Economia


Roberto Lombardi

Crisi finanziaria e scelte di portafoglio nel mercato retail: Rischio, rendimento e Financial capability

 

Alla luce dell'attuale scenario economico-finanziario risulta di fondamentale importanza analizzare l'andamento riscontrato nel mercato retail ed i fattori che hanno influenzato le scelte di investimento dei risparmiatori, ripercorrendo le principali teorie degli investimenti che  risultano ancora attuali.

La crisi finanziaria ha avuto, indiscutibilmente, un notevole impatto sulle scelte di riallocazione della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane, tale da riposizionare il ruolo dei servizi di consulenza finanziaria finalizzati proprio ad orientare i comportamenti degli investitori non professionali, soprattutto nelle fasi di maggiore incertezza che hanno caratterizzato l'andamento dei mercati.

I servizi di consulenza hanno sempre svolto un ruolo importante nel favorire l'accesso degli investitori retail al mercato dei capitali privato, promuovendone così lo sviluppo ed, allo stesso tempo,orientando le famiglie a detenere portafogli diversificati per garantire un profilo rischio-rendimento più favorevole rispetto ai depositi tradizionali. Soprattutto nei periodi di forte turbolenza dei mercati finanziari, come quelli attuali e successivi alla crisi finanziaria, tali servizi sono serviti ad evitare comportamenti irrazionali che portano gli investitori retail non professionali ad uscire completamente dai mercati finanziari, nella errata convinzione di arrestare le perdite fino a quel momento accumulate. Tale comportamento , irrazionale, contrasta con la teoria finanziaria classica sulle scelte di portafoglio e la conseguente formazione dei prezzi sui mercati finanziari, che ipotizza come gli individui siano perfettamente razionali e che utilizzino set informativi completi ed omogenei per le scelte di investimento[1]. Nella realtà si verificano, tuttavia, delle anomalie comportamentali da parte degli investitori retail a causa della asimmetria informativa propria del mercato azionario, degli errori di percezione della relazione rischio-rendimento e della scarsa diversificazione ed eccessiva movimentazione del portafoglio. Detti comportamenti anomali divengono ancora più ridondanti ed inspiegabili in periodi di crisi finanziarie.

La finanza comportamentale[2] ha tentato di spiegare tali errori, come vedremo in seguito, attraverso lo studio dei processi di elaborazione degli asset informativi ed ha trovato riscontro proprio con le scelte di portafoglio effettuate in seguito alla attuale crisi finanziaria. A parere di chi scrive il nuovo modello evolutivo di finanza comportamentale può essere definita "resiliente", che si adatta ai mutamenti ambientali che in modo circostanziato la influenzano sviluppando positivamente il potenziale degli agenti. Un processo di crescita evolutiva del capitale cognitivo a servizio della finanza, in cui il potenziale, inteso come  gli "agenti interessati e predisposti alla conoscenza dei processi decisionali", evolve in competence se supportato dalla financial capability esistente. Il processo è evolutivo in un orizzonte temporale infinito per cui la competence prodotta nel primo ciclo virtuoso diviene nuova financial cababilities che sostiene e genera la nuova competence per adattare il mercato finanziario ai mutamenti e bisogni che si determinano. Ed è proprio ciò che è accaduto a far data dal settembre 2008, default della banca di affari "Lehman Brothers", nonché data di inizio delle più profonda crisi finanziarie, in cui si è di fatto determinato un drastico cambiamento nelle preferenze e nella propensione al rischio degli investitori.

In Italia, ad esempio, la crisi finanziaria ha contribuito a ridurre ulteriormente la propensione degli investitori retail a detenere strumenti finanziari rischiosi (azioni, obbligazioni convertibili, prodotti del risparmio gestito, ecc) in favore di attività finanziarie tradizionali ritenute più sicure (depositi postali e bancari di semplice circolante).

Questo modello di comportamento ha avuto ed ha tutt'ora, ripercussioni rilevanti sulla struttura del sistema finanziario e contribuisce a ridurre le possibilità di sviluppo di un sistema più market oriented[3] all'interno di un mercato di capitali globalizzato.

Gli studi della Banca Italia confermano, per le famiglie italiane, una scarsa partecipazione al "mercato delle attività rischiose".

Per spiegarne i motivi è utile, nonché necessario, anche valutare l'influenza dei costi fissi di accesso al mercato. I guadagni che derivano dall'investimento in attività rischiose dipendono infatti sia dall'entità del premio al rischio, sia dall'ammontare di ricchezza allocata in attività rischiose. Certamente le scelte di portafoglio delle famiglie dipendono dalla dimensione della loro ricchezza finanziaria. Ne consegue che per gli investitori con disponibilità limitate, i costi fissi di partecipazione al mercato possono limitare la diversificazione del portafoglio. In linea generale la partecipazione al mercato finanziario aumenta al crescere delle risorse a disposizione della famiglia, per cui, si verifica che, a bassi livelli di reddito o di ricchezza il numero delle famiglie che investono in attività a più elevato rischio e rendimento è estremamente basso; al crescere del reddito e della ricchezza la quota dei partecipanti cresce in misura consistente.

Non si deve tralasciare, inoltre, il ruolo dei cosiddetti rischi di background[4], perché è a causa di questi rischi non assicurabili che le famiglie decidono spesso di ridurre o posticipare il proprio investimento in attività rischiose.

La gestione di un portafoglio di attività rischiose richiede la possibilità di analizzare il migliore asset informativo disponibile, accompagnato da un buon livello di financial capability[5] per poterlo interpretare correttamente, evitando errori cognitivi.

Le ultime stime di Banca Italia[6], peraltro non particolarmente recenti, evidenziano l'esistenza di forti divari tra le aree territoriali italiane. In particolare nel Mezzogiorno la ricchezza per abitante è pari a poco meno della metà di quella dei residenti al Nord così come la disponibilità finanziaria per gli stessi  residenti del sud è di poco superiore ad un terzo di quella dei residenti nel Nord. Nello specifico la struttura delle attività finanziarie presenta le seguenti differenze: la quota di obbligazioni, fondi comuni e azioni nei portafogli delle famiglie del Nord supera il 52% del monte investimenti detenuto, nel Centro il 40% e nel Sud è di poco inferiore al 28% .

 

 

 

continua 

 

 

 



[1] Quaderni di Finanza n°66 - gennaio 2010. - CONSOB Errori cognitivi ed instabilità delle preferenze nelle scelte d'investimento dei risparmiatori retail -

[2] La Finanza comportamentale prende consistenza nel mondo accademico con gli studi di Daniel Kahneman e Amos Tversky (1974 e 1979) e di Sarah Lichtenstein e Paul Slovic (1971 e 1973). I lavori di Kahneman e Tversky hanno dimostrato che le valutazioni e decisioni degli individui non si conformano alle regole della logica e della statistica ma si basano su un ragionamento intuitivo che è basato sull'esperienza individuale e sulle reazioni emotive alle informazioni presenti nell'ambiente.

[3] Un sistema orientato al mercato delle attività finanziarie rischiose.

[4] Sono i rischi non diversificabili derivanti dall'incertezza sui futuri redditi da lavoro e dalla gestione di un'attività imprenditoriale.

[5] Il livello di Financial capability, inteso come grado di alfabetizzazione finanziaria delle famiglie, contribuisce ad ampliare il livello di partecipazione al mercato delle attività rischiose.

[6] Periodo di analisi 2005 - 2007 - Banca d'Italia