Diritto


Alfonso Maria Pepe*

I diritti degli animali tra etica e tradizioni. L’esperienza indiana e cinese: il Covid 19

 

 

 

Sommario: 1. Introduzione - 2. Gli animali nella dottrina teologica cristiana - 3. Gli animali  tra etica  e filosofia - 4 . Religioni e animali nell'esperienza indiana e cinese - 5 . Il Covid 19 e il consumo di animali vivi in Cina

 

 

1.   Introduzione

 

Dopo le ricerche inaugurate nella seconda metà dell'Ottocento da Charles Darwin che hanno definitivamente dimostrato una incontestabile contiguità biologica tra esseri umani e animali, la domanda sulla relazione che deve intercorrere tra noi e "loro" si è fatta urgente e sempre più pressante. Tale rapporto può investire differenti ambiti, dalla biologia alla sociologia, dalla psicologia alla pedagogia, dalla genetica alle tecniche di produzione del cibo o di prodotti per la salute, dalla politica alla giurisdizione, ma è oramai indubbio che vi sia un generale consenso sulla valutazione morale che specifici comportamenti umani determinano verso gli esseri viventi animali. Si tratta di una questione che alla luce degli sviluppi delle tecnologie genetiche e dell'utilizzo sempre maggiore di cibo di derivazione animale è oramai ineludibile e che racchiude una serie di sfumature quanto mai articolate e complesse.

Agli animali è dovuta una qualche considerazione morale? È legittimo, e fino a che punto, mangiarli, indossarli, utilizzarli nella ricerca, metterli in mostra come negli zoo o farli esibire nel circo e negli spettacoli acquatici? La sofferenza che provano in quanto esseri senzienti ha una rilevanza giuridico-morale? I loro interessi confliggono necessariamente con quelli

umani? Domande a cui ancora non si sono date risposte esaustive e che rinviano ad una generale che le comprende tutte: se agli animali debbano o no essere riconosciuti diritti[2]. Come facile intuire si tratta di una problematica enorme che si è andata ad affiancare, associare, talvolta a sovrapporre alla cosiddetta questione ambientale che le nostre società già stanno affrontando con alterni risultati.

La nuova relazionalità che responsabilmente dovremo instaurare con gli esseri viventi senzienti, tra cui gli animali, riguarda certamente l'originario e mai concluso rapporto tra l'uomo e la Natura. In tal senso la tradizione culturale, soprattutto là dove le grandi religioni monoteistiche[3] hanno attecchito, è quella che ha legittimato molti dei nostri comportamenti verso gli altri esseri senzienti con la giustificazione del nostro, umano, esclusivo interesse in quanto specie che domina tutte le altre specie viventi[4]. L'uomo si serve degli esseri non umani, degli animali, ma anche delle piante e dei microrganismi, in molti modi e per scopi diversi: per produrre cibo e manufatti, come mezzi di trasporto o di lavoro, per esperimenti scientifici o a fini educativi o di intrattenimento. Tradizionalmente ciò è stato accettato e raramente messo in discussione, se pure attraverso modalità disomogenee; recentemente però si è sviluppata una più profonda consapevolezza dei problemi etici che ne derivano e una maggiore sensibilità verso ogni forma di lesione o di crudeltà. Senza dubbio in futuro non sarà più possibile limitarsi a prendere in considerazione soltanto gli interessi umani, e quindi a giudicare gli esseri non umani solo come utili strumenti per il soddisfacimento di tali interessi[5]. La domanda che dobbiamo porci è quindi: su quali giustificazioni etiche o religiose si fondano gli standard morali riguardanti gli esseri non umani e quali sono gli argomenti a favore o contro?

 

 

 

 

2.   Gli animali nella dottrina teologica cristiana

 

Determinante, al fine di comprendere il comune sentire e la sensibilità che tradizionalmente le società umane hanno avuto nei confronti degli animali, è la conoscenza dei dettami religiosi, in particolare delle grandi religioni monoteistiche. La posizione teologica del Cristianesimo, che deriva da quella ebraico-veterotestamentaria, ha come verità originaria l'ordine gerarchico dell'universo creato da Dio al cui vertice sommo Egli siede. Dio ha creato il mondo e ne ha stabilito le leggi. L'uomo è al di sotto di Dio ma è al vertice della creazione, quindi di tutte le altre forme viventi. L'uomo ha ricevuto direttamente da Dio la supremazia sul mondo, è il dominium terrae. Gli esseri non umani, privi di anima non hanno la facoltà di dare un nome alle cose e in più passi biblici, dal Genesi al Deuteronomio fino alle Tavole dei Dieci Comandamenti, si fa riferimento al fatto che l'uomo può possedere gli animali per i suoi interessi esistenziali. Filosofi e Padri della Chiesa come Agostino e Tommaso d'Aquino affermano che gli esseri non umani sono stati creati da Dio per servire l'uomo e che l'uomo ha dunque il diritto di utilizzarli per i propri bisogni, per questo anche di ucciderli. Se ci fermassimo qui avremmo una visione chiaramente parziale del rapporto Cristianesimo-esseri viventi non umani. In realtà la ricchezza dei passi biblici e la loro complessità interpretativa apre un ventaglio di significati ben più ampio e stimolante. Va detto che i soli evangelisti citano almeno quaranta specie di animali, dalle pecore ai cani, dai pesci agli uccelli, dai vitelli ai capretti, fino a moscerini e cavallette. Brani in cui si evidenza il legame e il rispetto che lo stesso Gesù aveva nei confronti degli animali. Ma c'è di più. Essi sono veri e propri compagni di viaggio del messia che li rispetta, li salvaguarda e li rende partecipi del suo messaggio di salvezza[6]. Nelle sacre scritture, soprattutto nel Nuovo Testamento, i confini etici per il comportamento degli uomini verso gli esseri non umani sono sostanzialmente articolati secondo il generale divieto dell'uccisione, della violenza e della crudeltà immotivata verso tutte le forme di vita. Occorre pertanto sottolineare che la sensibilità della Chiesa[7] nei confronti di tale questione è decisamente cambiata, anche per merito di pontefici quali Giovanni Paolo II e Papa Francesco. Il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992, interpreta in senso ampio il settimo comandamento: Non rubare, includendovi anche il comportamento umano nei confronti delle creature non umane: "rubare" è inteso come sinonimo di "danneggiare la creazione divina"[8]. Uno spartiacque tra la tradizionale mentalità teologica cristiana e le nuove posizioni della Chiesa è stato indicato appunto da Papa Giovanni Paolo II quando afferma che "Non solo l'uomo ma anche gli animali hanno un soffio divino", andando così a scompaginare un lungo antropocentrismo religioso, grazie alla ferma convinzione che il creato non è uno scenario inerte ma una realtà viva e palpitante verso cui gli esseri umani non hanno solo diritti ma anche molti doveri. Tale netto cambio di prospettiva è sancito dalla enciclica del 30 dicembre 1987 Sollecitudo Rei Socialis nella quale si parla apertamente del rispetto che si deve alla natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, che è appunto il cosmo. La rinnovata comprensione della creazione in essa descritta è il principio d'attivazione per un'autentica responsabilità verso la vita globale del pianeta[9]. Sulla strada inaugurata da Papa Wojtyla si inserisce l'Enciclica Laudato sii di Papa Bergoglio che in molti hanno addirittura definito una lettera cristiano-ambientalista. Papa Francesco, al di là di talune speculazioni politiche che pure hanno accompagnato la pubblicazione del testo, ha voluto sottolineare nelle meravigliose pagine dell'enciclica un pensiero estremamente semplice e incontestabile per qualsiasi credente: il mondo con le sue creature, l'universo e quanto contiene, sono stati creati da Dio[10]. Impossibile relegare tale riflessione in un angolo teologico, si rischia di ignorare il ruolo stesso di Dio creatore. Si tratta di un tema a vocazione fortemente sociale, viste le notevoli ricadute che ha sulle persone e sulla loro qualità di vita, in ogni parte del globo. Il notevole cambio di paradigma voluto da Francesco è nell'avere identificato l'essere umano non come il dominus del creato, semmai come il suo custode. L'uomo deve condurre le altre creature viventi, deve custodirle, viene posto in una posizione di responsabilità rispetto ad esse. Egli non è il despota, non lo sfruttatore[11]. Papa Bergoglio, per mezzo dell'insegnamento di Francesco d'Assisi, il santo che parlava agli animali, ammonisce circa il gravissimo errore per un cristiano di trascurare ciò che è più caro al Signore: la vita di tutte le creature e la creazione, primo moto d'amore di questo mondo materiale, nato appunto da quello stesso amore. Ritengo che le idee di Francesco siano riconducibili all'ambito di una ricerca teologica, filosofica e culturale di piena armonia fra Dio, l'essere umano e la natura. Molti credenti sembrano intimoriti per una possibile "sovversione" dei termini di relazione Dio-uomo-animale di cui trattano le aperture dottrinali di Francesco. Occorre in tal senso specificare che il papa con la sua enciclica ha voluto ribadire che nel creato di Dio ogni creatura occupa un posto in relazione alla sua propria natura e in particolare che l'uomo deve agire con somma responsabilità proprio per il posto a lui riservato dal creatore[12]. Al termine di questo breve percorso nel pensiero teologico cristiano si avverte la necessità che la ridefinizione dello status degli animali dal punto di vista etico-giuridico (di cui ci occuperemo più avanti) necessiti di un corrispettivo sul piano teologico che chiarifichi per il credente il rispetto della dottrina e il riconoscimento dei nuovi diritti da conferire a una parte straordinaria ed essenziale del creato[13].

 

 

 

       3 -  Gli animali  tra etica e filosofia.

 

La prima condizione base di ogni etica è l'esistenza di altri esseri, soggetti morali, che pongono delle limitazioni alle nostre azioni. Queste limitazioni non agiscono in modo fattuale, non rappresentano cioè un ostacolo concreto alle azioni umane, come un masso che ostruisce una strada, ma le limitano in senso normativo, dunque morale. La questione cruciale per la costruzione di un'etica non antropocentrica, ovvero che tenga conto di tutti gli esseri viventi è la seguente: si devono considerare limitazioni normative i soli interessi degli esseri umani? Come dobbiamo giudicare gli impulsi (interessi) degli altri animali senzienti, per esempio, l'impulso a muoversi liberamente o a procreare? Cosa pensare dell'impulso a socializzare? E cosa degli impulsi degli animali non senzienti? E della ricerca di acqua e di luce delle piante? Tutti questi interessi possiedono una base fisica e si manifestano nel quadro delle leggi fisiche come accade per molte delle azioni e delle espressioni degli esseri umani, ma al di là dei processi fisici necessari, le azioni non possono esaurirsi come mero effetto della combinazione di alcune forze fisiche, semmai come impulsi di esseri in grado di auto orientarsi, di ricercare l'autoconservazione e l'autosviluppo. Preliminarmente sappiamo che la coscienza e l'articolazione di un impulso non rappresentano una condizione necessaria della sua forza normativa. Se riconosciamo infatti il valore normativo degli impulsi vegetativi nel caso di esseri dotati di coscienza e di linguaggio, perché non dovremmo riconoscerlo anche agli impulsi di quegli esseri che ne sono privi?

Riflettere sulla relazione uomo-animale e ridefinirla secondo una sensibilità adeguata ci conduce immediatamente verso la questione ontologica: cosa è l'animale? A lungo, anche filosoficamente, l'animale è stato considerato res, oggetto; oggi per fortuna non è più così. Un'importante evoluzione del pensiero a cui hanno contribuito autori e filosofi conferma che gli animali non sono oggetto, ma vita, respiro, capacità di sentire e reagire, di socializzare, di scambiare, finanche di ragionare. Tutto ciò ci impone di osservare e comprendere la vita del pianeta sia nella sua accezione di zoè, animalità, sia di biòs, cultura e organizzazione sociale. Per secoli le idee aristoteliche che hanno separato nettamente il mondo umano dal mondo animale hanno avuto la meglio nella filosofia occidentale. Solo dopo Kant qualcosa cominciò a mutare. Pur riconoscendo che solo ad esseri razionali - l'essere umano - è dato di trascendere il mondo dei bisogni materiali entrando nel cosiddetto "regno dei fini", il filosofo prussiano sostiene che non è lecito né moralmente giusto trattare con crudeltà gli animali, anche per impedire che l'assuefazione alla violenza possa provocare il verificarsi di analoghe crudeltà verso gli esseri umani[14]. Il limite del pensiero kantiano è quello però secondo cui solo gli "esseri razionali" (ovvero razionali alla maniera degli umani), possiedano finalità, rilevanza morale e di conseguenza status giuridico. Nelle filosofie di Hume e Schopenhauer si fa spazio l'etica della compassione che basandosi sull'empatia avvicina gli esseri viventi a partire dalla comune sensazione del dolore. L'etica della compassione, pur non garantendo il riconoscimento giuridico dei diritti agli esseri viventi non umani, o la possibilità di non subire violenze e manipolazioni, servì tra Ottocento e Novecento come base per le prime legislazioni per la protezione di alcune specie animali essenzialmente in ambito anglosassone. Una ulteriore svolta avviene con Husserl. Il padre della fenomenologia sostiene che: "Gli animali, gli esseri animali, sono come noi soggetti di una vita di coscienza in cui, in un certo modo, è dato anche un "mondo ambiente" come il "loro", sulla base di una certezza d'essere. L'essere-soggetto si riferisce all'anima di tali esseri. La loro vita di coscienza, intesa in un senso puramente animale, è centrata, e l'espressione "soggetto per una coscienza", dotato di coscienza, indica qualcosa di analogo o di più generale dell'ego umano delle cogitationes di questi o quei cogitata: per questo non abbiamo nessun termine che sia adeguato. Anche l'animale possiede qualcosa come una struttura egologica"[15]. Chiara la sottolineatura secondo la quale gli animali abbiano una soggettività che permette loro una comprensione nell'ambito del proprio contesto di vita. Pur non essendo possibile parlare dell'animale in quanto "persona", poiché come rimarca Husserl manca della capacità di produrre un universo simbolico e storico, l'animale non è però da ritenersi inferiore al punto tale da divenire mero oggetto d'uso e consumo. Attraverso il Novecento con le correnti filosofiche comprese nell'Utilitarismo[16] si accentua il carattere non antropocentrico dell'etica e della morale, anche se la gamma dei viventi non umani a cui viene riconosciuto uno status morale è molto limitata e comprende i soli animali superiori senzienti. Il problema, risolto in modo diverso dai vari pensatori utilitaristi, è quello di stabilire se il dolore degli animali sia o no analogo a quello degli esseri umani e di conseguenza a quale categoria ontologica appartenga l'animale. Chi come Bentham interpreta il piacere e il dolore da un punto di vista materialistico o edonistico, propende per il netto avvicinamento tra umani e animali non umani; altri come J.S. Mill interpretano il sentire in senso intellettuale e spirituale ristabilendo una netta differenza-lontananza[17]. Da entrambe le prospettive si definisce comunque che gli animali, soprattutto quelli più vicini all'uomo sulla scala evolutiva hanno diritto a non subire eventi dolorosi, anche nell'ambito dell'allevamento o della sperimentazione[18]. In termini strettamente biologici e fisiologici dunque gli animali hanno diritto all'autoconservazione, all'integrità del loro corpo, alla riproduzione, al sollievo da atti che possano provocare dolori. Habermas ha tentato di ampliare la portata dell'etica oltre il confine antropocentrico con la costruzione dei cosiddetti "rapporti tra analoghi morali", ovvero di una relazione di probabile simmetria tra gli esseri umani e gli animali[19]. Se trattiamo gli animali in modo comunicativo, come alter ego, allora si stabilisce una relazione tra analoghi morali. Questo approccio tuttavia non riconosce agli animali uno status morale realmente indipendente, limitandosi a elevare lo status morale degli animali domestici, lasciando quelli selvatici al di fuori da ogni considerazione etica. Il punto sollevato da Habermas ci informa che gli umani hanno obblighi (anche morali) verso gli animali per il solo fatto di rapportarsi a loro. Nei recenti sviluppi del pensiero utilitaristico occorre segnalare il punto di vista di Peter Singer che allontanandosi dai canoni tradizionali dell'etica e della morale utilitaristica traccia una distinzione tra esseri razionali coscienti e autocoscienti[20]. La vita degli esseri razionali e autocoscienti merita un riconoscimento etico proprio, non è soggetta ai criteri di aggregazione interpersonale e di massimizzazione dei diversi interessi. Queste entità razionali e autocoscienti sono individui che conducono una vita indipendente e non possono in nessun modo essere ridotti a meri ricettacoli contenenti una certa quantità di felicità: in altre parole, sono gli esseri umani. Per quanto riguarda gli animali superiori tale status va riservato alle grandi scimmie, cioè scimpanzé, gorilla e oranghi, la cui vita non può essere sottomessa al calcolo utilitaristico generale, tuttavia è preferibile estendere questo tipo di protezione morale anche agli altri mammiferi, come balene, delfini, scimmie, cani, gatti, bovini, maiali, ecc. Il mantenimento in cattività e l'uccisione di mammiferi superiori a scopi alimentari o per analoghi interessi umani sono quindi moralmente condannabili. In sintesi, Singer chiede che vengano stabiliti diritti morali e legali per le grandi scimmie. La sperimentazione che causa la morte di mammiferi è considerata illecita, a meno che non si tratti di un esperimento in grado di salvare la vita di molte "persone" (umane o animali) sacrificandone una sola[21]. La critica mossa verso tale punto di vista parte dal semplice presupposto che, come non pretendiamo che un essere umano sacrifichi la propria vita, per esempio, donando i propri organi per salvare altre vite, così non vi è in generale una ragione per pretenderlo dagli animali.

L'etica che "dobbiamo" alle forme viventi non umane, in primo luogo agli animali, ha subìto una spinta notevole negli ultimi anni grazie alle teorie del filosofo statunitense Tom Regan. Ogni "soggetto di una vita" ha un valore intrinseco e merita quindi rispetto, o meglio è titolare del diritto di essere rispettato. Gli individui "sono soggetti di una vita se sono in grado di percepire e di ricordare; se hanno credenze, desideri e preferenze; se sono in grado di agire intenzionalmente in vista del soddisfacimento dei propri desideri e del conseguimento dei propri obiettivi; se sono senzienti e se hanno una vita emozionale; se hanno il senso del futuro e, in particolare, del proprio futuro; se hanno un'identità psico-fisica nel tempo e sono in grado di avere esperienze di benessere individuale, ecc"[22]. Le conclusioni sono radicali: la sperimentazione animale è severamente proibita. Afferma Regan che coloro che accettano la visione dei diritti e che firmano per gli animali, non potranno essere soddisfatti da nulla che sia meno della proibizione totale dell'uso pernicioso degli animali nella scienza, anche a fini didattici, nei test di tossicità, nella ricerca di base. Anche l'uccisione degli animali viene proibita e il loro mantenimento in cattività fortemente limitato. Da Regan derivano molte delle posizioni etiche che si sono affermate negli ultimi anni come l'egualitarismo che parte dal presupposto che non è possibile giustificare moralmente nessuna sopravvalutazione degli esseri umani e dei loro interessi a discapito di tutti gli altri esseri viventi. La tesi sostenuta nell'egualitarismo è che non esiste nessun elemento oggettivo che giustifichi una disparità di trattamento tra gli esseri umani e gli animali, soprattutto di quelli superiori. Non vi è alcun motivo di ritenere che il dolore umano sia, in genere, più acuto di quello animale o che gli interessi umani meritino più attenzione di quelli animali: agli animali manca però la coscienza della durata e della persistenza del dolore, che rende meno sopportabili le sofferenze degli esseri umani, ma manca anche la capacità di prevedere la fine del dolore, che contribuisce ad alleviare le sofferenze umane[23].

Le teorie finora riportare ammettono nel campo della considerazione morale non antropocentrica i soli animali senzienti. Sembra dunque che la coscienza o l'autocoscienza, o entrambe, rappresentino la condizione necessaria per il riconoscimento di uno status morale. Altri autori contestano però la validità di queste condizioni e assumono come criterio etico decisivo la "vita", in tutte le sue forme. Secondo costoro, quindi, anche le piante e i microrganismi devono essere considerati soggetti morali. In questo modo l'etica animale deve trasformarsi in etica cosmica-ambientale. Alcuni spingono questa visione olistica fino a includere nel campo etico le diverse specie, gli eco sistemi e tutta la biosfera. Queste posizioni si distinguono solo per il peso attribuito alle diverse forme di vita: per alcuni si deve tener conto di una gerarchia mentre altri sostengono l'esistenza di una sostanziale uguaglianza[24].

 

    

 

 

4.   Religioni e animali nell'esperienza indiana e cinese

 

 Il rapporto esseri umani - esseri viventi animali non umani è altrettanto complesso e ricco di significati in altre importanti religioni. Brevemente citerò alcune caratteristiche essenziali. Mahatma Gandhi ha detto: "La grandezza di una nazione e il suo progresso morale possono essere valutati dal modo in cui vengono trattati i suoi animali". Le immagini di bovini che pascolano pacificamente tra le strade affollate delle megalopoli del subcontinente indiano ci sono da tempo familiari. In quei luoghi la tradizione è profondamente radicata. Per l'induismo i bovini sono sacri e in modo particolare lo è la vacca il cui archetipo celestiale è Kamadhenu, la "Vacca che realizza i desideri", nata durante il frullamento dell'oceano di latte al quale partecipano i deva e gli asura. La concezione della sacralità della vacca nasce in epoca remota, quando il bestiame era di vitale importanza per l'economia degli Arya. Si afferma per via dell'associazione della vacca con il rituale brahmanico e con la sacra figura del brahmano officiante: prodotti quale il latte e il burro chiarificato (ghee) sono indispensabili nel culto, e l'animale viene considerato il dono più appropriato da offrire in forma di ricompensa e di omaggio per l'opera prestata dal sacerdote. Nella vacca si identifica una sorta di alter ego del brahmano; l'uccisione di un brahmano è considerato il crimine più grave dalla normativa tradizionale hindu, e così pure viene concepita come colpa gravissima l'uccisione di una vacca. Come vedremo in seguito anche l'ordinamento giuridico indiano riconosce tale sacralità vietando la macellazione di vacche e vitelli. La macellazione e la vendita della loro carne è punibile con sanzioni o, nei casi più gravi (e negli stati più severi) con l'imprigionamento. Altro animale che in India gode di uno status particolare è l'elefante che viene venerato come Ganesha. Ganesha è una divinità molto amata ed invocata poiché è il Signore del buon auspicio che dona prosperità e fortuna; è il distruttore degli ostacoli di ordine materiale o spirituale, per questa ragione se ne invoca la grazia prima di iniziare una qualunque attività, come ad esempio un viaggio, un esame, un colloquio di lavoro, un affare, una cerimonia, o un qualsiasi evento importante. Nell'iconografia dell'elefante che va "a cavallo" di un topolino si rappresenta l'arduo compito di imparare a cavalcare il nostro ego. Ganesh elefante guida il fedele indù in questo difficile percorso. Sempre nelle terre fra il subcontinente indiano e l'Indocina il Gianaismo vieta di fare violenza e anche uccidere qualsiasi forma vivente animale. A New Delhi esiste un grande ospedale per gli uccelli, il Jain Charity Birds Hospital in cui vengono curate migliaia di volatili. Nel Buddismo l'importanza della concezione degli animali è addirittura uno dei capisaldi dottrinali. Il primo dei quattro voti che pronunciano i monaci zen è: "Per quanto numerosi siano gli esseri, faccio voto di farli pervenire tutti alla liberazione". Tutti gli esseri viventi, dall'uomo al filo d'erba, possono accedere alla liberazione finale. Una delle caratteristiche del buddismo è infatti che la condizione umana è solo una delle sei possibili condizioni di esistenza nei cicli delle nascite e delle morti, il samsara, che ognuno di noi deve percorrere interamente fino alla liberazione finale, il nirvana. Questa è la legge del karma, che regge tutti gli esseri senza eccezioni e quello che deriva da essa è che siamo stati, o saremo, non soltanto esseri umani, ma, ad esempio, animali, in funzione dei nostri atti (karma significa "temperamento e azione"). Il buddismo condanna perciò ogni violenza nei confronti di chiunque, di conseguenza anche verso gli animali. In Cina tradizionalmente i seguaci del confucianesimo si nutrivano di cibo animale fatta eccezione per la gallina e il gallo che sono considerati incarnazioni delle forze yin e yang, le energie negative e positive che devono essere mantenute in equilibrio per raggiungere l'armonia all'interno della casa e nel resto dell'universo. Va ricordato che negli ultimi anni il miglioramento delle condizioni economiche e la politica più "liberale" sta cominciando a modificare talune abitudini alimentari. Sempre in Cina è diffuso il Taoismo che nutre grande rispetto vero la natura e parla diffusamente dell'armonia con cui l'essere umano deve convivere con essa. Nella filosofia taoista ad ogni persona corrisponde un animale specifico che ne rispecchia le caratteristiche dell'evoluzione interiore. Molto controverso è l'uso alimentare che in alcune zone della Cina si fa del cane, ma dobbiamo ricordare, per completezza d'informazione che in Europa meridionale il consumo di coniglio è comune, mentre nei paesi anglosassoni è considerato da sempre un animale domestico[25].

 

5 . Il Covid 19 e il consumo di animali vivi in Cina

 

Per molti scienziati all'origine dell'attuale epidemia di coronavirus c'è il consumo presso il mercato di Wuhan in Cina di carne di animali selvatici vivi. In particolare, l'attenzione si è focalizzata sul pipistrello e sul pangolino, quest'ultimo è un piccolo animale minacciato di estinzione e particolarmente apprezzato non solo dalla tradizionale medicina cinese ma per la qualità e il gusto della sua carne. Non è la prima volta che in Cina dei pericolosi virus trasmigrano dagli animali all'uomo. Nel 2002 all'origine della SARS (sindrome respiratoria acuta grave) e all'origine di Ebola nel 2008 vi è sempre il consumo in Cina di animali selvatici.

Il 24 febbraio 2020 il Governo Cinese ha vietato in modo drastico il commercio e il consumo di carne di animali selvatici ed ha chiuso e messo in quarantena i Wet market e le fattorie di pavone, volpi, cervi, tartarughe in sette province della Cina. In verità, già nel 2003 il governo cinese aveva a seguito della SARS sospeso i mercati di animali selvatici ma una volta superata l'epidemia ne aveva autorizzato la riapertura.

L'epidemia da Covid 19 ha rilanciato il problema dei diritti degli animali in Cina ed animato la discussione sul traffico e il maltrattamento di animali selvatici per uso alimentare. La legislazione cinese in materia di diritti degli animali ha una particolare tradizione restia a riconoscere come reato il maltrattamento di animali e vietare in modo categorico alcune pratiche alimentari come il Festival di Yulan.

In ogni caso, in questo particolare momento storico la comunità internazionale, ovvero l'ONU e l'Unione europea devono adoperarsi per mettere fine al commercio di animali selvatici e al tradizionale e cruento consumo alimentare di animali vivi.

L'epidemia da Covid 19 che è causa di gravi danni alla salute umana  oltre che  di danni all'economia mondiale  va fronteggiato non solo con le norme di contenimento  ma con il divieto internazionale di commercio e consumo di animali selvatici che sono la vera causa di trasmissione di pericolosi  virus da animali ad essere umani.

 



[1] Alfonso Maria Pepe, insegna Diritto ed Economia

[2] Nell'ambito del riconoscimento dei diritti giuridici agli esseri viventi occorre preliminarmente fare chiarezza dal punto di vista terminologico. Secondo una affermata corrente di pensiero - per approfondimenti si veda il saggio di Valerio Pocar Gli animali non umani, Laterza, Bari Roma, 1998 - possiamo denominare gli animali quali "animali non umani" proprio per sottolineare l'evidente contiguità esistenziale fra gli esseri umani e gli esseri viventi definiti tradizionalmente "animali".

[3] In una prospettiva teologica e dottrinale è ovvio che uomo e animale non possono essere messi sullo stesso piano. Possono esserlo sul piano biologico, perché appunto fatti della stessa carne e capaci di provare piaceri e sofferenze.

[4] La tradizione teologica ha sancito che il sacrificio del Cristo riguarda solo l'uomo, per quanto redentivo di tutta la creazione corrotta dal peccato umano, poiché solo l'uomo è creatura dotata di libero arbitrio, che non è la mera facoltà di scegliere fra un'opzione e un'altra (anche gli animali lo fanno), ma di scegliere tra il bene e il male; concetti che gli animali non conoscono a livello intellettuale e simbolico, semiotico, morale e filosofico, discipline con le quali l'essere umano li ha elaborati, o trascritti da Dio secondo la Teologia nel cuore dell'uomo.

[5] Si può ritenere che gli esseri non umani siano meritevoli per sé stessi di una considerazione morale indipendente dagli interessi umani, cioè che debba essere riconosciuto loro uno status morale, a prescindere dalla loro utilità per l'uomo. Secondo questa alternativa gli esseri non umani vengono considerati eticamente come "fini in sé", ovvero viene riconosciuto loro uno status morale. Questo significa che l'attore umano ha l'obbligo di tenere in considerazione nelle sue decisioni gli impulsi, originari o acquisiti, degli esseri non umani destinati a subire le conseguenze delle sue azioni. Il riconoscimento di uno status morale agli esseri non umani non implica immediatamente l'attribuzione di diritti. Perché si possano riconoscere loro dei diritti, sia morali sia legali, è necessaria infatti la presenza di alcune condizioni aggiuntive.

Alcune norme generali di comportamento verso gli esseri umani sono oggi ampiamente accettate: non uccidere, non ferire, non causare dolore agli altri, non privarli della loro libertà, ecc. Le giustificazioni etiche di queste norme possono variare, ma non fino al punto che divenga impossibile trovare un accordo sulle questioni centrali. Nel caso degli animali e degli altri esseri non umani, la situazione è diversa: infatti, mentre per alcuni il fatto di causare una lesione, un dolore o la morte di un essere non umano non costituisce un problema di ordine etico, altri non scorgono al contrario alcuna differenza morale tra esseri umani ed esseri non umani, cosicché causare una lesione o la morte di un essere non umano è altrettanto grave che causare quelle di un essere umano. Tra questi due estremi sono possibili molte posizioni intermedie.

Si veda Dietmar von de Pfordten, La considerazione morale dei viventi non umani, Frontiere della Vita, Philosophisches Seminar der Georg-August-Universität Göttingen, Gottinga, Germania, 1999.

 

 

 

[6] Nella parabola del ricco e del povero Lazzaro che sembrerebbe già completa con la contrapposizione tra i due protagonisti, Gesù volutamente inserisce un cane che si accorge della situazione di difficolta del povero e, materialmente, gli accarezza le ferite e le piaghe: "Un cane, senza che gli si chieda nulla, aiuta chi vede nel bisogno, mentre un uomo non si accorge, o peggio, fa finta di niente".

[7] "Gli animali sono la parte più nascosta della Creazione divina, ma noi un giorno li rivedremo nel mistero di Cristo". Paolo VI, Catechesi. Le parole di Papa Montini seguivano le lacrime e la tristezza di un bimbo che si affliggeva per la morte dell'amato cane.

[8] Nel considerare la posizione cristiana in generale, come pure tutte le altre posizioni teologiche, bisogna tener conto, a mio avviso, del fatto che la creazione divina e l'ordine teleologico del mondo sono un argomento di fede e non di ricerca scientifica. Di conseguenza, l'accettazione della moralità religiosa o teologica è subordinata all'accettazione della fede, sia nel cristianesimo sia in qualsiasi altra religione. La ricerca di una base secolare per l'etica e la moralità, necessaria per i non cristiani e i non credenti, è comunque una necessità anche per i credenti, poiché la stessa indeterminatezza delle direttive bibliche o profetiche impone l'adozione di alcune considerazioni aggiuntive di carattere razionale. Gli esseri umani, destinatari di ogni rivelazione o profezia, sono fallibili e dotati di capacità epistemologiche limitate, soggetti inevitabilmente ai pregiudizi storici della loro epoca. Di conseguenza, il ricorso alla razionalità critica è uno strumento indispensabile per eliminare dalle dottrine religiose gli elementi storici in esse contenuti, come appunto il rapporto tra esseri umani ed esseri non umani che sono soggetti necessariamente alle opinioni e alle tradizioni sociali.

[9] Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis. Lettera enciclica nel 20º Anniversario della Populorum progressio, Paoline editoriale Libri, Roma 1997.

[10] Scrive il Pontefice: "Il cuore è uno solo e la stessa miseria che porta a maltrattare un animale non tarda a manifestarsi nella relazione con le altre persone. Ogni maltrattamento verso qualsiasi creatura è contrario alla dignità umana".

[11] Francesco non fa altro che rileggere con sensibilità ed equilibrio le parole del Genesi, là dove è scritto: "Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde. E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno". (Genesi 1,29-31). Come non notare la delicatezza di Dio che offre agli animali come cibo "ogni erba verde" (e non dice che il pesce grande deve mangiare il più piccolo o che il leone debba mangiare la gazzella!), e all'uomo semi e frutti: finanche le piante vengono risparmiate dall'essere cibo, finanche la loro vita silenziosa viene rispettata da un Creatore che ama tutte le sue creature chiamate all'esistenza.

[12] Circa il dibattito all'interno della Chiesa sui temi in questione si vedano per approfondimenti: Mario Canciani, Avrò un'altra vita, conversazioni sull'Aldilà, Carroccio edizioni, Milano 1989; dello stesso autore Vita da prete, Mondadori, MIlano 1991. Custodire il creato. Teologia, etica e pastorale, a cura della CEI, ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro, EDB edizioni, Bologna 2013. Fulvio Ferrario, La teologia del Novecento, Carocci, Roma 2011. Pedro Barrajon, La teologia della creazione, Regina Apostolorum, 2011. Leonardo Boff, La terra è nelle nostre mani, una nuova visione del pianeta e dell'umanità, Terra Santa, 2017; dello stesso autore Il tao della liberazione. Esplorando l'ecologia della trasformazione, Fazi, Roma 2014. Paul M. Haffner, Verso una teologia dell'ambiente, Edizioni Art, 2007. Luciano Valle, Papa Francesco e l'ambiente. Percorsi sulla teologia della Creazione dai Padri della Chiesa alla «Laudato si'», Ibis, Como 2015. Pierluigi Plata, Fratello Agnello sorella Volpe. Tutti gli animali presenti nel Vangelo, San Paolo Edizioni, Roma 2015. Gabriele Scalmana, Teologia e biologia, Morcelliana, Brescia 2010. Vito Mancuso, L'anima e il suo destino, Raffaello Cortina editore, Milano 2007. Renzo Gerardi, Teologia morale, EDB, Bologna 2016. Anna Giorgi, Maurizio Pietro Faggioni, Uomini e animali. Per un'etica della relazione e dei destini comuni, EDB, Bologna 2019. Paolo De Benedetti, Teologia degli animali, Morcelliana, Brescia 2007.

[13] Si presenta al credente una scelta fondamentale: continuare a utilizzare gli animali a fini umani o rispettarli nella loro vita di creature, ristabilendo anche una omeostasi nel numero di individui e nella loro riproduzione che certamente non è quello necessario all'industria alimentare? Già molti fedeli ritengono che Gesù sia stato, non solo simbolicamente, il solo agnello, non serve sacrificarne altri. Così anche l'Eucarestia, che nel mangiare il corpo di Cristo non ricalca un atto di cannibalismo ma ricorda come partecipando al banchetto della redenzione non vi è bisogno di commettere atti di violenza su altre creature: Cristo ha già offerto tutto. La chiesa sta già riflettendo su quanto sia "cristiano" avallare tacitamente gli allevamenti intensivi, spesso responsabili di squilibri economici ed ambientali. Evidentemente non è questo il modo di prendersi cura della nostra casa comune. Si tratta dunque di temi molto articolati che occupano un vasto dibattitto ecclesiastico orientato ad una più profonda comunione con la creazione opera di Dio, rispettando il comandamento del "non uccidere", che non fa distinzioni di specie e non ordina di "non uccidere uomini", ma di non togliere la vita in generale, esattamente come era nel disegno primigenio del giardino dell'Eden. Questa profonda comunione che si estende a tutto il creato significa entrare in sintonia con la Terra, la nostra casa così maltrattata da stili di vita ormai insostenibili. La Terra non più come luogo di passaggio del quale non prendersi cura, ma come vero e proprio essere vivente, che ci ospita e che ci è stato dato in dono, e come tale da amare e custodire. Un numero sempre maggiore di credenti chiede ai vertici della Chiesa di occuparsi della sorte degli animali e della natura, superando il divario e l'opposizione tra antropocentrismo e antispecismo, riportando tutto su un piano di universale umanità e di universale rispetto per ogni creatura, nonché per il pianeta, nel segno di un rapporto di comunione con quanto Dio vide essere «cosa molto buona» all'atto della creazione. Per approfondimenti sul rapporto antropocentrismo-antispecismo si vedano Leonardo Caffo, Fragile umanità, il postumano contemporaneo, Einaudi, Milano 2017. Roberto Marchesini, Post Human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002. Massimo Filippi, Questioni di specie, Eleuthera, Milano 2017.

 

 

[14] Vedi, Immanuel Kant, La metafisica dei costumi, a cura di Gianni Vidari, Laterza, Bari 2009.

[15] Per approfondimenti sul rapporto fenomenologia, coscienza, animalità si veda Carmine di Martino, Viventi umani e non umani. Tecnica, linguaggio, memoria. Cortina, Milano 2017.

[16] Fino alla fine degli anni Sessanta la dottrina etica dominante nel mondo anglosassone è stata l'utilitarismo, che ruotava intorno ai concetti di piacere, buono, valore, obbligo e dovere. I diritti svolgevano un ruolo secondario ed erano considerati come una semplice forma o inferenza degli obblighi. In tempi più recenti, dopo l'avvio della rivoluzione individualista contro i principi collettivisti, egualitaristi e massimizzanti dell'utilitarismo, il concetto di diritti si è trasformato in una delle principali armi utilizzate in questo conflitto. L'assegnazione di diritti morali a determinate entità esprimeva due propositi fondamentali: l'unica fonte di un dovere verso un'entità è l'entità stessa e non un qualcosa di esterno, per esempio, il bene collettivo o una regola logica universalizzante comune, come nell'utilitarismo; gli interessi di un'entità (o una parte di questi) non sono soggetti ai criteri di aggregazione interpersonale e di massimizzazione adottati dall'utilitarismo.

[17] Si veda Massimo Reichlin, L'Utilitarismo, Il Mulino, Bologna, 2013. Utilitarismo oggi, a cura di Eugenio Lecaldano e Salvatore Veca, Laterza, Roma, 1986.

[18] Secondo la posizione utilitaristica, i test di prodotti cosmetici o comunque di sostanze che non possono né causare gravi danni né procurare grossi vantaggi agli esseri umani o agli animali vanno condannati. La manipolazione genetica degli esseri non umani è consentita, purché non causi danni né agli esseri umani né agli animali, oppure, nel caso sia in qualche misura dannosa, purché i benefici tratti siano superiori alle conseguenze nocive. Per l'utilitarismo è eticamente sbagliato che gli animali non umani siano bruscamente e terribilmente privati delle loro vite dopo essere stati privati della maggior parte delle esperienze positive che avrebbero potuto avere e dopo essere stati sottoposti a terribili sofferenze.

Nessuno accetterebbe, con sincerità e di buon grado, di subire tutti i danni subiti dagli animali non umani sfruttati e uccisi per il consumo, in cambio della possibilità di gustare prodotti di origine animale o godere dei vantaggi derivanti dal loro sfruttamento. Se fossimo al posto degli animali non umani troveremmo tale trattamento inaccettabile e lo considereremmo un prezzo troppo elevato da pagare per i piaceri del consumo di prodotti animali. Tutto ciò perché è necessaria troppa sofferenza per produrre soltanto un simile, momentaneo, piacere. L'utilizzo degli animali non accresce la somma della felicità nel mondo, anzi, la diminuisce in modo consistente; pertanto, secondo l'utilitarismo, tale sfruttamento non può essere considerato moralmente lecito. Secondo le varianti più recenti dell'utilitarismo, il criterio fondamentale per il riconoscimento delle entità eticamente rilevanti è la presenza di preferenze o interessi. Essere uccisi è una forma di danno, che però può essere compensato dai piaceri di una vita felice. Gli esponenti più ortodossi di questa scuola non esitano quindi a concludere che il vegetarianismo è sbagliato, perché la sua generalizzazione causerebbe l'abbandono dell'allevamento degli animali e, di conseguenza, la riduzione della quantità totale di felicità esistente, misurata in tutti gli esseri senzienti mediante un parametro denominato QAL Y (Quality Adjusted Life Years, anni di vita corretti per la qualità). Per approfondimenti si veda R. Brandt, Morality, utilitarianism, and rights, Cambridge University Press, 1992. F. Feldman, Utilitarianism, hedonism, and desert, Cambridge University Press. New York, 1997.

[19] Si vedano a tal proposito di Habermas, Etica del discorso, Laterza, Bari 1993; Teoria della morale, Laterza, Bari 2016.

[20] Singer definisce lo specismo nel modo seguente: "Un pregiudizio o attitudine di una "specie" che parteggia per gli interessi dei propri membri, a discapito di quelli che appartengono ad altre specie." La parola "interessi" porta forse al pensare agli hobby, o agli interessi personali ma è usata nello jargon filosofico come sinonimo di bisogni, desideri, preferenze. Lo specismo è il motivo comune per discriminare un individuo sulla sola base della sua appartenenza ad una specie. Le basi sono le stesse di quelle di chi nutre dei pregiudizi sulla razza (razzismo) e sull'appartenenza ad un sesso (discriminazione sessuale). Quando si parla della sofferenza umana, in quanto Homo Sapiens, e la si considera più grave della sofferenza di un animale, si è per così dire "colpevoli di "specismo". Per lo stesso motivo la morte di un essere umano, dal momento che esso appartiene alla specie Homo Sapiens, è peggiore della morte di un animale. Pratiche dello specismo sono l'industria della carne, la sperimentazione sugli animali e gli allevamenti per la produzione di pellicce. Per approfondimenti si vedano A. Rivera, La bella la bestia e l'umano, Ediesse edizioni, Roma 2010. G. Martino, In crisi d'identità. Contro natura o contro la natura? Mondadori università, Milano 2014. P. Singer, Liberazione animale. Il manifesto di un movimento diffuso in tutto il mondo, Il Saggiatore, Milano 2009.

[21] Per gli animali diversi dai mammiferi sono previste limitazioni meno rigide. Le vite di questi animali sono soggette ai criteri di aggregazione interpersonale e di massimizzazione degli interessi, come nell'utilitarismo classico, e di conseguenza non se ne proibiscono il mantenimento in cattività e l'uccisione per soddisfare i bisogni umani, se questo produce un aumento della quantità totale di piacere esistente. La sperimentazione medica o scientifica è consentita in base a un principio utilitaristico, cioè se essa è in grado di incrementare il benessere generale. Si vedano P. Singer, Liberazione animale, Mondadori, Milano 1991; Ripensare la vita, la vecchia morale non serve più, Il Saggiatore, Milano 1996; Come mangiamo. Le conseguenze etiche delle nostre scelte alimentari, IL Saggiatore, Milno 2016.

[22] Si vedano di Regan, I diritti animali, Garzanti, Milano 1990; Gabbie vuote. La sfida dei diritti animali , Sonda, Casale Monferrato 2005.

[23] R. Ryder, Animal Revolution: Changing Attitudes Towards Speciesism,  Bloomsbury Publishing PLC, 2000. A mio avviso occorre però porsi una domanda riguardo al tema dell'egualitarismo: uguaglianza di cosa? il primo passo di una teoria etica dovrebbe essere l'individuazione del criterio eticamente rilevante. Solo in seguito si potrà stabilire se sia giusto oppure no seguire un comportamento egualitario, il dolore e la coscienza non possono essere giudicati l'unico o il più elevato criterio etico. Di conseguenza, il giudizio sulla teoria egualitaristica deve essere sospeso fino a quando non verrà stabilito un altro criterio etico determinante.

[24] Per approfondimenti si vedano R. Attfield, Environmental Ethics: An Overview for the Twenty-First Century, Polity Press, Oxford 2014. C. Taylor, Etica e umanità, Vita e pensiero editore, Milano 2004.

[25] Per approfondimenti si vedano Fritjof Capra, IL Tao della fisica, Adelphi, Milano 1989. Alen Danielou, Miti e dei dell'India, BUR Rizzoli, Milano 2002. Fili di seta. Introduzione al pensiero filosofico e religioso dell'Asia, a cura di Donatella Rossi, Astrolabio Ubaldini, Roma 2018. Maurizio Scarpari, Ritorno a Confucio, La Cina di oggi tra tradizione e mercato, Il Mulino, Bologna 2015.

 



[i]