Geopolitica
Svetlana Malyeva
Il rapido sviluppo industriale nella seconda metà del XIX e all’inizio del XX secolo, la commercializzazione di tutti i campi della vita quotidiana hanno "creato" l’ozio della città russa, come fenomeno, un insieme delle attività culturali urbane, realizzabili al di fuori dell’ambito lavorativo, strettamente collegate con la necessità e lo sviluppo dei diversi aspetti della cultura di massa. In questo modo fu realizzato un passaggio sui generis dalla pluralità dei vari modelli e delle pratiche dell’ozio esistenti prima , poco e lentamente cambiati nel tempo, - verso le pratiche in parte convenzionali, le quali avevano considerevoli punti in comune nei differenti strati della popolazione e rapidamente evoluti sotto l’influenza di tutte le nuove proposte dell’industria del divertimento. Nella seconda metà del XIX secolo e all’inizio del XX l’ambito dell’ozio della città russa è diventato un largo spazio della comunicazione interculturale tra i differenti rappresentanti dei ceti sociali, etnie, confessioni, generi, età, dei gruppi professionali urbani e il luogo della formazione delle identità. Uno degli esiti di questa comunicazione costituisce la trasformazione del significato stesso dell’"ozio"nella lingua russa, formazione del concetto dell’ozio, indicando un ambito specifico, distinto dalla sfera dell’attività lavorativa, realizzabile nel tempo designato appositamente (separato dagli orari lavorativi). La "separazione" dell’ozio dall’ ambito lavorativo ha corretto anche l’idea popolare sulle nozioni della "festa" e dell’"ozio": severamente giudicate dalla morale religioso della società tradizionale come devianti, ora, essi esprimevano le loro posizioni più leggermente e non così univocamente, il che è testimoniato dalle rispettive modifiche dell’interpretazione di queste parole nel vocabolario popolare. Gli abitanti della città di ceti diversi, a cavallo tra due secoli, nelle loro pratiche dell’ozio approvavano e disapprovavano continuamente la propria identità, interpretando e dando il significato a una questione molto pratica e utilitaria: che un vasto assortimento delle pratiche dell’ozio offerto dal mercato del divertimento corrispondessero ai loro desideri, alle loro possibilità, che fossero accettabili dal punto di vista delle esigenze delle loro circostanze e della propria "censura" etica e culturale. Queste riflessioni e autoanalisi inevitabilmente intendevano l’esperienza del confronto delle proprie pratiche preferite dell’ozio e realizzate entro le proprie possibilità – con le pratiche del “Diverso” con le pratiche dei gruppi culturali stranieri delle città e della loro valutazione. Tali "incontri culturali" non sempre si concludevano senza conflitti, ma l’esistenza della situazione del conflitto riguardo all’ozio per sé rappresentava già un dialogo culturale che aveva un potenziale costruttivo. Uno dei punti fondamentali della comunicazione interculturale riguardo all’ozio è stato la questione sul tempo di riposo, sui fine settimana e sui giorni festivi. Nella Russa zarista non esisteva alcun calendario unico di tali giorni. Il calendario ufficiale "giorni festivi settimanali" (52 domeniche), inoltre 32 giorni "del Signore" [ In russo è scritto in plurale "dei Signori", in italiano normalmente questa espressione viene nominata al singolare. ] (le principali festività della Chiesa ortodossa) e circa una dozzina di feste "degli zar" (feste governative), si espandeva solo su una piccola parte della popolazione urbana – impiegati di enti e istituzioni civili, allievi e insegnanti degli istituti dell’istruzione civile. I giorni di riposo di altre categorie della popolazione venivano stabiliti con i documenti specifici del governo. Ad esempio, nell’elenco dei giorni festivi obbligatori per gli artigiani nel 1893 sono stati inclusi la domenica e 12 «двунадесятых» feste ortodosse, inoltre i giorni di Pasqua, invece per gli operai delle fabbriche nel 1897 e 1900, sono state introdotte le domeniche e inizialmente 14, e successivamente 17 feste “del Signore”. Ma la questione dei giorni festivi per i dipendenti negli esercizi commerciali e industriali, molti dei quali avevano solo tre (!) giorni di riposo l’anno (i primi giorni di Pasqua, della Trinità, il Natale), non è stato risolto fino alla Rivoluzione del 1917. Proprio questo ha causato feroci dibattiti pubblici, le manifestazioni collettive nella comunità urbana, durate più di 30 anni e discusse non solo nell’amministrazione comunale, ma anche presso il Ministero degli Affari interni e nella Duma di Stato. L’irresolutezza di questo problema era dovuta al fatto che colpiva gli interessi del commercio privato e della lotta della concorrenza. Fatto sta che in quel periodo, riguardo le esigenze d’ozio furono espresse dai rappresentanti dei popoli non russi dell'impero, in particolare dai musulmani, che volevano riposarsi nei giorni consacrati alla loro religione – il venerdì e durante le feste islamiche e quindi creare in questo modo un'alternativa al calendario governativo ortodosso dei fine settimana e delle festività. E se la legge – con le numerose clausole - permetteva di correggere la pianificazione dei giorni di riposo nelle botteghe artigiane e nelle fabbriche in base alle preferenze confessionali dei lavoratori, applicare la stessa regola per i commercianti si è rivelato difficoltoso. Poiché tenendo chiusi dei negozi nei giorni delle proprie festività religiose e lasciandoli aperti nelle domeniche e nei giorni delle feste ortodosse, mentre altri commercianti non erano autorizzati a lavorare, i commercianti "infedeli" in questo modo ottenevano un vantaggio concorrenziale, che portava alle violente proteste dei loro colleghi cristiani. Nella seconda metà del XIX e inizi del XX secolo crescono i processi di omogeneizzazione e di democratizzazione degli apparaticik” e segregato sulla base di una serie di caratteristiche (classe sociale, etnia, religione, ecc.), dello spazio dell’ozio urbano. I confini di questi spazi si confondono, i rappresentanti dei diversi gruppi cittadini sempre più liberamente e con disinvoltura si intrecciano nei confini dello spazio dell’ ozio "straniero", nutriti dalla curiosità e nella ricerca del piacere del divertimento, non praticati nei limiti del "proprio" spazio. Nell’esito di questa "espansione" spesso accadeva lo scontro tra le diverse norme e standard di comportamento, tipici per i rappresentanti dei diversi gruppi e strati della città, sfociando nei conflitti e vivaci dibattiti nella comunità urbana, nella stampa, durante le riunioni amministrative della città. Ad esempio, la democratizzazione degli spazi dell’ ozio dei quartieri aristocratici della città e la presenza nei parchi, nelle strutture balneari, nei teatri, dei residenti della periferia e dei borghi della città, spesso non distinguibili nelle maniere delicate, ma caratterizzati da una maggiore disinvoltura del comportamento, provocava l’indignazione degli abitanti del centro città. Tuttavia, l’intreccio dei confini dello spazio dell’ozio insieme con lo sviluppo della varietà di forme del divertimento, offerto dalla veloce e crescente industria del divertimento, hanno notevolmente modificato le strutture dell’ozio stabili e distinte l'una dall'altra le pratiche dell’ozio di diversi gruppi e ceti della città. Nelle strutture dell’ozio di questi ceti e gruppi le nuove forme dell’ozio si percepivano e integravano (o non s’integravano) nei vari modi, venivano praticate da essi irregolarmente. Allo stesso tempo, la cultura urbana conservava anche molti precedenti, persino le forme arcaiche del tempo libero/riposo.. Tutte queste forme dell’ozio esistevano contemporaneamente nello spazio urbano. Le pratiche correlate a esse richiamavano l’interesse, la curiosità, i dibattiti, erano soggette a restrizioni e divieti da parte degli organi governativi, delle comunità religiose e delle altre comunità tradizionali, dalle organizzazioni dei ceti sociali e professionali. Tuttavia, i tentativi di rimettere la pratica oppure restituire dell’ozio anche ai rappresentati dei gruppi e ceti socialmente tutelate dal controllo sociale si rivelavano con meno successo, tanto più che nelle città russe – a differenza dell’Europa occidentale, – in pratica non vi erano le organizzazioni (a eccezione delle società di sobrietà ), che tentassero di fare questo. L’esistenza dei divieti e delle restrizioni sul consumo di una o dell’altra forma d’ozio spesso non tratteneva i rappresentati di questi gruppi, che passavano oltre ai confini del consenso, del permesso, della possibilità. All'inizio del XX secolo questa tendenza si rafforza, le violazioni dei divieti e delle restrizioni su questo o altro tipo di divertimento, spesso diventano così diffuse che le forme dell’ozio precedentemente soggette a vari tabù, ora diventano la norma per i corrispondenti gruppi di città, assumendo il carattere costantemente consumistico (ad esempio, andare al teatro, assistere dei concerti di musica e altro vietate dalla Sciaria per i rappresentanti delle comunità musulmane della città). Di conseguenza, diminuisce il peso specifico delle forme dell’ozio, offerte dalle culture tradizionali e rigidamente fissate nel tempo ( il periodo delle feste religiose e popolari, i mercati ecc. ). L’aumento delle proposte del divertimento, la personalizzazione del riposo e libertà di scelta portano sempre più l’individuo fuori dal precedente cerchio dell’ozio, dalla comunità, dove la sua condotta era severamente controllata, – negli altri, grandi spazi e cerchi, in cui la sua identità in gran parte rimaneva anonima, e tale controllo era assente o era minimo. Questi processi hanno contribuito all’ avvicinamento delle strutture dell’ozio, delle differenti categorie della popolazione, alla formazione delle pratiche dell’ozio di tutta la città. Processi, avvenuti nell’ambito del riposo nella seconda metà del XIX e agli inizi del XX secolo, pur non avendo il significato di una piena unificazione e standardizzazione dell’ozio – conservando non poche differenze nel livello e nello stile di vita dei diversi ceti della città, comunque hanno segnato in modo evidente una tendenza verso tale unificazione e ne hanno facilitato notevolmente la diffusione più tardi, negli anni 1920-1930, in cui sono state ufficialmente approvate e propagate dalle autorità sovietiche le pratiche e le forme dell’ozio urbane. Il momento più doloroso nel processo di unificazione delle pratiche dell’ozio è stato, forse, la questione sulla creazione del calendario festivo dell’ozio, legate alle identità etniche e religiose, corrispondente alle differenze della popolazione. I bolscevichi hanno fatto buon uso dei risultati dei dibattiti precedente alla Rivoluzione nel corso di tanti anni, riguardo al tempo libero e mettendoli a disposizione nel corso come progetti, ufficialmente fissando, in un primo momento, l'idea dell’ "alternativa" e del "parallelismo" e del calendario festivo. Negli anni 1918-1929 il calendario sovietico delle festività dei fine settimana ufficialmente riconosceva e ammetteva l'esistenza di diversi cronotipi relativi all’ozio, legati alle particolarità dei gruppi religiosi e etnici della popolazione. Ai collettivi di lavoro, nel luogo di lavoro, è stata data la possibilità di decidere in quale giorno della settimana - in base alle esigenze religiose della maggioranza – poteva essere il giorno libero, e in quali gruppi delle festività religiose potevano assumere i giorni di riposo. La " democrazia della festa e dell’ozio" ha cessato la sua esistenza a seguito della lotta contro la religione agli inizi del 1930: le feste religiose sono state completamente escluse dal calendario delle festività. Invece, con l’introduzione nel 1929 dei pjatidnevniki [della settimana lavorativa di cinque giorni], e poi - nel 1931 – dei šestidnevki [della settimana lavorativa di sei giorni], vale a dire, corrispondenti ai cinque e sei giorni settimanali compresi i giorni dei fine settimana, che cadevano sul quinto e sesto giorno, è stata soppressa la domenica, inoltre il venerdì e il sabato, strettamente collegati rispettivamente alle culture dei cristiani, dei musulmani, dei giudei. Il 26 giugno del 1940, con il Decreto del Presidium del Soviet Supremo dell'URSS, si è deciso di tornare alla settimana di 48 ore, con unico giorno di riposo della domenica, che per la maggior parte della popolazione, per decenni, aveva perso in pratica le sue connotazioni con la tradizione religiosa. In ogni caso, già verso la fine del primo decennio sovietico, il giorno di riposo fu standardizzato, unificato e venne "appropriato" dal potere. Durante il primo decennio sovietico furono costruite e unificate le nuove gerarchie degli spazi urbani dedicati alle feste e all’ozio, nei quali furono chiaramente evidenziati il centro e la periferia, e contemporaneamente furono distrutti i vecchi principi sociali, nazionali e religiosi e altre forme di segregazione dello spazio urbano, che contribuivano alla conservazione di vari modelli e pratiche dell’ozio. Gli sforzi del nuovo governo per la trasformazione dello spazio urbano hanno contribuito oggettivamente all’eliminazione delle contraddizioni e alla rimozione delle distanze tra le pratiche quotidiane e dell’ozio dei residenti delle ex aree urbane delle "elite" e dei "plebei", fra le parti "russe" e "non russe" della città, formando le loro nuove identità. L’unificazione delle pratiche dell’ozio ha facilitato le varie forme di vita quotidiana nei primi decenni della società sovietica. Le difficili condizioni dell’abitazione di quasi tutti i gruppi di cittadini (a causa della politica della "riduzione" dello spazio abitativo, la diffusione di appartamenti comunali, delle baracche, ecc) costringevano i loro rappresentanti a trascorrere la gran parte del loro tempo fuori casa. Lo sviluppo di una rete di diverse istituzioni pubbliche e spazi pubblici per organizzare "l’ozio culturale" – dei club, dei parchi di divertimento, delle stazioni termali, ecc. – ha favorito l’avvicinamento delle pratiche dell’ozio dei vari gruppi. Potente influenza sulla propaganda di massa dell’ozio "salutare e culturale" - ad esempio, la promozione dello Stato riguardo allo sport di massa, rafforzata con la creazione di numerose società sportive, circoli sportivi e stadi, ha giocato un suo ruolo importante. Infine, un certo impatto sulla pratica dell’ozio – in conseguenza dell'esodo dei contadini dalla collettivizzazione verso la città – ha avuto la tradizionale cultura contadina del riposo. Tutte queste circostanze, formando l’ambito dell’ozio, lo hanno unificato, portando verso la creazione dei tipici modelli dell’ozio di massa del cittadino sovietico medio. Nei due decenni preceduti dalla guerra si forma una struttura unificata di una tipica città sovietica dell’ozio. Inoltre, l’ozio del cittadino-provinciale si differenziava poco dall’abitante delle capitali. Essi si distinguevano non tanto nella struttura e nelle forme dell’ozio, quanto nella sua qualità. Alcune differenze in materia dell’ozio dell’uomo sovietico non erano determinate né dalla provenienza geografica e dalle tradizioni di questa o quell’altra città della Russia, né dalla sua abitazione nella "capitale" o non, ma quanto appartenenti a uno dei gruppi dell’ozio, formandosi, ad esempio, sulla base dell'età-generazionale, sulla tipologia professionale, sull’origine (cittadino o immigrato), sull’area di residenza e su altri criteri. Tuttavia, nelle strutture e nelle pratiche dell’ozio c’erano più punti in comune che differenze. E questi aspetti in comune venivano condizionati, in primo luogo, dal controllo dello Stato (rappresentata dalle organizzazioni statali e pubbliche) essendo, infatti, l'unico "produttore" di tutti i divertimenti della città e dell’ozio, determinando la loro forma e il contenuto. Il "monopolio" dello Stato sull’ozio dell’uomo sovietico è stato scosso negli ultimi decenni sovietici. I cambiamenti erano dovuti sia ai processi politici nel Paese ("il Disgelo"), che si riflettevano nella società e nella coscienza dell'individuo ("anni Sessanta"), sia al cambiamento della qualità della vita - in particolare, col miglioramento delle condizioni abitative di milioni di cittadini sovietici, con l’ottenimento di un alloggio separato ("Khrushovka"), con il miglioramento dello stato economico. In questi anni, si rafforza l’allontanamento del "piccolo uomo" dalla politica e dall'ideologia, la maggior parte dei settori della sua vita vengono depoliticizzati - comprese le pratiche dell’ozio. Per esempio, la partecipazione alle manifestazioni nei giorni delle feste rivoluzionarie per la maggior parte delle persone diventa solo un allegro rituale oppure uno spiacevole dovere, mentre a casa, queste feste rivoluzionarie erano celebrate come le feste domestiche - senza badare al loro significato e il contenuto originale. Si espande notevolmente e si acquisisce sempre più l’importantanza per il cittadino dell’ambito della sua vita privata. Proprio nello spazio della vita privata – negli appartamenti, nelle cucine, nei cortili, in compagnia con gli amici, insieme ai complici, con le persone vicine di spirito che pensano a "trasferire" molte delle pratiche abituali dell’ozio, di qualche decennio fa, praticato soprattutto nei club, presso la biblioteca pubblica, nel palazzo della cultura, nel collettivo di lavoro oppure nella cerchia dei "compagni di partito" e del komsomol. Con gli amici si riunivano in cucina, nella dača Ascoltavano la musica a casa o in cortile su un registratore a cassette. Il buon (e spesso "proibito") libro lo leggevano a casa. La televisione e verso la fine di questo periodo – il videoregistratore – spesso hanno sostituito l’andare al cinema. Il "piccolo uomo" si allontana sempre di più dal formalismo e dall’organizzazione collettiva dell’ozio, e alla fine – da diverse forme di controllo del governo. L’ambito dell’ozio diventa sempre più "intimo". Così, alla fine del XX secolo l’ambito dell’ozio della cittadina provinciale russa ha subito la seconda ondata di "emancipazione". E se il primo, che ha avuto luogo a cavallo del XIX-XX secolo, fu associato alla divisione tra le sfere del lavoro e del tempo libero, con lo sviluppo dell’industria dell’ozio, della sua commercializzazione, l’"emancipazione" dell’ ozio urbano alla fine del secolo scorso, fu collegato all’aumento della presa di coscienza dei cittadini e all'apprezzamento della necessità della vita privata, libera dalla sorveglianza dettagliata delle organizzazioni pubbliche e governative.