Storia Economica dell'etą contempor


Elia Fiorenza*

Forgiando il Futuro: Un viaggio nella storia economica della Ferriera Filangeri di Cardinale

 

 

*Università della Calabria

 

 

 

Riassunto: Il presente studio esplora la storia economica della Ferriera Filangeri di Cardinale in Calabria, contestualizzandola nel panorama industriale del Regno delle Due Sicilie nel XIX secolo. Fondato da Carlo Filangieri, il complesso siderurgico rappresentava un centro di produzione avanzato per l'epoca, sfruttando risorse naturali locali e innovazioni tecnologiche. La ricerca analizza le dinamiche economiche e politiche dell'epoca, evidenziando la controversia tra protezionismo e libero scambio. La Ferriera Razzona, con le sue fucine e maglietti, divenne una delle più importanti nella produzione di ferro malleabile. Il sito, ora in rovina, necessita di conservazione e restauro per preservare la sua memoria storica e il suo significato culturale.

 

 

 

 

Introduzione

Negli ultimi decenni in Calabria si è registrata un'intensa attività di ricerca sulle memorie dell'Archeologia Industriale, sebbene con un ritardo rispetto ad altre regioni d'Italia e del mondo. Le indagini metodiche, condotte attraverso diverse discipline[i], hanno consentito di individuare, censire e documentare le tracce delle intense attività proto-industriali presenti sul territorio calabrese, quali filande, mulini idraulici, tonnare, centrali idroelettriche, miniere, ferriere e altre strutture affini. Questi resti rivestono un'importanza storico-culturale di rilievo, fornendo preziose informazioni sulle pratiche produttive e lavorative del passato[ii]. Contemporaneamente agli sforzi di ricerca, nuove istituzioni eco-museali[iii] stanno emergendo per la raccolta[iv], conservazione e valorizzazione integrata delle risorse naturali e antropiche, sia materiali che immateriali, legate al lavoro industriale. Questo processo, in atto da circa un ventennio, mira al recupero della memoria collettiva e alla ricostruzione della storia di un determinato contesto territoriale, generando dinamiche sociali e turistiche positive.

I resti della realtà produttiva possono così rivestire un ruolo significativo nell'economia locale, fungendo da propulsore per lo sviluppo turistico.

Nel contesto della conservazione e della valorizzazione degli importanti complessi industriali del passato, guardando casi simili presenti sul territorio regionale, come ad esempio il villaggio siderurgico di Mongiana[v], sarebbe opportuno considerare la proposta di vincolare le aree dove sono presenti i resti fisici del cosiddetto "Casino" della Razzona[vi].

Nei primi decenni del XIX secolo, il Principe Carlo Filangieri[vii] lo utilizzò come residenza estiva per la caccia e la pesca, e poco distante fece costruire una ferriera che produceva manufatti in metallo di alta qualità, competendo con successo con la Ferriera di Mongiana[viii] e garantendo occupazione a diverse decine di operai. Tuttavia, verso la metà del XIX secolo, la ferriera fu devastata da avverse condizioni meteorologiche e di conseguenza abbandonata.

In quel periodo, il complesso edilizio era occupato dalla famiglia del Beato Ammirante[ix], il quale sembra avervi visto la luce. L'inondazione devastante del 21 novembre 1935, causata dallo straripamento del Fiume Ancinale[x], sommerse la zona, che fu largamente trascurata negli anni a venire. La famiglia Pelaggi, proprietaria della struttura da quel periodo, la riportò all'attenzione pubblica ricostruendo nelle vicinanze delle baracche destinate al ricovero degli ovini. Sin dagli anni '80 del secolo scorso, il "Castello" sito nella località Razzona[xi], denominazione comunemente utilizzata, pur rientrando nell'ambito di interesse del comune di Cardinale, non ha ricevuto l'attenzione dovuta, nonostante la presenza nel bosco circostante di un busto bronzeo del Principe Carlo Filangieri e di una biblioteca di notevole rilevanza, contenente anche volumi di pregio. La presenza di cunicoli sotterranei contribuisce ulteriormente ad avvolgere di mistero la sua storia.

 

Il contesto storico

Dopo l'ascesa al trono di Ferdinando II nel novembre 1830[xii], si manifestò una concomitante ondata di liberalismo nel Regno. La richiamata presenza degli esuli e degli ex murattiani, divenuta una manifestazione tangibile dello spirito di riconciliazione che permeava il nuovo sovrano, suscitò attorno alla monarchia un rinato fervore intellettuale. Questo entusiasmo era intriso di legittime aspirazioni per un rinnovamento culturale e politico. Con l'avvento di un numero crescente di pubblicazioni giornalistiche, si iniziò a dibattere su importanti tematiche economiche e politiche che elevavano il ruolo preminente dello Stato all'attenzione primaria.

Emerse quindi una controversia tra i sostenitori del libero scambio e i protezionisti, che raggiunse il culmine nel 1834 quando Giuseppe del Re, sulle pagine del "Giornale di Commercio", assunse una posizione decisa contro gli industriali napoletani Zino ed Henry, proprietari dell'omonimo impianto metallurgico[xiii]. Del Re li biasimò per l'utilizzo di "ferraccia" di origine inglese nel processo produttivo, a scapito della produzione nazionale.

Con il trascorrere degli anni, il confronto si intensificò, culminando nel 1838 con l'intervento dell'economista Mauro Luigi Rotondi. In un opuscolo intitolato "Riflessioni economiche sul ferro"[xiv], pubblicato in forma anonima, Rotondi espresse apertamente la necessità di liberalizzare il commercio del ferro a vantaggio delle arti e dell'agricoltura, e di porre fine alla protezione doganale a favore delle modestissime ferriere del Regno. La sua posizione, come è evidente, rivestiva notevole importanza politica, poiché metteva in discussione la legittimità dei monopoli, sia pubblici che privati, che avevano interesse nell'industria siderurgica nazionale.

In risposta alle opposte posizioni protezionistiche e agli interessi corporativi ad esse legati, fu presto pubblicata una "Risposta", anch'essa anonima nella forma, ma facilmente attribuibile a Carlo Filangieri di Satriano.

Filangieri, all'epoca proprietario dell'importante ferriera, si pronunciò in difesa delle politiche protezionistiche.

«[...] A questi giorni è venuto fuori dalla tipografia Flautina un opuscolo così intitolato: Sul ferro Riflessioni economiche di M. L. R. Sotto queste lettere iniziali ognuno ha potuto facilmente riconoscere l'autore di tante altre opere di finanza e di economica applicate alle cose di questo Reame; scrittore indefesso e non men fecondo che perito. Il quale rivolgendo da ultimo al ferro le sue investigazioni economiche, si è fatto a considerare il dazio d' introduzione imposto su quello che ci viene di fuori, e trovatolo troppo più grave che, secondo lui, non converrebbe, ne caldeggia l'abbassamento. E da sapere che, secondo la tariffa sanzionata dal Regio Decreto del 30 novembre 1824, i ferri che s'introducono nella parte continentale delle Due Sicilie aveano a pagare, vecchi o nuovi che fossero, ducati 3,50 il cantajo; che per quelli provegnenti dal Baltico e dal Mar Nero, cioè ferri svedesi e russi, il Decreto del 19 giugno 1826 portò il dazio a ducati 5,50; che in fine con quello del 24 giugno 1832, confermato questo balzello per le indicate provenienze, fu per tutte le altre esteso a duc. 4,50. Con tale aumento volle il Governo favoreggiare l'industria del ferro, quella cioè che consiste in ridurre il minerale a ferro metallico, e purificatolo dalle scorie, dalle loppe e da ogni eterogenea mistura, renderlo atto a lavorarsi. Ma questo favore, da cui grandi vantaggi si ottennero e grandissimi se ne otterrebbero ancora, non è andato a sangue al sig. M. L. R.

Scagliandosi contro la benefica disposizione del 1832, ei vorrebbe che almeno si ritornasse a quella del 1824. Ad udirlo egli non è che sostenitore della nostra agricoltura, lodatore della libertà de trafichi, del pubblico bene caldissimo zelatore. Se non che, senza forse avvedersene, ei si discopre ad un tempo propugnatore dell'industria britannica, ed aspira alla gloria di suscitare la distruzione di un importante branca d'industria napolitana!»[xv].

Il Filangieri emerse come figura di spicco, caratterizzato da un percorso eclettico e intraprendente. Dopo avere combattuto valorosamente ad Austerlitz sotto le insegne di Napoleone e aver ricoperto il ruolo di generale murattiano, si trovò epurato dall'esercito borbonico nel 1821[xvi]. Questo evento segnò una svolta nella sua vita, spingendolo verso iniziative industriali coraggiose[xvii].

La sua dedizione alle imprese denotò una volontà di riscatto e di autonomia, evidenziando anche la sua capacità di adattamento alle nuove sfide politiche e sociali del tempo. La decisione di riconciliarsi con la monarchia sottolineò una strategia di pragmatismo e di riconoscimento delle opportunità politiche del momento.

Il legame del Filangieri con la riconquista della Sicilia dopo i moti del 1848[xviii] mostrò l'influenza e la sua rilevanza politica nell'ambito dei movimenti nazionali dell'epoca. La sua elevazione al titolo di principe e l'eredità degli ex feudi di Satriano, Cardinale, Davoli e San Sostene in Calabria confermarono la sua posizione di prestigio e potere all'interno della società dell'epoca.

L'impianto della ferriera lungo l'Ancinale, rappresentò, quindi, una mossa strategica e imprenditoriale volta a sfruttare le risorse naturali e le materie prime disponibili nel Mezzogiorno. L'impiego del minerale proveniente dall'isola d'Elba e del carbone locale dei boschi della Razzona e in parte dei monti delle Serre testimoniò una visione lungimirante e concreta nel campo dell'industria siderurgica.

Successivamente, Carlo Filangieri diede vita, in Campania, ad un mulino a vapore e ad una fabbrica di sapone. Nel 1837, in qualità di azionista della Società Industriale Partenopea, contribuì alla costruzione di una grande filanda di lino, cotone e canapa a Sarno (oggi nota come filanda D'Andrea)[xix].

Poiché tali iniziative imprenditoriali alla lunga si dimostrarono disastrose dal punto di vista finanziario, possiamo concordare con Elena Croce sul fatto che egli fosse principalmente motivato:

«[...] dallo spirito del progresso e dell'operosità, inteso sia nel nuovo senso tecnico e positivistico, che come omaggio alla tradizione illuministica paterna»[xx].

Attualmente non è possibile effettuare un calcolo preciso della produzione di ferro e acciaio nel Regno intorno al 1860, né delle quantità importate. Tuttavia, per quanto riguarda la ferriera statale di Mongiana, sono disponibili dati noti: la produzione dei quattro altiforni ammontava a circa 12.000 cantaie all'anno, corrispondenti a circa 10 quintali giornalieri per ognuno di essi[xxi].

Ma, le quantità prodotte dalle fonderie private nel Regno e le importazioni rimangono sconosciute. Un'indicazione verosimile riguarda gli anni 1830-1835[xxii], quando la produzione di ferro malleabile da parte delle fonderie private è stata stimata intorno a 18.000 cantaie, mentre quella di Mongiana era di circa 3.000 cantaie; nel complesso, le importazioni di ferro malleabile superavano le 40.000 cantaie[xxiii].

Di conseguenza, la produzione statale costituiva circa un sesto del totale, ma la Calabria contribuiva ulteriormente con quest'altra fonderia privata, fondata nel 1824 dal Filangieri di Satriano all'interno della sua proprietà a Razzona di Cardinale[xxiv].

 

La Ferriera Razzona

Le ferriere a metodo diretto dell'Italia meridionale, nel primo decennio del 1860, erano sparse in diverse località delle province continentali, anche molto distanti dalla costa. Ancora all'epoca, ne esistevano parecchie, più o meno attive, come a Fuscaldo presso Paola (CS), a Montello ed Atripalda presso Avellino, a Vietri, Amalfi e Razzona. In totale erano 17, con 2 o 3 fuochi ciascuna. Tuttavia, il loro materiale era antiquato e molto rustico, e non tutte erano in funzione. Mentre i loro 45 fuochi avrebbero potuto teoricamente fornire ciascuno 2 quintali di ferro al giorno e insieme più di 25.000 quintali all'anno, negli ultimi tempi ne producevano appena 15.000, e all'epoca non più di 7.000[xxv].

Il minerale dell'Elba era raramente utilizzato da solo, ma quasi sempre in combinazione con 1/4 di arene vulcaniche ferrifere d'Ischia o di Pozzuoli, e talvolta anche con rottami di ghisa e ferro vecchio. Fino a tempi recenti, il minerale per le province meridionali, una miscela di compatti e poco puliti, veniva venduto all'Elba a L. 1,80, con un ulteriore costo di L. 1,00 per il trasporto alle ferriere interne, in media[xxvi].

Il Filangieri: uomo di valore, animato da un fervido impegno per il bene pubblico, come descritto dal contemporaneo Ludovico Bianchini, investì considerevoli risorse e dedicò tutte le sue attenzioni nel perfezionare la produzione di ferro malleabile, un grado di perfezione fino ad allora sconosciuto nel contesto locale. Nelle sue fucine a Cardinale, a partire dal 1821[xxvii], si producevano fino a 3.600 cantaje di ferro all'anno utilizzando minerale proveniente dall'Isola d'Elba.

Le sei officine attive lavoravano seguendo il metodo alla catalana, e in ciascuna di esse, entro dodici ore di lavoro, utilizzando 280 rotoli di minerale e 600 di carbone, si otteneva un cantajo di ferro.

È degno di nota che in questa stessa ferriera furono fuse le catene di ferro utilizzate per i ponti sospesi sul Garigliano e sul Calore, completati rispettivamente nel 1832 e nel 1835 su progetto dell'ispettore di ponti e strade Luigi Giura, ispirati a modelli precedenti inglesi e francesi.

Giuseppe Ricciardi, già nel 1834, menziona due importanti impianti industriali: la raffineria di Filangieri e le ferriere di Mongiana. La descrizione dettagliata delle attività e dei processi produttivi fornisce uno spaccato interessante dell'industria siderurgica dell'epoca e del ruolo chiave che svolgeva nella vita economica e sociale delle comunità locali:

«[...] Raffineria di Filangieri e ferriere di Mongiana.

La prima appartenente al principe di Satriano è posta in un adatto stabilimento sito nel territorio del comune di Cardinale in un luogo detto Razzona. Ivi trovansi sei fucine alla catalana, ad ognuna delle quali sono addette tre persone, oltre di tante altre impiegate al trasporto de' materiali che in gran quantità richieggonsi. Ciascuna di esse nello spazio di dodici ore, con 280 rotola di minerali e 600 di carbone, da un cantajo di ferro, il quale battuto da' corrispondenti maglietti viene a ridursi perfetto in modo da gareggiare con quello dell'estero. In tale stabilimento, pel quale gran lodi sono dovute al detto benemerito principe, sotto la direzione del valente colonnello cavaliere Carascusa, sono stati costruiti i due famosi ponti del Garigliano e del Calore.

Lo stabilimento di Mongiana nel comune di Serra è poi di maggiore importanza. Viene diretto da bravi ed istruiti uffiziali di artiglieria, e richiede maggior numero di braccia e più gran quantità di materiali. In esso oltre delle piccole fucine vi sono i grandi forni di fusione, percui si ha tanto il ferro battuto che il fuso, dal quale ogni lavoro corrisponde esattamente al fine cui è destinato. A perfezione quindi costruisconsi le macchine da guerra non solo, ma benanche gl'istrumenti necessari tanto alle arti che a' commodi della vita. In ogni provincia vi sono de' depositi del ferro che si ottiene da entrambi i ceunati stabilimenti [...]».[xxviii]

Ludovico Bianchini, qualche anno dopo, offrì un'analisi minuziosa delle attività siderurgiche del periodo considerato:

«[...] In Calabria lungo il corso del fiume Ancinale sono le ferriere del Principe di Satriano Carlo Filangieri, ove si fonde il miglior ferro malleabile del regno. I materiali grezzi che vi si adoprano son quasi tutti, come nelle altre ferriere, provenienti dall'Isola dell'Elba. E la maggior quantità di ferro che vi è prodotta non supera le 3500 cantaia l'anno, del quale il prezzo è in ducali 11 e 50 a cantaio. Nelle ferriere di Mongiana, che seguitano ad essere a conto del governo per il ramo dell'artiglieria, è un alto fornello, e vi si fondono oggi presso a poco non meno di 3000 cantaia di ferro malleabile, e di 6000 di ferraccia, la quale quantità potrebbe anche esser maggiore laddove si volesse. Non è guari nel 1834 si posero ferriere in Bigonci, e Pazzano, anche per conto del governo, luoghi distanti dodici miglia dalle ferriere di Mongiana in mezzo ai vastissimi boschi di Prateria e Stilo [...]»[xxix].

 

Lo stesso Filangieri, del resto, ne aveva accennato nel suo opuscolo, sottolineando con orgoglio che:

«[...] lo stabilimento di novelle ferriere come quelle di Cardinale [...] pure a giudizio di quanti Napoletani e Forestieri le osservano, fanno grandissimo onore allo ingegnere che ne regolò la costruzione ed all'opificio nazionale che poté somministrarle»[xxx].

Secondo il Petrocchi, la ferriera di Cardinale sarebbe stata distrutta durante la terribile alluvione del 1855, che colpì anche Mongiana[xxxi]. Eppure, nonostante i danni subiti, possiamo affermare con sicurezza che essa sopravvisse al disastro, in modo quasi parziale, ed è ancora oggi presente sul territorio con importanti resti materiali.

La presenza di esperti artigiani per la lavorazione del ferro consentì al Filangieri di istituire una ferriera all'avanguardia. Ma, poiché non poteva usufruire del minerale estratto dalle miniere statali di Pazzano[xxxii], situazione che ne faceva un privato, fu obbligato a importarlo dall'isola d'Elba. Nonostante il notevole costo del trasporto della materia prima, la fonderia crebbe rapidamente.

Secondo Danilo Franco, l'industria siderurgica del Principe di Satriano ebbe una crescita graduale ma costante nel tempo, soprattutto stimolata dalle commesse che riceveva[xxxiii].

Dapprima, una sola ferriera era operativa con tre fuochi alla catalana.

Il Ciccone, ancora, fornisce una dettagliata descrizione delle strutture e delle attrezzature della Razzona, rilevando la sua posizione sulla sponda destra del fiume e il ruolo delle acque nel processo produttivo della ferriera:

«[...] Una baracca, una croce sul limitare, una ruota a paletta verso mancina, con le sue trombe verticali da mantici; poi due fuochi all'indentro con pesante maglio per raffinare, un più leggero maglietto per acciaccare la vena. Era questa la prima Ferriera della Razzona, denominata dall'augusto di Santa Provvidenza. La quale è situata sulla sponda dritta del fiume, le cui acque nel canale di scarico delle quattro officine superiori più lontane formano qui il condotto di carica [...]»[xxxiv].

Nel 1824[xxxv] se ne aggiunsero altre due, seguite nel 1827 dalla realizzazione di un'altra, dotata di un maglietto aggiuntivo e di un ulteriore piccolo forno destinato alla sistemazione degli utensili.

Nel 1829 venne realizzato un ulteriore forno, affiancato da un maglietto, e infine, nel 1833, si aggiunse una fucina con due forni, anch'essi alla catalana[xxxvi].

Il Grimaldi in un dettagliato resoconto delle pratiche siderurgiche utilizzate, indicava, con minuzia di particolari, l'evoluzione tecnologica e le sfide operative affrontate dall'industria Filangieri:

«[...] In tale ferriera [...] si ricava il ferro direttamente dal minerale, e si pratica all'uopo il metodo catalano. Vi sono attualmente in essa nove fuochi. Al principio il proprietario vi costrui una sola fucina con tre fuochi. Di essa nel 1824 se ne fecero due con due fuochi ciascuna; nel 1827 si aggiunse un fuoco con maglietto ed un altro per accomodi; nel 1829 altro maglietto ad un fuoco; ed infine nel 1833 si stabilì altra fucina a due fuochi che per esser l'ultima e chiamasi nuova benche oramai vecchia. In ogni fucina vi sono due magli. I fuochi de maglietti differiscono da quei delle fucine perché in queste il crogiuolo è più grande; e quello per accomodi è diverso intieramente dagli uni e dagli altri, non consistendo che in una fornace atta a riscaldare il ferro e non già alla fusione del minerale, e si mette in attività solamente quando debbonsi accomodare ordigni ed utensili dello stabilimento.

I maglietti differiscono da magli perché son più piccoli e si fanno con essi dé lavori delicati e sottili che non potrebbero eseguirsi col maglio i di cui colpi sono oltremodo forti. Oltracciò la incudine ne magli è a piano inclinato per cui riesce facile maneggiare grandi masse ed ottenere ferri di qualunque dimensione; per l'opposto ne maglietti è piana, non possono lavorarsi masse maggiori di rotoli quaranta, ma i ferri si tondeggiano più facilmente e rendonsi più levigali. De' due magli che sono in ogni fucina uno serve perché prima di fondersi si pesti il minerale che facilmente si sgretola, a differenza del minerale duro e tenace che si mette nel crogiuolo senza battersi; e l'altro per lavorare il ferro dopo fuso. Soglionsi ordinariamente per ravvivare il fuoco nelle fucine adoprar de mantici, ma nella ferriera della Razzona vi è per ogni fuoco un tubo forato nel quale l'aria vien mossa dall'acqua. Onde conciliare le notizie da noi date ne precedenti scritti colle presenti circa il numero de fuochi, dobbiam alle altre soggiungere che nella memoria del 1834 cennammo le sole fucine e non i maglietti, e nell'altra da noi scritta nel 1839 sulla relazione del socio signor Drosi son confusi i fuochi delle une e degli altri, e credemmo che dopo il 1834 vi fosse stato un aumento che in realtà non ebbe luogo. In tal memoria dicemmo pure che i fuochi erano otto e non già nove come scrivea l'anonimo autore della Risposta alle riflessioni economiche sul ferro di M. L. R. Tal contraddizione derivò dall'avere il signor Drosi omesso di menzionare il fuoco degli accomodi. In riguardo però al prodotto che si ottiene ed alle persone che vi sono addette, il numero de' fuochi dee in realtà ritenersi per otto [...]»[xxxvii].

La descrizione del Grimaldi continua a fornire notizie sulla progressione temporale delle attività nella ferriera, dall'aggiunta di nuovi fuochi e maglietti alla loro differenziazione e funzionalità specifica. Inoltre, la spiegazione dei magli e dei maglietti, insieme alle peculiarità dei fuochi e agli strumenti impiegati, presenta una visione dettagliata delle pratiche industriali attive.

In soli 10 anni, quindi, la Razzona contava 3 fucine con 8 fuochi ciascuna e un maglietto, impiegando circa 200 operai distribuiti in diversi settori e produceva quasi quanto Mongiana, cioè 2.000 cantaie annue[xxxviii].

Però, il Bursotti in un'appendice de "La Biblioteca del Commercio", compilata e stampata nel 1846 registra una discrepanza tra le stime di produzione della ferriera di Razzona, riportate dal Grimaldi e dal Rotondo nel 1839. Nonostante le divergenze nei dati, la cifra fornita da Rotondo, 3.600 cantaje, specifica un'importante attività industriale. Ciò sottolinea le sfide nel calcolare con precisione la produzione siderurgica dell'epoca, ma evidenzia anche il ruolo significativo di queste industrie nel Mezzogiorno:

«[...] Quanto alle ferriere di Calabria, comecchè per quella lungo il corso del fiume Ancinale, detta di Razzona, il sig. Grimaldi nel 1839 avesse tenuto qual cifra eccedente la produzione ellettiva anche ridotta a cant. 3000, noi serberemo la quantità posta dal signor Rotondo, cioè: Razzona: 3,600 [...]».[xxxix]

Principalmente, la produzione consisteva in pani di ferro, i quali venivano successivamente trasportati a Napoli per essere ulteriormente elaborati.

Le fucine del Filangieri erano alimentate da trombe idro-eoliche, costituendo un sistema avanzato per l'epoca. Per la gestione ottimale di ciascuna fornace, venivano impiegati un mastro fonditore ("mastro del fuoco"), due scaldatori accompagnati da un giovane apprendista, un battitore e un addetto alla gestione delle acque. Ogni mastro fonditore disponeva, anche, del proprio assistente, che poteva essere condiviso con un altro mastro. Cento persone erano impiegate nel taglio dei boschi e altre trenta erano dedicate al trasporto del minerale e del ferro. Altri dieci per la manutenzione dei canali e per il trasporto de carbone. All'incirca dunque duecento addetti.

In ciascuna fucina erano funzionanti due magli. La produzione media, pari a un cantaro di ferro (equivalente a circa 89,8 chilogrammi), veniva raggiunta ogni 12 ore, dimostrando un notevole grado di efficienza e produttività[xl].

 

Il sito oggi

Un'indagine sul campo, condotta personalmente sulla base delle poche fonti appena citate e con l'ausilio delle carte topografiche dell'IGM, ha rivelato la presenza di diverse costruzioni, molte delle quali ridotte in ruderi, e di una ferriera nella proprietà Pelaggi, situata nel comune di Cardinale, precisamente in località Razzona lungo il corso dell'Ancinale, dove questo confina con il territorio di Chiaravalle Centrale.  Nei pressi del cosiddetto "Castello Filangieri", un busto in ghisa in onore del Principe Carlo di Satriano campeggia su un alto piedistallo, ove, in un ovale, è incisa la seguente iscrizione in marmo:

«A Carlo Filangieri, Principe di Satriano, per animo e per ingegno, non dissimile a Gaetano suo padre, e per gli egregi suoi fatti di guerra, gloria e decoro delle napoletane milizie, il cavaliere Saverio Amirante, rettore di queste magioni, in testimonio di grato e devoto animo, l'anno 1846, Francesco Stagliano, eseguì»[xli].

Nei pressi del complesso monumentale, lungo un viottolo che costeggia il fiume, si trovano le sparute rovine dell'antica ferriera, delineati da pochi edifici e muri crollanti. Le limitate testimonianze, soprattutto orali, confermano che la struttura è stata trasformata in una centrale idroelettrica all'inizio del secolo scorso e successivamente abbandonata definitivamente.

Lo stato dei ruderi, invasi dalla fitta vegetazione circostante, non permette di comprendere facilmente l'organizzazione in pianta dello stabilimento. Però, a prima vista, si nota che l'industria era situata in piano, alla base di una collina. Nella parte retrostante si intravede ancora il grande invaso semicircolare, il cosiddetto bottazzo, che originariamente raccoglieva l'acqua del fiume e delle sorgenti vicine. Quest'acqua veniva, poi, convogliata attraverso un canale appositamente costruito, verso le "trombe a vento" dei forni e le ruote dei magli, poste sulla sommità. Non è possibile determinare, basandosi sullo stato attuale dei resti, se vi fossero altre piccole ferriere lungo il corso dello stesso canale.

Un auspicato vincolo storico potrebbe rappresentare un'opportunità per preservare questi luoghi, proteggendoli da eventuali interventi distruttivi e promuovendo invece azioni di recupero e restauro.

Un intervento accurato, in verità, potrebbe restituire dignità e valore storico a queste strutture, consentendo loro di diventare parte integrante del patrimonio culturale della regione e attrarre l'interesse di studiosi, turisti e residenti. Inoltre, la risistemazione dell'area potrebbe essere accompagnata da iniziative di valorizzazione e sensibilizzazione, come visite guidate, esposizioni e attività educative, per far conoscere la storia, l'identità e l'importanza di queste ferriere nella trasformazione economica e sociale del territorio.

I ponti sospesi sul Garigliano e sul Calore.

«Al regno di Napoli l'Italia è debitrice di aver veduti in essa i primi due ponti sospesi a catene di ferro sul Garigliano e sul Calore, il primo nomato ponte Ferdinandeo, ponte Cristina l'altro»[xlii].

Il ponte Real Ferdinando, noto anche come ponte Ferdinandeo[xliii], rappresenta un'opera architettonica sospesa sul fiume Garigliano, in prossimità dell'area archeologica di Minturnae (Minturno), delimitando il confine fluviale tra la Campania e il Lazio a partire dal 1927. La sua denominazione è un omaggio a Ferdinando II delle Due Sicilie, il quale lo inaugurò l'8 aprile 1835:

 

«[...] la maestà del Re Ferdinando solennemente l'inaugurò, primo tra tutti passandovi, accompagnato da un drappello di cavalieri tra i plausi di gran numero di spettatori e le popolari acclamazioni»[xliv].

La costruzione dell'opera suscitò all'epoca l'interesse della stampa nazionale, non solo dal punto di vista strutturale, ma soprattutto politico.

Carmine Antonio Lippi fu il precursore dell'idea di costruire un ponte sospeso in ferro, avanzando la proposta in una serie di cinque memorie a partire dal 1817[xlv]. Nel 1825, l'ingegnere Luigi Giura riprese l'innovativa idea di Lippi, ispirandosi inizialmente al ponte dell'Unione sul fiume Tweed (1820) presso Paxton in Scozia, che aveva suscitato interesse nell'ambiente culturale napoletano. Dopo viaggi in Inghilterra e in Francia, nel 1828 Giura presentò un progetto basato sul "Pont des Invalides" di Parigi, apportandovi numerose variazioni, nonostante le sue criticità di stabilità prima ancora del completamento[xlvi].

Francesco I di Borbone, gli conferì l'incarico per la progettazione definitiva per realizzare il passo del Garigliano e, lo stesso Giura, ne diresse anche l'esecuzione[xlvii]. Con la sua opera, una vera novità nella tecnologia costruttiva del tempo, egli risolse la problematica dell'attraversamento stabile del fiume.

Una relazione del Real Ministero degli Affari Interni analizza l'ingegneria del ponte Ferdinandeo, evidenziando la connessione delle catene tramite un solo perno di articolazione, il quale, pur consentendo un risparmio economico, comporta difficoltà durante l'installazione e il rinnovo delle catene e dei sospensori:

«[...] Nel ponte Ferdinandeo le maglie d'un ordine delle catene si uniscono a quelle di un ordine successivo per mezzo di un solo perno di articolazione, dal quale pende il sospensorio che gli corrisponde. Ma questo ingegno, preferito allora per minorare la spesa, dà luogo a fatica e difficoltà non lievi quando debbonsi porre in opera i rami delle catene e de sospensori, o quando alcuno di questi avesse a rinnovarsi. Le nuove articolazioni de' rami di sospensione furon fatte perciò d' una forma men semplice ma atte a rendere tali operazioni più facili; chè stanno in ciascuna quattro maglioni corti, i quali abbracciano le estremità delle maglie de' due ordini che si debbon riunire e due perni. I sospensori sono poi riuniti all'articolazione stessa per mezzo di tre altri piccoli maglioni e di due piccioli perni. Al Garigliano una sola asta circolare forma il sospensorio; nel Calore ognuno di essi costa di due aste verticali di sezione quadrata: il che rende più semplice la forma di tali pezzi, e più stabile il sostegno del corrente inferiore di ferro. Il numero delle maglie di cui si compongono i loro diversi ordini ne' rami di sospensione furono quattro per ogni ordine al Garigliano; ma nel ponte che discorriamo, essendo di una corda minore, non più di tre maglie abbisognarono [...]»[xlviii].

Il ponte, con una luce netta di 80,40 metri tra gli assi dei piloni, misura complessivamente 128 metri considerando anche le due rampe di avvicinamento. Il sistema di sospensione prevede due coppie di catene distanziate di 5,8 metri tra loro.

I componenti metallici furono prodotti nelle ferriere calabresi di Razzona e la spesa complessiva per la costruzione fu di 75.000 ducati, a carico del regno.

Il cavaliere Michele Carrascosa fu incaricato della supervisione della realizzazione dei componenti in ferro. Nel 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, la campata del ponte fu minata e fatta esplodere dall'esercito tedesco in ritirata lungo la linea Gustav. Tuttavia, i piloni e le basi non subirono danni irreparabili[xlix].

Nel 1998 il ponte fu restaurato grazie a un progetto di archeologia industriale finanziato dalla Comunità Europea.

Il ponte Maria Cristina, noto anche come ponte sul Calore, si erge sul fiume omonimo, nei pressi del comune di Solopaca.

La costruzione del ponte sul Calore, collegando la Valle Telesina al Taburno, fu una sfida secolare dovuta alle piene del fiume. Dopo molteplici tentativi nel XVII e XIX secolo, nel 1828 si decise per la costruzione di un nuovo ponte. L'ingegnere Luigi Giura scelse un sito roccioso distante dai piloni esistenti per la costruzione di un ponte pensile, il quale fu completato nel 1835.

Aperto al pubblico il 5 aprile del 1835,

«[...] passandovi per primi i reali e solennemente inaugurato il nuovo ponte in ferro (secondo nel regno), costruito sul Calore [...]»[l]

Interamente realizzato in Calabria, presso lo stabilimento di Mongiana e le ferriere di Cardinale, il ponte, una volta montato, aveva una larghezza di circa 5,70 metri, compresi i marciapiedi, e una lunghezza di circa 60 metri. Sopravvisse a eventi naturali e storici, incluso un grave danneggiamento nel 1852 e la distruzione durante la Seconda Guerra Mondiale nel 1943. Ricostruito in cemento armato, il ponte, inaugurato nel 1947, rimane un simbolo di ingegneria e resilienza nella storia del Mezzogiorno.

«[...] Perfettamente restaurato il ponte Cristina sul Calore, che di potentissimo espediente riesce in commerci del Molisano colla capitale del Regno: estinto altresì il debito di ducati 20,093. 53, che la provincia di Molise aveva col real tesoro [...]»[li].

Una breve attestazione dimostra ulteriormente il profondo legame tra la comunità locale e il monarca, ritraendo un gesto di limpida gratitudine per il ripristino del ponte Cristina sul fiume Calore:

«[...] riconoscenti quegli abitanti verso l'Augusto Monarca per lo riattivato traffico nel ristaurato Ponte Cristina sul Calore ; per conservare perenne la memoria di tanta Sovrana Munificenza, hanno intitolato la pia opera alla medesima gran donna Maria Cristina di sempre gloriosa e memoranda ricordanza[...]»[lii].

 

L'attuale struttura è stata eretta nel dopoguerra in seguito alla distruzione del precedente ponte pensile, un capolavoro progettato da Luigi Giura e inaugurato nel 1835 da Ferdinando II delle Due Sicilie e dalla sua prima moglie Maria Cristina di Savoia, alla quale il ponte è tutt'oggi dedicato.

 

Conclusioni

La storia della ferriera Filangeri di Cardinale descrive un capitolo significativo nella narrazione dell'industria siderurgica nell'Italia meridionale del XIX secolo. Attraverso l'impresa e la visione imprenditoriale di Carlo Filangieri, la ferriera ha segnato un periodo di crescita economica e di innovazione tecnologica nella realtà produttiva calabrese.

L'indagine sul campo, l'analisi dei documenti archivistici e dei resti fisici dell'antica ferriera offre uno sguardo approfondito sulle pratiche produttive e lavorative del tempo. La ferriera, alimentata dalle acque del fiume Ancinale e dotata di impianti all'avanguardia per l'epoca, rappresentava un polo industriale di rilevanza nazionale. Il Filangieri, molto ben conosciuto e apprezzato a Napoli, riuscì ben presto a inserire le sue ferriere tra i fornitori dello Stato, ottenendo l'incarico di realizzare le catenarie per i primi ponti in ferro realizzati in Italia[liii].

Tuttavia, nonostante il suo passato glorioso, la fonderia oggi giace in rovina, testimone di un'epoca passata di prosperità e sviluppo industriale. L'abbandono e il degrado dei suoi resti sottolineano l'importanza di preservare e valorizzare il patrimonio storico e industriale del territorio.

La storia della ferriera di Cardinale ci ricorda l'importanza di preservare il nostro patrimonio industriale e di celebrare le imprese e le visioni imprenditoriali che hanno plasmato il nostro passato economico e sociale.

 

 

 

 



[i] L'archeologia industriale unisce diverse discipline - storia, economia, tecnologia, società, architettura, ingegneria - per studiare le tracce del processo di industrializzazione, esplorando il passato e il presente industriale. Interdisciplinare per natura, utilizza i metodi specifici di ciascuna disciplina per esaminare le testimonianze materiali e immateriali dell'industrializzazione, promuovendo un'interazione consapevole tra di esse. Cfr. Renato Covino, Archeologia industriale in Italia: ambito disciplinare, termini cronologici, in Quaderni storici, vol. 15, n. 43, 1980, pp. 218-229.

[ii] Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Calabria, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le Province di Reggio Calabria e Vibo Valentia, Comune di Stilo, Relazione tecnico-descrittiva, Insediamento Villaggio Minerario Località Chiesa Vecchia: Scavo, Restauro e Valorizzazione, POR Calabria FESR 2007\13 linea di intervento 5.2.1.1 DGR 110 del 28.03.2011, p. 1.

[iii] Il termine "ecomuseo" fu coniato da Hugues de Varine durante una riunione nel 1971 con Henri Rivière e Serge Antoine dell'ICOM, e fu utilizzato per la prima volta dal Ministro dell'Ambiente francese, Robert Poujade, per descrivere l'attività di un ministero in creazione. In Italia, le esperienze ecomuseali sono numerose e diversificate, riflettendo le interpretazioni divergenti dei soggetti promotori. Alcune regioni, come il Piemonte e la Provincia autonoma di Trento, hanno promulgato leggi specifiche per la creazione di reti di ecomusei. Altre regioni, come la Lombardia, l'Umbria, la Puglia e altre, hanno seguito con proprie leggi regionali. La Campania ospita diversi esempi di ecomusei, tra cui quello di Sessa Aurunca e il Parco urbano interprovinciale della "Dea Diana". In altre aree, come la Valsugana orientale, esistono musei diffusi che si coordinano per promuovere la storia e la cultura locale. In totale, gli ecomusei italiani sono stimati essere 208 secondo una ricerca recente. Cfr. Giovanna D'Amia, Andrea L'Erario, Gli Ecomusei, in Rapporto sullo stato delle politiche per il paesaggio, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio, Roma 2018, pp. 479-482. La definizione di ecomuseo è di Maurizio Maggi, Ecomusei: guida europea, Allemandi editore, Torino, 2002, p. 9.

[iv] Si pensi all'Ecomuseo delle ferriere e fonderie di Calabria, promosso dall'Associazione Calabrese di Archeologia Industriale (ACAI) dal 1982, mira alla ricerca, studio, salvaguardia e promozione del patrimonio dell'archeologia industriale calabrese, con particolare attenzione alla vallata dello Stilaro, considerata la culla della prima industrializzazione meridionale. Il progetto valorizza le risorse forestali, minerarie, paesaggistiche e monumentali del territorio, con l'obiettivo di recuperare le radici culturali della comunità locale.

[v] Elia Fiorenza, Le Regie Ferriere di Mongiana. Un modello d'eccellenza industriale o un'occasione economica mancata dallo Stato unitario?, Rubbettino, Soveria Mannelli 2024.

[vi] Uno dei monumenti più suggestivi di Cardinale è il Castello appartenuto ai Filangieri, una famiglia originaria di Napoli. Il principe Filippo Ravaschieri, non avendo figli, decise intorno al 1818 di cedere il principato di Satriano e il ducato di Cardinale a suo nipote Carlo Filangieri. Quest'ultimo vi realizzò la ferriera di Razzona, inserendosi così nell'antica tradizione delle fonderie calabresi attive già dal 1000. Cfr. Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione Scheda WEB "centro storico" realizzata nell'ambito della creazione della banca dati "Centri Storici e Rischio Sismico" del Dipartimento di Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, Codice Regione 18 NCTN - Numero catalogo generale 00174440.

[vii] Carlo Filangieri (1784-1867) è stato un generale e politico italiano del Regno delle Due Sicilie. Figlio di Gaetano Filangieri, partecipò alle guerre napoleoniche nell'esercito francese e prese parte alla battaglia di Austerlitz e alla Campagna di Spagna. Dopo la restaurazione borbonica, comandò con successo la Campagna per la riconquista della Sicilia (1848-1849) e rimase nell'isola come luogotenente fino al 1855. Fu Presidente del Consiglio e ministro della Guerra nel Regno delle Due Sicilie prima dell'Impresa dei Mille. Dopo l'unità d'Italia, collaborò con il governo del Regno d'Italia. Fu esonerato dal comando della Guardia e destituito dal grado di generale nel 1821, ritirandosi poi a vita privata nella gestione della ferriera di Cardinale, in Calabria. Cfr. Filangieri Fieschi Ravaschieri, Il generale Carlo Filangieri, Milano, 1902, pp. 129-130, 142.

[viii] Nel corso degli ultimi decenni del XVIII secolo e fino all'Unità d'Italia, le due industrie siderurgiche di Mongiana e Ferdinandea furono estremamente attive in Calabria. Attualmente, queste due industrie costituiscono i soli veri esempi di archeologia industriale presenti nella regione. Per approfondire l'argomento si vd: Elia Fiorenza, Dalle vecchie ferriere di Stilo alla Ferdinandea. Storia, economia e produzione nelle serre calabre, in «Il Risparmio» - n. 3 luglio settembre 2023, 51-79.

[ix] Carlo Amirante, un uomo santo la cui nascita è avvolta nel mistero, potrebbe essere nato a Soverato o forse a Cardinale, pur essendo figlio di genitori napoletani. La sua famiglia risiedeva a Razzona come intendenti e procuratori dei principi Filangieri. Poco dopo la sua nascita, la famiglia partì, e fino alla sua morte nel 1934, Carlo Amirante si distinse come sacerdote esemplare, noto per il suo zelo apostolico e la pratica delle virtù. Coloro che lo ricordano descrivono un uomo dalla mitezza disarmante e una pazienza incrollabile. Vent'anni dopo la sua ordinazione sacerdotale, si unì al Terz'ordine dei Servi di Maria. Cfr.  Archivio Storico Diocesano di Napoli, Fondo Cause dei Santi, Inventario in ordine alfabetico, Amirante Carlo, collocazione 939-941; 1008.

[x] L'Ancinale, corso d'acqua lungo 35 km con una portata media di 4,1 m³/s, origina dal Monte Pecoraro nel comune di Serra San Bruno, a circa 950 m s.l.m. Il fiume attraversa la valle dell'Ancinale nel comune di Cardinale e sfocia nel Mar Ionio nel comune di Satriano. Tra i suoi affluenti figurano il Bruca e l'Usito. I comuni attraversati o lambiti dal fiume includono Serra San Bruno, Spadola, Brognaturo, Simbario, Cardinale, Chiaravalle Centrale, Argusto, Gagliato e Satriano.

[xi] La frazione Razzona è rinomata per la presenza del Castello Filangieri e della Ferriera omonima, circondati da altri edifici, tra cui una chiesa. In passato, nella memoria popolare, si racconta che, quando il campanile della Chiesa Matrice San Nicola di Bari era più alto, il suono delle campane poteva essere udito dalla Razzona. È importante notare che la frazione Razzona è distante dal centro storico. In aggiunta ai siti storici, in Razzona di Cardinale si trovano alcuni capannoni industriali, ma attualmente l'intera area versa in stato di abbandono.

[xii] Salito al trono del Regno delle Due Sicilie l'8 novembre 1830, all'età di appena vent'anni, Ferdinando II intraprese immediatamente sforzi mirati alla riorganizzazione dello Stato, alla riduzione del debito pubblico e alla pacificazione delle tensioni sociali ancora presenti dopo il periodo napoleonico. Attraverso una serie di regi decreti, il nuovo sovrano affrontò l'eccessiva burocrazia degli uffici statali e avviò la riorganizzazione del bilancio, che all'inizio del suo regno presentava un deficit di 1.128.167 ducati. Ridusse del 50% la lista civile e quella della casa regnante, rinunciando a 360.000 ducati, abolì le riserve di caccia reali di Persano, Venafro, Calvi e Mondragone, oltre a alcuni uffici superflui come la polizia di palazzo e la carica di cacciatore maggiore. Inoltre, ridusse lo stipendio annuo dei ministri a 6.000 ducati annui, distribuì fra 50 comuni le terre destinate al pascolo dei regi armenti, abolì la tassa sul macinato e dimezzò le pene per i condannati politici. Cfr. Vittorio Visalli, I Calabresi nel Risorgimento italiano. Storia documentata delle rivoluzioni calabresi dal 1799 al 1862, vol. II, Walter Brenner editore, Cosenza 1989, p. 10.

[xiii] Brunello de Stefano Manno, Gennaro Matacena, Le Reali Ferriere ed officine di Mongiana, casa editrice storia di Napoli e delle due Sicilie, Napoli, 1979, p. 50.

[xiv] Mauro Luigi Rotondo, Memorie e riflessioni economiche, Dalla Tipografia del Gallo, Napoli 1838.

[xv] Risposta alle Riflessioni economiche sul Ferro, da' torchi del Tramater, Napoli, 1838, pp. 3-4.

[xvi] Filangieri Fieschi Ravaschieri, Il generale Carlo Filangieri, Milano, 1902, p. 35.

[xvii] Daniela Ciccolella, Hommes de guerre, hommes d'affaires. Filangieri, Nunziante e la politica doganale nel Regno delle Due Sicilie, in Storia Economica, Anno XI (2012) n. 2, Edizioni Scientifiche Italiane, p. 418.

[xviii] Nel 1849, Carlo Filangieri accettò l'incarico di riconquistare la Sicilia ribelle, portando a termine l'impresa attraverso una combinazione di decise operazioni militari e accortezza politica. La sua strategia includeva sforzi per conquistare la potente e orgogliosa nobiltà isolana. Tuttavia, Filangieri si scontrò con l'ostilità manifesta di Ferdinando II e con la grettezza di personaggi come Cassisi, il cui incarico come ministro della Sicilia, deciso a Napoli, fu percepito come un affronto sia per l'isola che per lo stesso Filangieri. Nonostante il suo impegno personale e il mancato supporto finanziario da parte del governo, Filangieri rinunciò alla sua missione e si ritirò a vita privata. Cfr. Ulderico Nisticò, L'Enigma Filangieri e la Valle dell'Ancinale, in ilRedattore.it, 13 marzo 2015.

[xix] La storia della Filanda D'Andrea riflette l'importanza dell'industria tessile nell'area del Meridione, introdotta nel Regno delle Due Sicilie da imprenditori svizzeri nei primi anni del XIX secolo. Carlo Filangieri, principe di Satriano, fu uno dei promotori di questa iniziativa industriale, commissionando l'opificio nel 1838. La Filanda, costruita secondo il modello di una fabbrica inglese, rappresentava un polo economico e sociale significativo per la zona, dando impulso alla nascente classe operaia. Dopo diversi cambiamenti di proprietà e un periodo di grande splendore sotto la guida di Francesco D'Andrea, la Filanda D'Andrea cessò la produzione nel secondo dopoguerra, segnando la fine di un'epoca per l'industria tessile locale. Tuttavia, l'imponente struttura dell'edificio, con i suoi tre piani e la sua architettura innovativa, rimane un simbolo del passato industriale della regione. Oggi, nonostante il recupero dell'edificio per nuovi scopi, la storia della Filanda D'Andrea suscita riflessioni sulla classe operaia del passato, la sua dignità conquistata attraverso il lavoro e la sua situazione attuale, spesso trascurata e messa in discussione dall'avvento della globalizzazione e dai cambiamenti economici. Cfr. Antonio Milone e Rosario Petrosino, Sarno e la sua rappresentazione. Immagini di una metamorfosi urbana, (catalogo della mostra a cura di), Valentina Porfidio editore, Moliterno (PZ), pp. 49-54; R. Pane, La filanda di Sarno, in Napoli Nobilissima, s. 3, XVII, 1978, pp. 201-205.

[xx] E. Croce, La Patria Napoletana, Vicenza 1979, pp. 95-98.

[xxi] Gennaro Matacena, Architettura del lavoro in Calabria tra i secoli XV e XIX, Edizioni Scientifiche Italiane,Napoli, 1983, p. 128.

[xxii] L. Grimaldi, Storia e stato attuale delle ferriere di Calabria Ultra II, in Studi Statistici sull'industria agricola e manifatturiera, Napoli 1845 p. 75, e in Discorso sulla presente condizione delle ferriere della Calabria, in Il progresso delle scienze, lettere ed arti, n.s., a. VIII, vol. XXIV, 1839, p. 249.

[xxiii] L. Bianchini, Sullo stato delle Ferriere del Regno di Napoli, in Il Progresso, Napoli 1834; si vd anche: Lavori della Società Economica di Calabria Ultra, in Annali Civili, 1839, XLI.

[xxiv] Enciclopedia del Negoziante, ossia gran dizionario del commercio, dell'industria, del banco e delle manifatture, Tomo VI, Venezia 143, p. 2332 col. 2.

[xxv] Felice Giordano, Industria del Ferro in Italia, Torino 1864, p. 337.

[xxvi] Ibidem.

[xxvii] Cahiers internationaux d'histoire économique et sociale, Librairie Droz, Genève 1973.

[xxviii] Giuseppe Ricciardi, Il progresso delle scienze, delle lettere ed arti. Opera periodica compilata per cura di G. R. Volume VII anno III, Dai torchi del Porcelli, Napoli, 1834, p. 332.

[xxix] Ludovico Bianchini, Della Storia delle Finanze del Regno di Napoli, Vol. 1, Palermo, 1839, p. 622.

[xxx] Risposta alle Riflessioni economiche sul Ferro, da' torchi del Tramater, Napoli, 1838, p. 38.

[xxxi] Massimo Petrocchi, Le industrie del Regno di Napoli dal 1850 al 1860, Napoli 1955, p. 81.

[xxxii] Elia Fiorenza, Dalle vecchie ferriere di Stilo alla Ferdinandea. Storia, economia e produzione nelle serre calabre, in Il Risparmio - n. 3 luglio - settembre 2023, 51-79.

[xxxiii] Danilo Franco, Le Reali fabbriche del Ferro in Calabria, Tra storia e archeologia industriale, Rubbettino, Soveria Mannelli 2019, p. 134.

[xxxiv] Luigi Ciccone, Viaggio in Calabria, in Il Mondo illustrato, Giornale Universale, Anno I, Torino 1847, p. 710.

[xxxv] Secondo la datazione del 1824 per la ferriera di Cardinale (o Razzona, così chiamata dal bosco che la circondava), troviamo menzione in Luigi Grimaldi, Discorso sulla presente condizione delle ferriere di Calabria, in Il progresso delle scienze, lettere ed arti, nuova serie, anno VIII, volume XXIV, 1839, p. 249; Si vd anche: G.E. Rubino, Le Fabbriche del Sud, Architettura e Archeologia del lavoro, Giannini Editore, Napoli 2004, pp.179-182.

[xxxvi] Ibidem.

[xxxvii] Luigi Grimaldi, Studi Statistici sull'Industria agricola e manifatturiera della Calabria Ultra II, Napoli 1845, pp. 74-75.

[xxxviii] Gennaro Matacena, Architettura del lavoro in Calabria, ... op. cit., p. 128.

[xxxix] Giovanni Bursotti, Biblioteca di Commercio, Anno II (serie di dispense dodici), Napoli 1846, p. 64

[xl] Ivi.

[xli] Questa epigrafe commemorativa testimonia il riconoscimento e la gratitudine nei confronti di Carlo Filangieri, evidenziando il suo valore militare e la sua eredità familiare, esaltando le sue gesta eroiche come un vanto per le forze militari napoletane. La dedica, datata 1846 e eseguita da Francesco Stagliano, sottolinea il rispetto e la devozione dell'autore, rappresentando un tributo duraturo alla figura del Principe di Satriano.

[xlii] Camillo Locchi, L'ingegnere e l'Architetto. Giudiziario Amministrativo e Civile. Nel Regno di Napoli al secolo XIX, Napoli 1842, p. 3 nota a.

[xliii]«[...] E quantunque fosse stata questa la prima volta, che un tale Stabilimento abbia lentato di fondere pezzi di mole cosi grande, e di forma tanto complicata, tuttavia essi sono riusciti perfetti, e non inferiori agli altri, che pel ponte Ferdinandeo sul Garigliano si fecero venire dallo straniero. Prima di aprirsi al commercio il nuovo ponte fu sottoposto all'esperimento d'un carico di circa 956 cantari; e non offrì che la più lieve ed equabile oscillazione».  Cfr. Giuseppe del Re, Descrizione topografica fisica economica politica de' Reali Domini al di qua del Faro nel Regno delle Due Sicilie, tomo III, Napoli, 1836, p. 121.

[xliv] Aa.Vv. Dizionario corografico del Reame di Napoli, vol IV, Milano, 1852, p. 174, col. 2.

[xlv] C. Lippi. Ponte pensile sul Garigliano, Napoli, 1817, pp. 5-12.

[xlvi] Roberto Parisi, As an «overturned rainbow». The suspension bridges in the Italian Architectural Culture of the 19th century, TICCIH 2006 XIII International Congress, Industrial heritage, and urban transformation. Productive territories and industrial landscape (Terni-Roma, 14th to 18th settember 2006).

[xlvii] Danilo Franco, Le Reali Fabbriche del Ferro in Calabria, op. cit., p. 137.

[xlviii] Annali civili del regno delle Due Sicilie, Sul Ponte sospeso a Catene di ferro sul Fiume Calore, fascicolo XIX, Napoli 1836, pp. 1-10.

[xlix] «[...] il caratteristico ponte sospeso Maria Cristina, distrutto per cause belliche nel 1943 [...]». Cfr. Guida d'Italia, Campania, Touring Club Italiano, Torino 2002, p. 321.

[l] Alfredo Comandini, L'Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900), Milano 1902-1907, p. 560.

[li] Annali Civili del Regno delle Due Sicilie, Vol. LXII, Napoli 1858, p. 21.

[lii] Francesco Viti, Sulle condizioni economiche-amministrative del distretto di Piedimonte in Terra del Lavoro, Napoli 1855, p. 54.

[liii] Danilo Franco, Le Reali Fabbriche del ferro in Calabria, op. cit., p. 135.