatico.

Diversa, invece, la conclusione raggiunta in una recente decisione della Suprema Corte, che ha dichiarato incostituzionale l'Impact Assessment Act del 2019 (IIA)[63]. Tale legge, unitamente alla normativa attuativa di dettaglio (Physical Activities Regulations), ha lo scopo di proteggere l'ambiente ed altri interessi ricadenti sotto la giurisdizione federale attraverso la sottoposizione di determinati progetti ad un procedimento di revisione che contemperi i valori in gioco e tenga in debito conto la sostenibilità ambientale. Oggetto di scrutinio della Corte è la previsione di un'autorizzazione del governo federale per i c.d. "designated project"[64], in particolare relativamente alle attività che possono causare pregiudizievoli effetti «within federal jurisdiction». Ben si comprende come, in base a tale atto, la prosecuzione di un'opera sia non solo soggetta a rallentamenti e costi elevati, ma anche fortemente influenzata dalla politica federale. Per tali ragioni, il governo di Alberta ha richiesto una advisory opinion alla Corte di Appello in merito alla legittimità costituzionale dell'IIA. L'Autorità Giudiziaria si è pronunciata nel settembre del 2019 considerando la normativa incostituzionale nella sua totalità[65]. Diversamente, la Suprema Corte canadese, investita della questione, ha ritenuto la legge legittima nella parte relativa alle opere finanziate o eseguite dalle autorità centrali su territori federali o al di fuori del Canada, mentre ha considerato la regolamentazione dei progetti designati incostituzionale nella parte in cui definisce «the effects within federal jurisdiction» utilizzando criteri vaghi ed elastici[66]. Infatti, a parere dei giudici, lo schema dei progetti designati non si limita a regolare gli effetti sulla competenza federale, ma richiede al decisore pubblico di considerare, nel sottoporre l'opera alla valutazione d'impatto secondo l'IIA, una serie di fattori di larga portata, conferendo un potere di regolamentazione praticamente illimitato, indipendentemente dal fatto che il Parlamento abbia o meno la competenza di regolamentare un'attività nella sua interezza. Inoltre, la stessa definizione di effects within  federal jurisdiction è ex se ampia e generica ed esorbita dai limiti della competenza federale indicati nella Costituzione. Secondo la maggioranza dei giudici, tale interpretazione non è accettabile neanche facendo riferimento al national concern branch ed al POGG power, essendo, viceversa, un fattore che mina l'equilibrio federale delineato in Costituzione, interferendo illegittimamente sulle materie rimesse alla competenza provinciale[67]. Il legislatore, infine, ha modificato l'Impact Assessment Act con il Budget Implementation Act del 2024[68], avallando l'interpretazione della Suprema Corte e ridefinendo gli adverse effects within federal jurisdiction come non-negligible adverse change in relazione a materie di stretta competenza federale[69].

Dalla casistica esaminata emerge come anche nell'ordinamento canadese vi sia il rischio di un'usurpazione di attribuzioni in favore del livello federale. In questo caso, tuttavia, a differenza del modello italiano, le materie dell'energia (e dell'ambiente) non sono espressamente indicate nel dettato costituzionale, essendo rimesso esclusivamente all'intervento del formante giurisprudenziale la soluzione delle concrete actiones finium regundorum portate alla sua attenzione nei singoli casi. A riguardo, la facoltà del livello federale di attrarre ambiente ed energia alla propria competenza alla luce del POGG Power, unitamente all'ontologica evanescenza dei confini di tali materie, porta, in molteplici casi, le Corti canadesi a pronunciarsi limitando l'autonomia provinciale. D'altra parte, nell'attuare il bilanciamento, i giudici utilizzano strumenti interpretativi e parametri indeterminati ed elastici, tanto da far temere che la necessaria flessibilità costituzionale possa tramutarsi in intuizionismo/ soggettivismo giudiziario, con il rischio di passare dal ponderato compromesso al mascherato arbitrio.

 

4. Conclusioni

Resta, in ogni caso, un punto fermo. Non è casuale che due sistemi profondamente diversi (trattandosi di un paese di common law ed uno di civil law) adottino un approccio similare nell'affrontare problematiche che involgono il governo dell'energia. Infatti, sia che la si consideri un'applicazione del POGG Power, sia che la si chiami chiamata in sussidiarietà, è evidente la preferenza accordata alla gestione della materia al più alto livello di governo. Il dato è ineludibile e pone interrogativi altrettanto pressanti. Bisognerebbe, infatti, domandarsi se non sia forse l'importanza stessa della materia dell'energia a richiedere (sia in linea teorica che in una prospettiva pragmatica) una disciplina unitaria nazionale. Si è, infatti, visto, sia pur brevemente, che le implicazioni connesse al tema sono varie e spaziano dalla politica, al diritto, all'economia. Per tale motivo, si è avvertita la necessità di considerare il diritto dell'energia quale branca autonoma e trasversale, in maniera non dissimile dalla ricostruzione dottrinale e giurisprudenziale seguita nell'ordinamento italiano a partire dagli ani ‘70 per riconoscere dignità autonoma al diritto dell'ambiente. Si può sicuramente affermare che la sfida è stata accolta, come dimostrato dalla innovativa definizione del diritto dell'energia proposta da Bradbrook nel 1996. In particolare, l'Autore si riferisce ad una branca che «identifica e analizza le questioni legali associate allo sfruttamento di tutte le fonti di energia primarie e secondarie, dove lo sfruttamento si riferisce a qualsiasi fase del processo che implica la ricerca di una risorsa e la sua utilizzazione commerciale. Regola l'assegnazione di diritti e doveri relativi allo sfruttamento di tutte le risorse energetiche tra individui, tra individui e governo, tra governi e tra Stati»[70]. Una disciplina "inglobante" basata su principi[71] e che assume ulteriore rilevanza anche alla luce della transizione energetica attuata a livello globale nell'ottica del contrasto al cambiamento climatico.

La crescente implementazione di tale disciplina e le ricostruzioni avanzate in relazione al suo oggetto, che si lega, da un lato, allo sviluppo presente e delle future generazioni, dall'altro, al corretto funzionamento degli aspetti essenziali della vita umana, potrebbero condurre a considerare l'energia un diritto fondamentale, quantomeno in relazione all'accesso al suo utilizzo. L'esempio offerto da alcune Costituzioni europee[72], nonché le considerazioni di parte della dottrina[73], spingono, infatti, ad interrogarsi sulla capacità dell'energia di porsi come dovere inderogabile di solidarietà politica, economica e sociale ex art. 2 Cost., ovvero quale fattore che favorisce il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione  all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese ex art. 3 Cost. La suggestiva riflessione potrebbe essere il punto di partenza per un serio (e propriamente giuridico) bilanciamento tra valori (se non contrapposti, quantomeno) da sintetizzare correttamente.



[1] C.M. Cipolla, Le fonti d'energia nella storia dell'umanità, in Econ. Intern. Fonti en., V, 1961, pp. 773-787.

[2] C. Petteruti, Diritto dell'ambiente e dell'energia. Profili di comparazione, Napoli, 2020, riporta in particolare l'esempio della legislazione in Germania, ove è stato istituito un sistema di accesso alla rete attraverso il controllo della Bundesnetzagentur, organo di regolamentazione con il compito di assicurare una fornitura di corrente elettrica e gas efficace, sicura, economicamente vantaggiosa e rispettosa dell'ambiente. Similmente, nei Paesi Bassi, con la Legge sul settore elettrico del 1998, si è optato per un controllo in materia tramite autorizzazione ministeriale. Inoltre, guardando alle esperienze di stati extraeuropei, l'Autore fa riferimento alla scelta della Cina di incrementare il ruolo privato nel settore energetico e, allo stesso tempo, di implementare l'efficiente approvvigionamento e dispacciamento dell'energia, unitamente all'obiettivo di favorire settori economici correlati all'ambiente e di ridurre di conseguenza l'inquinamento.

[3] Per fonti di energia tradizionali si intendono, principalmente, i combustibili fossili (come il petrolio, il carbone, il gas naturale). In mancanza di una definizione esaustiva di tali fonti, la caratteristica comune è da rinvenirsi nell'esauribilità della risorsa da cui l'energia deriva.

[4] Per approfondire sull'era dell'Antropocene v. P. Crutzen, Benvenuti nell'Antropocene. L'uomo ha cambiato il clima, la Terra entra in una nuova era, Mondadori 2005; N. Castree, The Anthropocene and Geography I: The back story, in Geography Compass, 2014, 8, 7, p. 436; E. P. Schioppa, Antropocene. Una nuova epoca per la Terra, una sfida per l'umanità, Il Mulino, Bologna, 2021; cfr. anche, D. Amirante, Costituzionalismo ambientale. Atlante giuridico per l'Antropocene, Bologna, 2022.

[5] Il riferimento è all'evoluzione del diritto internazionale ambientale. La nascita di questo campo si fa risalire alla Conferenza delle Nazioni Unite di Stoccolma del 1972 sull'ambiente umano, che ha portato alla conclusione di numerosi trattati di carattere settoriale (c.d. fase del funzionalismo ambientale). In seguito, l'approccio settoriale è stato superato a favore di una cooperazione internazionale sulle questioni ambientali globali, disciplinate da Convenzioni a vocazione universale (c.d. fase del globalismo ambientale). Centrale risulta, a riguardo, la Conferenza della Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo, svoltasi a Rio De Janeiro nel 1992. In tale sede si è inteso adottare una strategia globale in relazione ad eventi di scala planetaria (cambiamenti climatici, deforestazione, perdita della biodiversità), tenendo conto del nuovo concetto di "sviluppo sostenibile", elaborato e definito nel c.d. Rapporto Brundtland del 1987. Per approfondire, v. G. Cordini-P. Fois-S. Marchisio (a cura di), Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati, Giappichelli, 2024; P. Dell'Anno- E. Picozza (a cura di), Trattato di Diritto dell'ambiente, Vol. I,2012; P.S. Chasek, Earth Negotiations: Analysing Thirty Years of Environmental Diplomacy, UNU Press, Tokyo, 2001. Sul principio dello sviluppo sostenibile v. il Rapporto della Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo (c.d. Rapporto Brundtland), Our Common Future, Oxford, 1987 e per approfondire v. W. Kates et al, What is sustainable development, in Environment, Vol. 47 n. 3, Haldref Publications, Philadelphia, 2005.

[6] Sono fonti di energia rinnovabili quelle fonti sempre disponibili in natura e, pertanto, non soggette ad esaurimento. La definizione delle stesse è stata fornita sia nel panorama internazionale che nazionale. In particolare, nella Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, le stesse sono state definite come «energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas». La nozione è riscontrabile anche nello Statuto dell' International Renewable Energy Agency  (IRENA), il cui articolo 3 prescrive: «In this Statute the term "renewable energy" means all forms of energy produced from renewable sources in a sustainable manner, which include, inter alia: bioenergy; geothermal energy; hydropower; ocean energy, including inter alia tidal, wave and ocean thermal energy; solar energy; and wind energy». Nella legislazione italiana, il riferimento è, in primis, alla L. n. 308/1982, il cui art. 1 definiva fonti rinnovabili «il sole, il vento, l'energia 1draulica, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione dei rifiuti organıcı ed inorganici o di prodotti vegetali [...] il calore rıcuperabile negli impianti di produzione di energia elettrica, nei fumi di scarico e da impianti termici e processı ındustriali, e le altre forme di energia recuperabile in processi o impianti». La normativa è stata abrogata e sostituita dalla L. n. 10/1991, che ha riprodotto la definizione previgente, aggiungendo tra le fonti rinnovabili la cogenerazione «intesa come produzione combinata di energia elettrica o meccanica e di calore, il calore recuperabile nei fumi di scarico e da impianti termici, da impianti elettrici e da processi industriali, nonché le altre forme di energia recuperabile in processi, in impianti e in prodotti ivi compresi i risparmi di energia conseguibili nella climatizzazione e nell'illuminazione degli edifici con interventi sull'involucro edilizio e sugli impianti». In seguito, il d.lgs. n. 387/2003 e il d.lgs. n. 28/2011 hanno recepito le direttive n. 2001/77/CE e n. 2009/28/CE riallineandosi alla definizione in negativo delle fonti non fossili.

[7] Comunicazione del 30 novembre 2016 della Commissione europea "Energia pulita per tutti gli europei".

[8] Comunicazione della Commissione dell'11 dicembre 2019. Sui recenti sviluppi del diritto ambientale europeo cfr. P. Fois, Il diritto ambientale dell'Unione Europea, in G. Cordini-P. Fois-S. Marchisio (a cura di), Diritto ambientale. Profili internazionali europei e comparati, Giappichelli, 2024, pp. 115 e ss.

[9] Corte di Giustizia UE, c. 275/92 del 24 marzo 1994, Schindler; sul punto, Corte di Giustizia UE, c. 393/92, 27 aprile 1994 ha statuito quanto segue: «è pacifico [...] che l'energia elettrica costituisce una merce ai sensi dell'art. 30 del Trattato. Infatti, essa è considerata merce nell'ambito della nomenclatura doganale comunitaria [...]. Del resto, la Corte ha riconosciuto [...] che l'energia elettrica può rientrare nel campo di applicazione dell'art. 37 del Trattato». Sul dibattito in merito alla considerazione dell'energia come merce o come servizio v. C. Petteruti, op. cit., pp. 91 ss.

[10] Per approfondire la letteratura sulla recente riforma del 2022 v., tra gli altri, M. Cecchetti, La revisione degli articoli 9 e 41 della Costituzione e il valore costituzionale dell'ambiente: tra rischi scongiurati, qualche virtuosità (anche) innovativa e molte lacune, in Forum di Quaderni costituzionali, n. 3/2021; F. Fracchia, L'ambiente nell'art. 9 della Costituzione: un approccio in "negativo", in Dir. econ, 1/2022; R. Montaldo, La tutela costituzionale dell'ambiente nella modifica degli artt. 9 e 41 Cost: una riforma opportuna e necessaria?, in Federalismi.it, 13/2022; R. Fattibene, Una lettura ecocentrica del novellato articolo 9 della Costituzione, in Nomos, 3/2022; .T.E. Frosini, La Costituzione in senso ambientale. Una critica, in Federalismi.it, 23 giugno 2021; D. Amirante, L'ambiente entra fra i principi fondamentali della costituzione italiana, in Costituzionalismo ambientale, 2022.

[11] Si pensi al recente d.lgs. n. 190/2024, recante «Disciplina dei regimi amministrativi per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in attuazione dell'articolo 26, commi 4 e 5, lettera b) e d), della legge 5 agosto 2022, n. 118». Scopo dell'intervento legislativo è la diffusione degli impianti FER attraverso una razionalizzazione e un riordino delle procedure, in linea con le direttive europee.

[12] M. S. Giannini, Diritto pubblico dell'economia, Il Mulino, 1995, definisce la riserva d'impresa come «una statuizione che riconosce solo ad un soggetto, o a soggetti qualificati, la titolarità del diritto d'impresa in ordine a un determinato oggetto; nessun altro soggetto dell'ordinamento può essere titolare del diritto d'impresa in ordine all'oggetto riservato».

[13] Sulla base dell'art. 43 Cost. venne emanata la L. n. 1643/1962, istitutiva dell'Ente nazionale per l'energia elettrica (ENEL) e con trasferimento ad esso delle imprese esercenti le industrie elettriche.

[14] A. Colavecchio, Il nuovo (?) riparto di competenze Stato-Regioni nella materia "energia", in D. Florenzano, S. Manica (a cura di), Il governo dell'energia tra Stato e regioni, Trento, 2009, p. 6.

[15] J. Di Gesù, Il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di energia dal primo regionalismo alla clausola di asimmetria, in Rivista giuridica ISSiRFA, 2/2020, richiama l'attenzione sulla incongrua scelta di «rimettere alla volontà di ventuno diversi centri legislativi le scelte in merito alle politiche di un settore [...] di indubbia rilevanza strategica». A. D'Atena, Diritto regionale, Giappichelli, Torino, I ed., p. 144, critica la scelta di utilizzare il termine «nazionale», da considerare un «impiego non sorvegliato dei comandi "taglia" e "incolla" del programma di videoscrittura usato».

[16] S. Cassese, L'energia elettrica nella legge costituzionale n. 3/2001, in Federalismi.it, nota l'assenza nel dettato costituzionale dei riferimenti a importazione, esportazione, stoccaggio di energia, che «non possono, evidentemente, essere lasciati [...] alla competenza legislativa residuale [...] delle regioni. Per B. Caravita, "Taking Constitution seriously". Federalismo e energia nel nuovo Titolo V della Costituzione, in Federalismi.it, le fasi indicate sono da intendere in senso onnicomprensivo e vanno riferite al governo dell'energia nel suo complesso.

[17] Tra le fonti comunitarie che disciplinano la materia energetica si segnalano la Direttiva Elettrica 96/92/CE e la Direttiva Gas 98/30/CE, rispettivamente sostituite dalla Direttiva 2003/54/CE (Seconda Direttiva Elettrica relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica) e dalla Direttiva 2003/55/CE (Seconda Direttiva Gas relativa a norme comuni per il mercato interno del gas naturale). Si ricorda, inoltre, la Direttiva 2009/28/CE relativa alla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. A riguardo, S. Mangiameli, Regioni e disciplina dell'energia, in Rapporto 2011-2012 di Italiadecide "Il Governo dell'energia", Il Mulino, Bologna, 2012, p. 364, afferma che «il vero riparto delle competenze nella materia dell'energia è quello che risulta dal recepimento delle direttive europee, che finiscono in questa politica, come in altre, per determinare un assetto dei poteri che prende il posto di quello tracciato dalla Carta costituzionale». Per approfondire sulle fonti comunitarie del diritto dell'energia cfr. M. Marotta, L'energia. Normativa di settore nel panorama internazionale, Giappichelli, Torino, 2016.

[18] Punto di riferimento è la L. n. 239/2004 (Legge Marzano), recante «Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia». La normativa, composta da un solo articolo e 121 commi, al comma 1 prevede quanto segue: «Nell'ambito dei principi derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, sono principi fondamentali in materia energetica, ai sensi dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, quelli posti dalla presente legge. Sono, altresì, determinate disposizioni per il settore energetico che contribuiscono a garantire la tutela della concorrenza, la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, la tutela dell'incolumità e della sicurezza pubblica fatta salva la disciplina in materia di rischi da incidenti rilevanti, la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema al fine di assicurare l'unità giuridica ed economica dello Stato e il rispetto delle autonomie regionali e locali, dei trattati internazionali e della normativa comunitaria. Gli obiettivi e le linee della politica energetica nazionale, nonché i criteri generali per la sua attuazione a livello territoriale, sono elaborati e definiti dallo Stato che si avvale anche dei meccanismi di raccordo e di cooperazione con le autonomie regionali previsti dalla presente legge. Sono fatte salve le competenze delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano che provvedono alle finalità della presente legge ai sensi dei rispettivi statuti speciali e delle relative norme di attuazione». Risulta chiaro l'intento di conformarsi, da un lato, alle norme europee, dall'altro, al nuovo riparto di competenze delineato con la Riforma del Titolo V, in coerenza con le pronunce della Corte Costituzionale dopo il 2001 in materia. Le competenze statali sono indicate, in particolare, ai commi 7 e 8. Sul contenuto della Legge Marzano si rimanda a C. Petteruti, op. cit., pp. 157 ss.

Per quanto riguarda, invece, le fonti di energia rinnovabili, il Legislatore è intervenuto in sede di recepimento delle direttive europee con il d.lgs. n. 387/2003, che attribuisce alle regioni il compito di razionalizzazione e accelerazione delle procedure autorizzatorie per la costruzione e l'esercizio di impianti di produzione di energia, integrato dalle «Linee Guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili» approvate in sede di Conferenza Unificata con D.M. 10 settembre 2010. Inoltre, si richiama il d.lgs. n. 28/2011, attuativo della nota Direttiva 2009/28/CE. Recentemente, le normative interne hanno subito delle modifiche e sono state in parte abrogate dal d.lgs. 190/2024, che si inserisce quale fonte di ulteriore semplificazione delle procedure amministrative in tema di fonti rinnovabili.

[19] J. Di Gesù, Il riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di energia dal primo regionalismo alla clausola di asimmetria, in Rivista giuridica ISSiRFA, 2/2020, p. 5. L'Autore richiama le pronunce della Consulta successive alla Riforma del Titolo V, rimarcando come nella maggior parte dei casi i dispositivi delle pronunce siano state, nei fatti, sfavorevoli per le regioni. Nello stesso senso cfr. A. Colavecchio, Il nuovo (?) riparto di competenze Stato-Regioni nella materia "energia", in D. Florenzano - S. Manica (a cura di), Il governo dell'energia tra Stato e Regioni, Trento, 2009, per cui è stato attuato dalla giurisprudenza  un «tentativo di restituire coerenza sistematica (id est: ragionevolezza) al contraddittorio modello di governo dell'energia delineato dalla riforma costituzionale, riaccentrando in capo allo Stato la gran parte delle funzioni [...], sul presupposto della necessità di garantire in modo unitario l'esercizio degli impianti e delle infrastrutture energetiche». Per L. De Bernardin, "Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia": l'esempio di una giurisprudenza costituzionale equilibrata, in R. Tarchi (a cura di), Le competenze normative statali e regionali tra riforma della Costituzione e giurisprudenza costituzionale. Un primo bilancio, Giappichelli, Torino, 2006, p. 80, una diversa soluzione avrebbe comportato una «frammentazione regionale nella gestione e nell'uso delle strutture» che «avrebbe pregiudicato l'utenza e reso inefficiente il sistema».

[20] Corte Cost., sentenza n. 13 del 7 marzo 1964.

[21] v. Corte Cost. sentenza n. 190/1976 sulla competenza provinciale nelle connesse materie di «urbanistica e piani regolatori di tutela del paesaggio e del patrimonio artistico e popolare e di igiene e sanità» (rilevante in tema di localizzazione delle centrali elettriche), nonché Corte Cost. sentenza n. 302/1987 sulle competenze delle province autonome del Trentino Alto-Adige in materia  di utilizzazione di acque pubbliche (connessa, nel caso in specie, all'autoproduzione di energia elettrica con la costruzione, ad opera di un privato, di una centralina idroelettrica).

[22] Corte Cost. sentenza n. 482 del 27 dicembre 1991. A ben vedere, nella pronuncia indicata viene dichiarata l'illegittimità costituzionale di varie norme della L. n. 9/1991, attuativa del Piano Energetico Nazionale (PEN), nella parte in cui «la normativa impugnata [...] non prevede che le funzioni statali si esplichino previa intesa con le province autonome».

[23] V. Pepe, La sussidiarietà nella comparazione giuridica. L'esperienza francese, Napoli, 2003, pp. 26 ss., afferma che «non vi è più un criterio rigido di riparto delle funzioni tra centro e periferia [...]» ma «un criterio [...] di natura flessibile».

[24] Corte Cost. sentenza n. 6/2004.

[25] v. J. Di Gesù, op. cit., p. 6.

[26] Così Corte Cost. sentenza n. 248/2006 in relazione all'art. 1, comma 2, lett. c) della L. n. 239/200, ovvero Corte Cost. sentenza n. 7/2004, in cui è stato affermato il dovere delle Regioni di rispettare le regole a carattere tecnico di provenienza statale e quelle dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas di cui al d. lgs. n. 79/1999 in quanto principi fondamentali.

[27] A dire il vero, con sentenza n. 1/2008, la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di vari commi dell'art. 1 della Legge finanziaria 2006, in particolare nella parte in cui non prevedeva un adeguato coinvolgimento delle regioni nel procedimento finalizzato all'adozione del provvedimento del Ministero delle attività produttive che determina i requisiti organizzativi e finanziari minimi, i parametri di aumento dell'energia prodotta e della potenza installata concernenti la procedura di gara. Si è rimarcato, in questo caso, come si trattasse di normativa di dettaglio (non di principio) violativa dell'art. 117, comma 3, Cost. e non giustificabile neanche alla luce della competenza statale di tutela della concorrenza, dal momento che la normativa irrigidiva il mercato interno dell'energia prevedendo una proroga irragionevole di dieci anni delle concessioni idroelettriche.

[28] Tali materie sono tutte richiamate all'art. 1, comma 1, della L. n. 239/2004, come chiarito alla nota 18, cui si rimanda

[29] Corte Cost. sentenze nn. 166/2009 e 232/2017 hanno ritenuto prevalente la competenza statale per la tutela dell'ambiente rispetto alla competenza concorrente sull'energia. Sul punto, evidenzia la problematicità del coordinamento tra il riparto di competenze in materia di energia e la promozione della cooperazione tra autorità locali, regionali e nazionali C. Petteruti, op. cit., pp. 181 ss.

[30] Ex plurimis, Corte Cost. sentenze nn. 192/2011, 124/2010, 168/2010,  332/2010, 336/2010.

[31] Il riferimento è all'art. 12 del d.lgs. n. 387/2003, che al comma 3 prevedeva un procedimento di autorizzazione alla costruzione o esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, come integrato dalla disciplina tecnica di dettaglio dettata dalle Linee Guida approvate con D.M. 10 settembre 2010. Sul punto, v. Corte Cost. sentenze nn. 11/2014 e 364/2006; in aggiunta, Corte Cost. sentenza n. 194/2010 ha considerato principio fondamentale della materia anche il procedimento autorizzatorio previsto dal d. lgs. n. 28/2011, attuativo della direttiva 2009/28/CE. Si consideri che le norme citate sono state abrogate e sostituite dal recente d.lgs. n. 190/2024.

[32] v. Corte Cost. sentenza n. 282/2009, per cui sono illegittime le norme regionali che limitino la potenza degli impianti per la produzione di energie rinnovabili e quelle che subordinino il rilascio dell'autorizzazione alla produzione di una determinata soglia di quantità di energia.

[33] Corte Cost. sentenza n. 275/2012, che richiama la normativa statale di cui ai d.lgs. n. 387/2003 (unitamente alle Linee Guida approvate con D.M. 10 settembre 2010) e n. 28/2011.

[34] Così J. Di Gesù; op. cit., p. 9, che richiama le sentenze della Corte Costituzionale nn. 22/2011 e 166/2014. Sul punto, criticamente, anche C. Battiato, Regioni ed energie rinnovabili: ancora una volta la scure della Corte Costituzionale si abbatte su norme regionali relative alla localizzazione di impianti di energia da fonti rinnovabili, in www.giurcost.org.

[35] P. Carpentieri, Relazioni e conflitti tra ambiente e paesaggio, in Federalismi.it, 13/2023, p. 114.

[36] Recentemente, la questione è stata affrontata da Corte Cost., sentenza n. 258/2020 (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 10 e 12 della L. n. 34/2019  della Regione Puglia in quanto poneva condizioni al rinnovo degli impianti per un migliore inserimento nel paesaggio) e da Corte Cost., sentenza n. 121/2022 (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della L. n. 30/2021 della Regione Basilicata, che riduceva i siti eleggibili per l'installazione di impianti di produzione di energia eolica, imponendo anche uno studio anemologico con rilevazioni di almeno tre anni). Nelle pronunce indicate la Consulta, attraverso un ampio excursus delle sentenze in materia, riepiloga il proprio consolidato orientamento riaffermando ancora una volta il favor evidente per le politiche di massimo sviluppo delle FER.

[37] E' stata data attuazione alla normativa con il D.M.  21 giugno 2024, che ha previsto, tra le altre cose, dei limiti alla discrezionalità delle Regioni in termini di classificazione e obiettivi annui di MW da raggiungere fino al 2030.

[38] Corte Cost., sentenza n. 28/2025.

[39] TAR Lazio, Roma, sentenza n.  9155 del 13 maggio 2025.

[40] L'art. 7, commi 2 e 3, prevede quanto segue: «Per l'individuazione delle aree idonee le regioni tengono conto:  a) della massimizzazione delle aree da individuare al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella  A dell'art. 2; delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità  dell'aria e dei corpi idrici, privilegiando l'utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree  a  destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l'idoneità di aree  non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse  le superfici agricole non utilizzabili, compatibilmente con le caratteristiche e  le disponibilità delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonché tenendo in considerazione  la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il  potenziale di sviluppo della rete stessa; b) della possibilità di classificare le superfici o le aree come idonee differenziandole sulla base della fonte, della taglia e  della tipologia di impianto; c) della possibilità di fare salve le aree idonee di cui all'art. 20, comma 8 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n 199 vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto; sono considerate non idonee le superfici e le aree che sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi dell'art. 10 e dell'art. 136, comma 1, lettere a) e  b)  del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42. Le  regioni possono individuare come non idonee le superfici e le aree che sono ricomprese nel perimetro degli altri beni sottoposti a tutela ai sensi del  medesimo decreto legislativo 22 gennaio 2004,  n. 42. Le regioni possono stabilire una fascia di rispetto dal perimetro dei beni sottoposti a tutela di ampiezza differenziata a seconda della tipologia di impianto, proporzionata al bene oggetto di tutela, fino a un  massimo di 7 chilometri. Per i rifacimenti degli impianti in esercizio non sono applicate le norme previste nel precedente periodo. Resta ferma, nei procedimenti autorizzatori, la competenza del Ministero della cultura a esprimersi in relazione ai soli progetti localizzati in aree sottoposte a tutela secondo quanto previsto dall'art. 12, comma 3-bis, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387. Nell'applicazione del presente comma deve essere contemperata la necessità di tutela dei beni con la garanzia di raggiungimento degli obiettivi di cui alla Tabella A dell'art. 2 del presente decreto».

[41] J. Di Gesù, op. cit., p. 17; cfr. anche A. D'Atena, Le Regioni dopo il Big Bang. Il viaggio continua, Giuffrè, Milano, 2005, p. 119. A ben vedere, il pentimento del legislatore è indirettamente dimostrato dal DDL Costituzionale del 2016 (c.d. Riforma costituzionale Renzi-Boschi), che, tra le altre cose, proponeva una modifica dell'art. 117 Cost. riconducendo la «produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell'energia» tra le materia di legislazione statale esclusiva ex art. 117, comma 2, lett. v) Cost. La legge costituzionale, tuttavia, non è stata approvata in virtù degli esiti del referendum del 4 dicembre 2016.

[42] C. Milliken, R. Goyal, R. McNamara, Energy Laws and Regulations 2025 - Canada, consultabile al sito https://www.globallegalinsights.com/practice-areas/energy-laws-and-regulations/canada/; nello specifico, nel 2023 il Canada è stato il quarto produttore e il terzo esportatore mondiale di petrolio con l' 11% di riserve petrolifere mondiali accertate.  La maggior parte dell'olio greggio canadese è prodotto nella provincia dell'Alberta (84%), con percentuali molto minori nelle province occidentali British Columbia (3%), Saskatchewan (9%), e Manitoba (circa 1%). Inoltre, il Canada è il quinto produttore di gas naturale, anche in questo caso principalmente dall'Alberta (più del 60%, tenendo comunque conto che la produzione media giornaliera di gas naturale commerciale è aumentata nel 2023). La principale fonte di energia rinnovabile del paese è l'energia idroelettrica, che compone il 62% dell'elettricità generata, anche considerando che il Canada è il terzo generatore di energia idroelettrica nel mondo (8,6%).

In generale, il Canada è il settimo produttore di elettricità a livello mondiale, avendo prodotto approssimativamente 633.2 TWh nel 2023. I dati del National Inventory Report, 1990-2022: Greenhouse Gas Sources and Sinks in Canada, Part 3, Annex 13 evidenziano come nel 2022 circa l'85% dell'energia canadese derivi da fonti rinnovabili e non emittenti (c.d. non greenhouses gas emitting sources), in particolare da idroelettrico (64%), nucleare (14%) e altre rinnovabili, tra cui vento, sole e maree (7%). E' interessante notare la forte espansione nel corso del ventunesimo secolo della produzione di energia da fonti rinnovabili, tanto da poter ritenere, secondo quanto indicato nel  Regulatory Impact Analysis Statement (2024) for the Clean Electricity Regulations, che il Canada entro il 2050 produrrà la quasi totalità della propria energia da fonti non emittenti (in particolare con sensibili incrementi nei settori dell'eolico e del solare).

[43] Le scelte delle singole province differirono sensibilmente in ragione dei diversi interessi sottesi alla gestione delle rispettive risolse naturali. Ad esempio, a partire dal Leduc No. 1 struck oil del 1947 il governo di Alberta e quello federale intrapresero una serie di azioni in relazione alla regolazione delle energie non rinnovabili della provincia. In particolare, all'emanazione del Pipe Lines Act federale la provincia di Alberta rispose con il Gas Resources Preservation Act, introducendo un sistema autorizzatorio sulle esportazioni di gas dalla provincia e creando l'Alberta Gas Trunk Line (un sistema di trasporto e raccolta di gas naturale sotto il controllo legislativo della provincia). Tra le iniziative accolte favorevolmente, si segnala, invece, la raccomandazione del 1957 della Royal Commission on Energy, che spronò il governo federale a creare il National Energy Board (NEB) nel 1959 per regolamentare le questioni relative al settore energetico di competenza federale (compresa la costruzione e la gestione di oleodotti interprovinciali e internazionali) e ad adottare la National Oil Policy nel 1961, che permise ad Ottawa di creare un sano mercato interno sul petrolio delle province occidentali. Per approfondire la storia delle normative succedutesi prima dell'art. 92° Cost. v. B. Downey, R. Martz,  P.G. Chiswell, R. Salamucha, Federalism in the patch: Canada's Energy Industry and Constitutional Division of Powers, in Alberta Law Review, 58:2, 2020, pp. 275 ss.

[44] Art. 92A (1): «In each province, the legislature may exclusively make laws in relation to:a. exploration for non-renewable natural resources in the province; b. development, conservation and management of non-renewable natural resources and forestry resources in the province, including laws in relation to the rate of primary production therefrom; and c. development, conservation and management of sites and facilities in the province for the generation and production of electrical energy».

[45] Art. 92A (2): «In each province, the legislature may make laws in relation to the export from the province to another part of Canada of the primary production from nonrenewable natural resources and forestry resources in the province and the production from facilities in the province for the generation of electrical energy, but such laws may not authorize or provide for discrimination in prices or in supplies exported to another part of Canada». Peraltro, al paragrafo 3 del medesimo articolo è previsto che, in caso di conflitto tra una legge provinciale ed una federale in relazione alle materie indicate nel paragrafo 2, la legge federale prevalga.

[46] Art. 92A (4): «In each province, the legislature may make laws in relation to the raising of money by any mode or system of taxation in respect of: a. non-renewable natural resources and forestry resources in the province and the primary production therefrom, and b. sites and facilities in the province for the generation of electrical energyand the production therefrom [...]»

[47] S. Blackman et Al., The Evolution of Federal/Provincial Relations in Natural Resources Management, Alberta Law Review, vol. 32/3, 1994; Cfr. anche R. D Cairns, M. A. Chandler & W. D. Moull, The Resource Amendment (Section 92A) and the Political Economy of Canadian Federalism, Osgoode Hall Law Journal, vol. 23/2, 1985.

[48] E' considerato il punto di partenza di ogni analisi del federalismo canadese. Secondo questa dottrina, quando il true character di una legge (che emerge dal suo scopo e dagli effetti prodotti) rientra nella giurisdizione dell'organo legislativo emanante, la stessa sarà generalmente considerata valida, nonostante possa avere anche effetti al di fuori della giurisdizione. Si tratta di un'operazione interpretativa di carattere teleologico.

[49] Secondo cui una legge può validamente invadere la giurisdizione di un altro livello di governo se la parte intrusiva della legge è "necessariamente incidente" ed integrata in uno schema più ampio che sia esso stesso valido secondo il pith and substance.

[50] Si mette qui in evidenza l'eventualità che una questione legislativa non ricada esclusivamente in una materia determinata. In questo senso, alcune leggi possono avere più di un aspetto. V. sul punto, P. W. Hogg, Constitutional Law of Canada, Thomson Reuters- Carswell,  Scarborough, Ont, 2019: «subjects which in one aspect and for one purpose fall within Sect. 92, may in another aspect and for another purpose fall within Sect. 91». Pertanto, nelle rispettive sfere di competenza entrambi i livelli di governo possono agire validamente per raggiungere certi fini in relazione alla stessa questione.

[51] Usato per risolvere i conflitti tra diversi livelli di governo nel regolare la divisione dei poteri. Secondo la dottrina del Federal Paramountcy, quando il conflitto non possa essere risolto facendo affidamento sul cooperativismo federale la legge federale deve prevalere. Mentre il Federal Paramountcy invalida nella sua totalità la legge provinciale che contrasti irrimediabilmente con il governo federale, l'interjurisdictional immunity preserva la parte della legge provinciale non contrastante con la competenza federale.

[52] Friends of the Oldman River Society v. Canada (Minister of Transport), [1992] 1 SCR 3.

[53] B. Downey, R. Martz,  P.G. Chiswell, R. Salamucha, Federalism in the patch: Canada's Energy Industry and Constitutional Division of Powers, in Alberta Law Review, 58:2, 2020, p. 285, includono, tra le materie che influenzano la materia ambientale «trade and commerce; taxation; navigation and shipping (including navigable waters); inland fisheries; Indigenous peoples; the criminal law; and, in conjunction with section 92(10), interprovincial or international works and undertakings, such as railways and pipelines».

[54] B. Downey et Al., op. cit., pp.285-286. Gli Autori, in particolare, fanno riferimento alle seguenti materie di competenza provinciale: «direct taxation within the province; the management and sale of public lands belonging to the provincial Crown; local works and undertakings; property and civil rights in the province;92 all matters of a private or local nature in the province; and various matters related to the development of non-renewable resources and the generation of electricity in the province».

[55] P. W. Hogg, Constitutional Law of Canada, Thomson Reuters- Carswell,  Scarborough, Ont, 2019: « The framers of the Constitution could not foresee every kind of law which has subsequently been enacted; nor could they foresee social, economic and technological developments which have required novel forms of regulation. But they did make provision for new or unforeseen kinds of law. [...] Any matter which does not come within any of the specific classes of subjects will be provincial if it is merely local or private [...] and will be federal if it has a national dimension (s. 91 opening words)».

[56] Sul National concern Branch v. B. Downey et Al., op. cit., pp. 290 ss.

[57] La definizione è ripresa dalla causa Friends of the Oldman River Society v. Canada (Minister of Transport), [1992] 1 SCR 3. Sul punto, v. anche W. Lahey, Justice Gerard V La Forest and the Uncertain Greening of Canadian Public Law, in Canadian Business Law Journal, Vol. 54, 2013, p. 227: «On the one hand, there is an obvious policy rationale for national approaches in a field of policy where the problems are by their nature borderless. On the other hand, environmental regulation in Canada overwhelmingly means regulation of the development of natural resources, which is largely a provincial jurisdiction that is central to provincial economic development».

[58] SC 2018, c 12, s 186 [GGPPA].

[59] Per approfondimenti sulle decisioni e sulle argomentazioni delle Corti di Appello sul GGPPA cfr. B. Downey, et Al., op. cit., pp. 291-299. V. anche T. Brook, Climate change and Canadian federalism: examining the constitutional dispute sparked by the Greenhouse Gas Pollution Pricing Act, 2020, https://cba.org/sections/environmental-energy-and-resources-law/member-articles/climate-change-and-canadian-federalism-examining-the-constitutional-dispute-sparked-by-the-greenhou/

[60] References re Greenhouse Gas Pollution Pricing Act, 2021 SCC 11 (CanLII), [2021] 1 SCR 175.

[61] « The true subject matter of the GGPPA is establishing minimum national standards of GHG price stringency to reduce GHG emissions».

[62] Per una panoramica generale sulle decisioni inerenti al GGPPA v. R.J. King, J. Fairfax,  J.A. Sadikman, I. Crew, Supreme Court ends uncertainty over constitutionality of federal carbon pricing framework, 2021, https://www.osler.com/en/insights/updates/supreme-court-ends-uncertainty-over-constitutionality-of-federal-carbon-pricing-framework/.

[63] S.C. 2019, c. 28, s. 1.

[64] Nella normativa sono indicate due modalità per individuare un'attività che possa essere considerata un progetto designato: in primis, la normativa di dettaglio prevede una serie di attività che sono regolate dal IIA (c.d. Project List). Tale lista include miniere, centrali idroelettriche, impianti di estrazione e stoccaggio di gas e petrolio. Tali progetti possono essere totalmente localizzati nei confini di una provincia e, di conseguenza, possono essere regolati primariamente dalle autorità provinciali. In secondo luogo, l'IIA dà facoltà al Ministro dell'ambiente e del cambiamento climatico di individuare un'attività che non sia nella Project List se ritiene che possa avere effetti pregiudizievoli in relazione alla competenza federale ovvero che vi siano public concerns sugli effetti dell'attività tali da giustificare la designazione.

[65] Sul giudizio della Corte di Appello di Alberta si rimanda a M. Killoran, S. Duncanson, S. Sutherland, L. Rodrìguez, C. Brinker, Alberta Court of Appeal finds federal impact assessment regime uncostitutional, 2022, in https://www.osler.com/en/insights/updates/alberta-court-of-appeal-finds-federal-impact-assessment-regime-unconstitutional/?pdf=1

[66] Reference re Impact Assessment Act, 2023 SCC 23.

[67] Per approfondire le dissenting opinions e le implicazioni della pronuncia, v. M. Killoran, , S. Duncanson, S. Sutherland, B. Noga, A. Gupta, M. Dick, M. O'Neill Sanger, Supreme Court of Canada finds the Federal Impact Assessment Act uncostitutional, 2023, in https://www.osler.com/en/insights/updates/supreme-court-of-canada-finds-the-federal-impact-assessment-act-unconstitutional/?pdf=1.

[68] S.C. 2024, c. 17.

[69] C. Milliken, R. Goyal, R. McNamara, op. cit.

[70] A. Bradbrook, Energy Law as an Academic Discipline in Journal of Energy & Natural Resources Law, 1996, richiamato da L.M. Pepe, Il diritto dell'energia fondato su principi. La transizione ecologica come giustizia energetica, in Rivista Giuridica AmbienteDiritto.it, 4/2021. L'Autore, in particolare, definisce il diritto dell'energia un diritto sostanziale trasversale o transdisciplinare.

[71] Tra gli studiosi che hanno elaborato i principi del diritto dell'energia v. R.J. Heffron et Al., A treatise for Energy Law, Journal of World Energy Law and Business, 2018, 11, nonché la disamina di L.M. Pepe, op. cit., e L.M. Pepe, Il diritto dell'energia come scienza autonoma, in SinTesi, 1/2019.

[72] Si veda, ad esempio, l'art. 45 della Costituzione spagnola, che prevede quanto segue: «Tutti hanno il diritto di utilizzare un ambiente idoneo allo sviluppo della persona, così come il dovere di conservarlo. I poteri pubblici veglieranno sull'utilizzazione razionale di tutte le risorse naturali [inclusa l'energia] al fine di proteggere e migliorare la qualità di vita, difendere e ripristinare l'ambiente, appoggiandosi all'indispensabile solidarietà collettiva».

[73] C. Petteruti, op. cit., pp.64 ss.