Geopolitica
Enrico Maiorino
Nella complessa dialettica della geopolitica e la morte, l'analisi della definizione del luogo e/o degli spazi da percepire come:lo spazio della morte, o il luogo ove la morte si produce,, diventano sempre più importanti. Questa stessa importanza determina la continua sinergia di sforzi interdisciplinari volti ad una definizione dello spazio.Nel presente lavoro si analizzano gli scritti di Mara Cagol, Ferdinando Camon e G. Codrini con il software "CATMA 2"
I TESTI
In città il giorno non è più rumoroso della notte:c'è anzi un momento, quando il giorno (il sole, la luce, la scuola, la fabbrica, l'ufficio,il negozio ) può dirsi finito, quando tutti i lampioni si illuminano e tutte le macchine accendono i fari, in quel momento pare che in tutti gli uomini avvenga come un'esplosione di gioia: escono per le strade, camminano alla svelta riempiendo i marciapiedi, si cercano tra amici scrutando in volto tutti quelli che incontrano, si salutano con grande effusione e abbracci e baci appena si riconoscono, e alle volte si sbagliano e salutano anche chi somiglia all'amico ma non è l'amico: non importa, quello risponde al saluto con tanta cordialità ed euforia che sembra ringraziarti dello sbaglio. Una volta non era così, ma adesso è così dappertutto. E' difficile stabilire quando ciò sia cominciato. Si può invece prevedere che, se durerà questa attesa della notte, finirà che gli uomini, finito il giorno, si riverseranno per le strade abbracciandosi l'un l'altro come per l'avverarsi di un miracolo. Nessuno ama la vita del giorno come se fosse una vita imposta. Agli uomini di questa epoca è stato sottratto tutto il tempo dei giorni, e sono state lasciate le notti: ecco perché l'arrivo della notte è atteso e salutato con tanta frenesia. Si accendono le luci nelle case, a migliaia ,tutte in una volta,pare che i grandi alveari di trenta piani dove alloggiano in affitto duecentoquaranta famiglie s'incendino di colpo. A Padova, il grattacielo di largo Europa, il più alto della città,s'illumina dalla base al vertice come un faro. Ferdinando Camon-occidente
Un tempo,le strade della mia città mi parlavano coi loro odori, coi loro colori,coi loro umori:erano strade vive,piene di voci e di suoni,attraversate da gente viva.
Avanti e intorno a me vedevo soltanto volti,occhi,capelli,piedi che si muovevano in ogni direzione,uno dopo l'altro,incalzati da una frenesia morbosa.
A mano a mano che procedevo in quella mia estemporanea ricognizione serale, scoprivo una città atona,incolore e insapore:mai l'avevo vista così. Il suo palpito vitale lo sentivo contratto,rantolante,penoso.
Pur con tanta gente che andava avanti e indietro,la città appariva vuota, deserta,silenziosa.
Sui muri delle sue case era impresso il marchio di una dolorosa, immedicabile malinconia, di una disperazione senza fine.
A tenere in vita la mia città era lo straziante sibilo delle centinaia di auto che la sciabolavano in su e in giù, senza tregua, vertiginosamente.
Suoni metallici, ferraglie deliranti, colonna sonora del quotidiano massacro della nostra identità. Frequenti ululati di sirene (mai ne avevo uditi tanti) squarciavano l'atmosfera di quel cupo sortilegio.
A un certo punto, fui colto dai brividi di un indescrivibile sgomento, che mi ghiacciò il sangue.
Mi ero d'un tratto reso conto che la mia città ormai altro non era che il luogo in cui quella sera stavo movendo i miei passi di uomo alla deriva, senza passato, senza futuro e,quel che è peggio, senza un presente.
Un posto qualunque, un posto come tanti,qua, là,su, giù,in questo scassatissimo mondo.
Sentivo i miei pensieri arruffarsi nel cervello all'impazzata,in un vortice senza fine.
Continuavo a camminare senza un perché, senza sapere dove andare, chi incontrare, cosa dire, cosa fare, oggi, domani e tutti i domani che verranno. Gente andava, gente veniva, coi loro volti inespressivi, tesi, come in attesa del giudizio universale, in preda a un maleficio in conoscibile, terrificante. Un ammasso di ombre, di larve umane...Non riuscivo a capire il motivo di quella profonda metamorfosi della mia cara città...D'un tratto mi fu chiaro il motivo del mio angoscioso sgomento. Quella che io consideravo la mia città non era più tale; chissà da quanto tempo aveva cessato di esserlo. Per rovinarla irreparabilmente era stato sufficiente trasformarla in una metropoli.In quel momento tutto mi fu chiaro, terribilmente chiaro. G. Codrini rievocazione
Milano è per me una grande esperienza.Questa grande città, che in un primo momento mi è parsa luminosa, piena di attrattive, mi appare sempre più come un mostro feroce che divora tutto ciò che di naturale, di umano e di essenziale c'è nella vita. Milano è la barbarie, la vera feccia della società in cui viviamo. Questa società, che violenta ogni minuto tutti noi, togliendoci ogni cosa che possa in qualche modo emanciparci o farci sentire veramente quello che siamo (ci toglie la possibilità di coltivare la famiglia, di coltivare noi stessi, le nostre esigenze, i nostri bisogni, ci reprime a livello psicologico, fisiologico, etico, ci manipola nei bisogni, nell'informazione, ecc ecc) ha estremamente bisogno di essere trasformata da un profondo processo rivoluzionario...ebbene se pensiamo che tutto questo potrebbe essere eliminato benissimo (ti ricordi quando l'anno scorso ti dicevo che utilizzando al massimo tutti i progetti tecnologici studiati ed impiegandoli nel processo produttivo sarebbe possibile mantenere 10 miliardi di persone al livello del reddito medio attuale americano ?) ma che questo non è possibile fin quando esisteranno sistemi politici come quello europeo o americano attuali. Tuttavia esistono moltissime condizioni oggi per trasformare questa società e sarebbe criminale (verso l'umanità) non sfruttarle . Tutto ciò che è possibile fare per combattere questo sistema è dovere farlo, perché questo io credo sia il senso profondo della nostra vita. Non sono cose troppo grosse, sai mamma. Sono piuttosto cose serie e difficili che tuttavia vale la pena di fare.La vita è una cosa troppo importante per spenderla male o buttarla via in inutili chiacchiere o battibecchi. Ogni minuto è importante.
Mara Cagol Lettera alla madre.